“Cosa rimane”, di Rita Pacilio

Recensione di Francesco Improta

Rita PacilioCosa rimane, ed. Augh! (collana “Frecce”)

Quasi in contemporanea con Pretesti danteschi per riflettere di sociologia (Guida editore 14 €), Rita Pacilio approda in libreria con Cosa rimane (Augh, collana “Frecce”, 13 €), a testimonianza della sua vena prolifica e poliedrica. Si tratta di un romanzo e rappresenta la prima prova narrativa della scrittrice beneventana, non potendosi definire tali, a dispetto della loro veste prosastica, Non camminare scalzo e L’amore casomai e avendo privilegiato in passato altri generi letterari: poesia, teatro, saggistica e persino il canto.

Al centro della vicenda, che si snoda attraverso brandelli di memoria in maniera discontinua e inquietante dagli anni Sessanta ai giorni nostri, c’è Lorena, una cinquantenne, che porta sulla pelle e nel cuore i segni di quanto sia difficile e doloroso “il mestiere di vivere”, volendo citare e, non a caso, il diario di Cesare Pavese. Nel libro, infatti, è presente anche la componente diaristica, oltre a quella onirica, epistolare e narrativa. Lorena, a cui hanno negato infanzia e adolescenza e che porta con sé un irredimibile senso di colpa per non aver saputo o potuto proteggere la sorella più piccola dai maltrattamenti subiti dai genitori e da improbabili e laidi santoni per la sua involontaria enuresi notturna (questo è il pretesto), ha sperimentato rinunce, privazioni, vergogna ma è rimasta una donna assetata d’amore, in cerca di compensazioni affettive e sensuali. A pagina 77 si legge testualmente: “La gioventù era tutta lì, un morso veloce dal sapore buono, un istinto, qualcosa a cui non si poteva rinunciare”. Mi è venuto in mente un bellissimo distico di Sandro Penna: “Forse la giovinezza è solo questo // perenne amare i sensi e non pentirsi”, ed è questa sete d’amore che la spinge a vivere esperienze traumatiche, deludenti o poco gratificanti con Pietro e soprattutto con Luca D., conosciuto in rete e rivelatosi di persona un fallimento totale.

Mentre la sorella più piccola viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico, da cui manda lettere disperate rimaste senza risposta, Lorena va avanti con la sua vita, diventa un’insegnante premurosa, preparata e sempre presente anche se la Malattia, compagna inseparabile della nostra esistenza (Svevo docet), non la risparmia. Ischemia intestinale e fibromialgia sono i mali che l’affliggono e la costringono a frequenti corse in ospedale per ricovero o semplici accertamenti. Eppure, Lorena fedele alla sensibilità e all’altruismo che connotano a livello caratteriale le donne che portano il suo nome e memore degli insegnamenti della nonna che “le aveva insegnato non solo a sognare ma anche a dividere le proprie cose con chi è meno fortunato” dedica gran parte del suo tempo libero alle attività caritatevoli e solidali della parrocchia, gestita da Padre Alfonso, aperta agli immigrati e ai senzatetto. Durante una seduta di chemioterapia in ospedale conosce una donna di nome Clara, che ha subito un intervento di mastectomia bilaterale e che si lega a Lorena di profonda, affettuosa e intensa amicizia. Clara, coniugata con due figlie, consapevole del poco tempo che le resta da vivere si è allontanata dalla famiglia, per morire in solitudine come un elefante (Cfr. Il Sempione strizza l’occhio al Frejus di Elio Vittorini e il terzo racconto di Storia di Irene di Erri De Luca). E quando si accorge che è giunta la sua ora si fa accompagnare a casa da Lorena ma le proibisce di rimanerle accanto e le regala, invece, la propria borsa come ricordo, una borsa non priva di sorprese. Anche il nome di questo personaggio non è scelto a caso – del resto in arte nulla è casuale – Clara rispecchia la trasparenza e la luminosità di carattere di chi non si nasconde nell’ombra o dietro false giustificazioni, condannando, in nome della verità vero e proprio imperativo categorico, l’ipocrisia e la “religione” delle apparenze e della convenienza vigenti nella nostra società. Personaggio autentico che si mette a nudo fisicamente (bellissimo l’incipit in cui Clara si masturba davanti allo specchio, offrendo il suo corpo e il suo piacere alla donna di cui è innamorata) e psico­logicamente. Clara è una della facce dell’amore che permea, ora come bisogno ora come speranza sia pure illusoria, tutte le pagine del libro. Un’altra faccia non meno rilevante è quella di Luca, l’homeless, che ha abbandonato la moglie e la figlia, Serenella, per sottrarsi a uno scandalo e alla vergogna che ne consegue e per darsi a una vita randagia. Lorena lo incontra vicino al portone di casa sua mentre, nel suo cappotto sdrucito, sta allestendo con un cartone il proprio giaciglio. Ha con sé un gattino raccolto per la strada e un salvadanaio di creta ricordo della sua bambina. Lorena lo invita a casa sua, gli mette a disposizione una doccia calda, dei panni puliti e un piatto di pasta. A tavola entrambi si sciolgono, raccontandosi vicende e sofferenze e poco alla volta si spogliano delle paure, delle ansie e delle umiliazioni. I loro cuori si sbrinano dal gelo accumulato e con infinita tenerezza si ritrovano l’una nelle braccia dell’altro, consumando un amore che entrambi sanno senza domani.

