Lo stato dell’arte. Marco Amore

Caro Fabrizio, la poesia conserva una voce significativa persino in ambiti estranei alla sua natura apparente, come l’urbanistica tattica, dove si sperimenta la reinvenzione di attività con una creatività che potremmo assimilare all’arte poetica, senza il timore di essere smentiti; il che, del resto, vale anche per l’art thinking e la logica d’impresa. Questo concetto è al centro del mio libro, L’Ora del Mondo (Samuele Editore, pag. 82, prefazione di Luigino Bruni), che propone di riconsiderare gli aspetti economico-finanziari da una prospettiva altra, attraverso lo strumento – non solo linguistico – della poesia. Se consideriamo la poesia come un filtro emotivo indispensabile per reinterpretare la realtà in tutte le sue sfaccettature, non solo stimolando l’intelligenza emotiva e il pensiero divergente, ma anche nella sua funzione primaria, la quale spesso è travisata dall’autore a meri fini promozionali, allora essa assume una utilità fondamentale. In risposta alla tua domanda sul “ritrovare una strada”, e spostandoci dalla sfera sociale a quella individuale, la poesia è certamente uno strumento efficace per tracciare un percorso personale o quantomeno utile a superare momenti difficili, poiché, come le tecniche immaginative proprie delle arti visive e, in particolare, della pittura (ut pictura poesis!), illumina il nostro mondo interiore e dà forma ai nostri pensieri e alle nostre emozioni più profonde, che altrimenti resterebbero sopite o inespresse, mentre incoraggia l’introspezione e il pensiero critico. Infine, per quanto riguarda la speranza, non credo che la poesia debba necessariamente risvegliarla, ma piuttosto essere uno strumento che favorisce il cambiamento.

Primitivo Americano, di Mary Oliver

di Mauro Ferrari

Mary Oliver, Primitivo americano, a cura e con traduzione di Paola Loreto, Einaudi 2023

Nella splendida traduzione di Paola Loreto (autrice anche di una interessante nota di apertura) è stata appena pubblicato Primitivo americano, l’ultima raccolta della poetessa americana Mary Oliver (1935-2019). Si tratta di poesia etichettabile, in senso molto limitativo però, come spesso accade anche per le etichette più significative, come “ecopoetry”, quindi inquadrabile in quel vasto movimento culturale che ha radici profonde nella cultura e nella poesia americana (ma non solo). Il manifesto della ecopoetry, anche reperibile in rete, enfatizza il lato ecologista, diciamo pure politico, e mette l’accento sulla salvaguardia del pianeta e un nuovo rapporto con gli altri esseri viventi, sui diritti fondamentali dell’Uomo, la pacifica coabitazione dei popoli e “le nuove e varie introspezioni dell’Io”: punta insomma su aspetti cruciali del pensiero contemporaneo, compreso il distanziamento dalle poetiche paludate e accademiche, “per aprirsi a una comunicazione poetica chiara e semplice, comprensibile per tutte le culture” e quindi anche facilmente traducibile, per diffondersi almeno negli intenti tra un pubblico più ampio.
Legami e apparentamenti poetici sono evidenti con autori come Walt Whitman e la sua poesia intrisa di oralità; l’American Renaissance, anche con i suoi risvolti misticheggianti: R. W. Emerson e H. David Thoreau, Robert Frost e il contemporaneo Gary Snyder. Ma, restando in ambito anglofono, è impossibile non citare Wordsworth e, nella poesia più o meno recente (e per motivi diversissimi) il Ted Hughes di Moortown, River e Wolfwatching Continua a leggere

Scaletta sì, scaletta no

di Riccardo Ferrazzi

Qualche mese fa, poco dopo l’uscita del romanzo “Modus in rebus”, un lettore mi ha scritto per chiedermi: “Lei quando scrive un romanzo fa prima una scaletta?”. 

Ho risposto: “Generalmente no” e non mi sono addentrato in una spiegazione. In realtà, la scaletta bisognerebbe farla per dare una risposta esaustiva a questa domanda. Ma quel lettore si aspettava probabilmente una risposta ampia e argomentata, e si sarà sentito defraudato. 

Ora: l’ultima cosa che può permettersi uno che scrive e pubblica un romanzo è defraudare i suoi lettori. Sia che non risponda, sia che lo faccia rimasticando qualche chiacchiera da “scuola di scrittura”. Avevo il dovere di spiegare perché “generalmente” non faccio una scaletta, e dovevo farlo senza dare l’idea di disprezzare chi invece la scaletta la fa. Quindi dovevo pensarci su. Continua a leggere

La parola ai poeti. Vincenzo di Maro

Ho iniziato a leggere e scrivere poesia abbastanza precocemente, quando ancora non ero adolescente; sopratutto, in modo del tutto inconsapevole. Il mio apprendistato – se di apprendistato si può parlare – si è svolto in modo del tutto particolare: leggevo molti racconti e romanzi; c’era in me l’idea – anche incoraggiata dagli insegnanti – di voler diventare soprattutto scrittore in prosa. L’esercizio del racconto ha in sé qualcosa di egotistico, ha a che fare con lo scrivere storie in uno stile riconoscibile, personale. Raramente portavo a termine i racconti cominciati: mi venivano incipit che consideravo prodigiosi, ben presto però la vena svaniva. Troppo faticoso, per una mente disordinata come era allora la mia, costruire una storia. Di contro, ogni tanto ero folgorato alla lettura di poesie che ritenevo bellissime, avendo oltretutto l’impressione di non comprenderle appieno. Se ci penso, è ancora questo il compito che assegno a una poesia: quello di aprirci a una dimensione che le parole possono solo suggerire, senza chiarire mai del tutto. Bisognerebbe leggere una poesia con la stessa misteriosa gratitudine con cui si percorre un tratto di strada accanto a uno sconosciuto. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 75

di Pasquale Vitagliano

Nella “zona di interesse” non si vede passare la storia. Dunque, è lo spazio indolore dell’indifferenza. Questa è l’idea che sta alla base de La zona d’interesse (2023) di Jonathan Glazer, vincitore dell’Oscar come migliore film straniero. Svuotata di ogni significato etico, cinematograficamente si tratta di una “trovata”. Di uno spiazzamento. L’etica resta di lato e resta importante. Come si può parlare di orrore senza farlo vedere? Questa è la domanda di partenza. Esclusivamente estetica. Quante volte abbiamo visto le immagini terribili dell’Olocausto? Rischiamo l’assuefazione. Quante volte abbiamo visto le immagini dell’assassinio di JFK ad Atlanta il 1963? Peter Landesman ha inseguito la stessa idea di Glazer? E l’ha, appunto, trovata. In Parkland del 2013 entriamo nel pronto soccorso dell’Ospedale. Partecipiamo al disperato e inutile tentativo di rianimare il presidente degli Stati Uniti. Ma non una volta (ri)vediamo le immagini dell’attentato. Il punto di vista è del tutto fuori campo, nello sguardo involontario di Zapruder sui cui occhiali intravediamo il riflesso di ciò che ha filmato.

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L’alba

Gesù ci fa doni di cui non ci accorgiamo. Pensiamo di aver avuto un momento fortunato, un colpo di genio, e invece era Lui che ci ispirava, suggeriva quel gesto, ci metteva sulla bocca la parola. È l’alba sorprendente, lo scenario mozzafiato.

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Elisabetta Carbone, “La voce e le cicale”. Intervista

Intervista di Marino Magliani

Elisabetta Carbone, La voce e le cicale, Prospero Editore 2024

Per Tamara la musica è il modo di comunicare con il padre Giacomo, mentre la lettura la connette a Debora. Questi personaggi hanno quindi bisogno di un medium altro per comunicare fra loro, per tentare di capirsi a vicenda, o anche di capire loro stessi?