Sullo sfondo una folla di personaggi, tutti caratterizzati con mano ferma, parenti, amici, colleghi e quella portinaia, che soprattutto al Sud diventa una specie di gazzettino che raccoglie e amplifica notizie e umori e che si rivela, oltre che pettegola, intollerante e razzista. Non mancano accenni alla situazione attuale, alla pandemia e alla crisi economica: “Le saracinesche abbassate racchiudono dietro di sé tanta tristezza e sacrifici che non sono bastati. Le iniziative di beneficenza si concentrano esclusivamente intorno alla Parrocchia di Santa Maria. Chiunque arriva al centro di ascolto e accoglienza sembra cercare, prima ancora del cibo o di un letto, la propria identità”. Alla base del romanzo si rileva quella dialettica lacrima/sorriso che connota la nostra vita anche se la bilancia pende decisamente dalla parte del dolore che si annida dovunque, in uomini, animali e cose. Emblematica a tal proposito la vicenda mitologica di Orfeo ed Euridice, citata nel romanzo, e il cui amore è funestato dalla morte di lei e dalle lacrime del cantore che torna a gioire dopo aver impietosito Plutone e Proserpina, prima di precipitare nella disperazione più cupa per non aver rispettato le condizioni imposte dal re degli Inferi e aver perso defini­tivamente la propria diletta compagna.

Il romanzo, brulicante di vite, storie nelle quali il piccolo e il grande, il vicino e il lontano, la poesia e la prosa s’intrecciano in un trascinante gioco di prospettive, è percorso costantemente dal tema della morte, ultima e ineluttabile tappa di quel viaggio funestato da delusioni, sofferenze, malattie e vecchiaia che è la nostra esistenza.

A livello strutturale Cosa rimane si compone di venticinque capitoli che non hanno un andamento lineare né seguono un ordine cronologico: passato e presente si alternano e si sovrappongono continuamente conferendo vivacità e spessore alla narrazione. Talvolta si ha l’impressione di assistere a un gioco di specchi o a una serie di scatole cinesi che si incastrano l’una nell’altra in sequenza. La scrittura chiara, efficace e ricercata è impreziosita da immagini poetiche e da alcune calibrate citazioni letterarie (F. Kafka, Lettere a Milena), artistiche (G. L. Bernini e Caravaggio) e cine­matografiche (C. Vidor, Gilda). Valgano come esempi della prosa della Pacilio questi due brani: “Tante persone dalla pelle scura, tutte addossate una all’altra come un brivido. Sembra che la fatica della vita e l’eternità di ogni istante si siano fissate sulle loro labbra asciutte, screpolate e gonfie. Portano la paura della morte negli occhi disperatamente spalancati.” Siamo, come si può facilmente arguire, nel centro di accoglienza di Padre Alfonso mentre nel secondo caso l’autrice traccia un ritratto abbastanza eloquente della protagonista: “Era cresciuta con valori semplicissimi, quelli umili, legati all’essenza pura delle cose: la gioia di appartenersi, accontentarsi del mattino e dell’arrivo della sera, il sacrificio di stare nella vita facendosi spazio ma rispettando tutti e tutto. Lei chiuse in una valigia le sue poche cose. Sotto la pioggia che cominciava a macchiare il cappotto, un sabato mattina partì”.

Cosa rimane è una piacevole sorpresa da non perdere.

 

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Informazioni su giovanniag

Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976), è scrittore, traduttore letterario e blogger. Autore del libro di viaggio "Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa" (Fusta Editore, 2020) e del romanzo psicologico "Viale dei silenzi" (Arkadia, 2019), ha anche preso parte al romanzo collettivo "Il postino di Mozzi", a cura di Fernando Guglielmo Castanar (Arkadia, 2019). È inoltre autore di una quadrilogia di romanzi distopici sul tema del crollo di internet e della società del controllo ("Sentieri di notte", "Partita di anime", "La casa degli anonimi" e "L’ultimo angolo di mondo finito", editi da Galaad tra il 2012 e il 2017 e in prossima riedizione in volume unico), in parte pubblicata anche in spagnolo e in polacco e in prossima riedizione in volume unico. Ha scritto, curato e tradotto vari libri sulle opere di J.R.R. Tolkien (su tutti, "Tolkien. Light and Shadow", opera bilingue italiana-inglese, ed. Kipple, 2019), e tradotto o co-tradotto saggi su William Shakespeare e Roberto Bolaño ("Bolaño selvaggio" a cura di Edmundo Paz Soldán e Gustavo Faverón Patriau, ed. Miraggi, 2019, tradotto insieme a Marino Magliani), oltre a libri di Jorge Mario Bergoglio, Kamala Harris, Arsène Wenger, Amir Valle e Peter Straub. Ha partecipato a numerose residenze letterarie e reading in Europa e negli Stati Uniti, e traduce da inglese, spagnolo, francese e portoghese, oltre a parlare il polacco. I suoi contributi critici sono disponibili sui blog “La Poesia e lo Spirito”, “Lankenauta”, “Poesia, di Luigia Sorrentino” e “Postpopuli”. Insieme alla giornalista Valeria Bellagamba, ha creato e gestisce la pagina Facebook "Anticorpi letterari", con interviste in diretta video a protagonisti del panorama culturale italiani e internazionale. Il suo sito è www.giovanniagnoloni.com.

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