Tamara, Debora e Giacomo non riescono a capirsi con le parole, hanno bisogno di usare linguaggi diversi per essere in frequenza. La musica è l’unica forma di educazione di Giacomo, che riesce ad essere un esempio per la figlia soltanto nell’arte. Tamara comunica con Debora attraverso la letteratura e i gesti quotidiani. Il loro rapporto, che si costruisce poco alla volta grazie ai libri su cui Debora stessa ha imparato a prendersi cura di sé, è fatto di reciproca fiducia e condivisione. Il legame che Tamara ha con il padre, invece, si basa su una distanza che Giacomo stesso non sa superare, perché vive l’arte come un esercizio solitario, utile a glorificarlo, non come qualcosa da mettere a disposizione. È per questo che Tamara sa far tesoro dell’esperienza del padre nel mondo della musica solo quando non lo condivide più con lui, ma anche in questo senso la distanza rimane. Continua a leggere

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Lo stato dell’arte. Raffaele Floris

Provo a rispondere per punti.

1. Una delle poesie più popolari di Elizabeth Barrett Browning, The cry of the children, influì molto sul pubblico riconoscimento dell’iniquità dello sfruttamento dei fanciulli. Cosa può fare oggi la poesia, la letteratura, se non c’è una consapevolezza collettiva, o meglio comunitaria, su questi e altri temi? Niente, temo. E questo non lo dico io, lo ha affermato Valerio Magrelli lo scorso fine settimana a Volpedo, nell’ambito della rassegna Fiori di pesco (https://www.fioridipesco.it/). La poesia può soltanto offrire una visione che, pur partendo da elementi che possono anche essere autobiografici, non ceda il passo di fronte alla “logica binaria che ha ormai preso il sopravvento (…) e il pensiero tecnico ha determinato la svolta antropologica della persona da homo sapiens a homo videns” (Francesco Macciò, L’universo in periferia, ed. Moretti & Vitali 2023). Continua a leggere

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Abilio Estévez, “Testimonianze di un’orgia poetica”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Abilio Estévez, Testimonianze di un’orgia poetica, Arkadia Editore, 2023 (traduzione di Alessandro Gianetti)

Cuba, per me, è un mito un po’ come per Abilio Estévez, autore di questo libro straordinario, Testimonianze di un’orgia poetica. Per lui – già pubblicato in Italia con Tuo è il regno (Adelphi, 1999) e I palazzi lontani (Adelphi, 2006) –, perché, dopo averci vissuto e sofferto a lungo, l’ha lasciata probabilmente per sempre. Per me, perché non ci sono mai stato, pur approfondendone da anni la realtà socio-politica nelle vesti di traduttore di un altro grande – e pur diverso per stile – scrittore cubano, Amir Valle.

In qualche modo, sento vividamente quelle strade, quegli odori e quei colori – e anche i suoni, inclusi quelli che formano le parole pronunciate e quelle scritte. E conosco, o riesco perfettamente a immaginare, sia il tormento di chi non può più rientrarvi per motivi politici, sia quello di chi ci è sempre rimasto, pagando il prezzo di restrizioni, discriminazioni e castighi perché non si allineava al pensiero unico del regime castrista, o magari perché esprimeva, col suo modo di essere ancor prima che con la sua opera, una “scandalosa” visione libera dell’esistenza. Continua a leggere

Alla ricerca del “buon lavoro”: il saggio di Manuela Perrone e Stefano Cuzzilla

Il lavoro, anzi, il “buon lavoro”, è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Quando in passato ho sentito l’esigenza di cambiare, ho inviato il curriculum a tante case editrici, mirato dove avrei voluto. Mi hanno chiamato dopo 4 anni perché si era liberata una posizione, sono stata in prova per 2 anni e adesso posso dire di fare un “buon lavoro”, che è quello che mi piace, per il quale ho studiato e lasciato casa venticinque anni fa.
“Che cos’è, però, oggettivamente, un ‘buon lavoro’?” Una domanda alla quale questo libro risponde con casi di studio, statistiche, dati, interviste ai più importanti imprenditori, manager, responsabili del settore Risorse umane del nostro Paese. Fa il punto su come lo stesso concetto di lavoro sia cambiato dopo il Covid, di quanto la pandemia sia stata uno spartiacque potente sia per l’organizzazione pratica del lavoro che per le aspettative che ognuno ha, pensando all’impiego ideale.

Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane è un saggio che convoglia in un canale altamente affidabile tutto il rumore e i luoghi comuni che ruotano attorno alla questione e ne restituisce la molteplicità di voci e aspetti, attraverso il racconto di esperienze e pratiche reali. Il giovane choosy, gli anziani che non vogliono lasciare il posto di lavoro, l’intelligenza artificiale che incombe, tutto viene rivisto in chiave reale, lontana dalla narrazione non sempre corretta degli ultimi anni, e secondo una nuova filosofia del lavoro che presenta tesi molto interessanti.
I due autori – Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, CIDA e Trenitalia e Manuela Perrone, giornalista de Il Sole 24 Ore e viceresponsabile di Alley Oop – L’altra metà del Sole ? partono da due parole chiave che possono essere considerate i punti cardine del loro percorso di ricerca: benessere e persone. Continua a leggere

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Recensione de « La strada verso il canto » (RPlibri 2023) di Franca Alaimo

Il titolo “ La strada verso il canto ”  indica chiaramente come la rappresentazione del mondo si configuri per l’autrice Rossana Jemma  quale un cammino verso “quella cosa piumata” che è,  secondo una bellissima metafora della Dickinson, la Speranza che  “canta melodie senza parole/e non smette -mai-“
Il cammino è scandito dalle tre sezioni in cui si divide la silloge, definendo altrettante tappe: ‘Buio e aritmie’,  ‘Fantasmi e presenze’  e  ‘Canto e speranza’. Il filo conduttore della narrazione poetica va identificato in un profondo sentimento doloroso, declinato con tale assillo di immagini, e concrete e astratte, da dare compattezza all’intera trama compositiva. Nella prima sezione è il corpo ad urlare e di fronte all’esperienza di una malattia che ha condotto l’autrice sulla soglia della morte e di fronte all’aggressività subita da un uomo che alla farfalla ‘appena dischiusa / fremente’  ha spappolato le ali. Sarà la memoria a venire in soccorso alla poeta (‘Fantasmi e presenze’), sebbene il tempo non riesca sempre a illimpidire il male subito e gli angeli continuino a restare muti. Ma, se si fanno spazio presenze amate (la madre, un amore mai obliato, un cugino morto giovanissimo che ‘cade piano sul cuore/ si fa neve’, una cara amica), allora una dolce eco di risonanze interiori si diffonde tra i versi e le cadenze ritmiche restituiscono un distacco contemplativo e compassionevole, trasformando le immagini in epifanie.  Continua a leggere

Fare nuove le cose, fare cose nuove.


In un mondo di false novità, la novità vera è giudicata smarrimento. Si vuole incasellarla in schemi che si ritengono eterni, mentre sono incapaci di aprire uno scenario. Le scoperte scaturiscono da un gesto creativo, incurante dello starnazzare del pollaio. Qualcuno ha il coraggio di una cosa nuova ed è tacciato d’ingenuità e d’incompetenza. Ma c’è chi vive non credendo di dover essere morto  a tutti i costi.
Brindiamo alla pagina inedita: il senso è lì, ma non lo dite a nessuno. Godiamoci gli esiti, che ci ripagano del resto.

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La parola ai poeti. Giovanni Bracco

La mia idea di poesia

 

   La mia idea di poesia e il mio modo di fare poesia sono centrati sulla parola. Mi innamoro di una parola o di un verso nel quale le parole sono incastonate come note sul pentagramma. Parola e verso sono musica, ritmo, rappresentazione di realtà e anche di verità ulteriori, scaturite da profondità altrimenti insondabili. Se me ne innamoro, procedo con la scrittura, i cui tempi e i cui esiti sono imprevedibili. Non ho idea di dove andrò a parare mentre scrivo, oppure ho un’idea assai vaga e, qualche volta, fallace. 

   Quando mi chiedono che cos’è la poesia, ricorro sempre ai versi di Giuseppe Ungaretti (Commiato), nei quali mi riconosco: «… poesia / è il mondo, l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento. // Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». Continua a leggere