Intervista a Cristina Bove

di Raffaela Fazio

Cristina, cosa è venuta prima, la tua arte figurativa o la tua poesia? Da cosa sono nate? 

Ho cominciato a disegnare da piccola, prima con pastelli e matita, poi colori ad olio e tante altre tecniche nel corso della mia lunga vita fino all’attuale computerArt in cui mi cimento elaborando sovrapposizioni di miei dipinti e di soggetti ugualmente da me fotografati.
Contemporaneamente mi sono occupata anche di  scultura, di scrittura con racconti brevi, un romanzo pseudobiografico, e soprattutto poesie.   

La tua scrittura è precisa e densa, spesso ironica, sempre sostenuta da un pensiero che concilia trasparenza e policromia in maniera suggestiva, mai scontata. Quanto tempo ti è occorso per raggiungere la tua “cifra stilistica”? La ricerca in campo artistico ha avuto uno sviluppo simile? Puoi dire di essere approdata a una forma “definitiva” oppure senti che il percorso rimane aperto a ulteriori svolte?

In verità non so come sia accaduto, nelle varie espressioni artistiche ho sempre creato istintivamente, non avendo formazioni scolastiche specifiche. In passato ho dipinto, partecipato a mostre, realizzato progetti scultorei, e scritto per diletto. Dipingo e scrivo ancora, senza pormi un traguardo, sorpresa io per prima di quanto scaturisce dalla mia tastiera e dalle mie mani. Altro non saprei dire. 

 

Sei mai stata tentata di smettere di scrivere o di dipingere? Quali sono stati (se ci sono stati) gli snodi più difficili? 

Ho avuto momenti di stasi nell’affrontare malattie e ricoveri ospedalieri, ma non ho mai pensato di smettere. Pur essendo madre di quattro figli (con tutto quello che comporta) ho sempre trovato il tempo per leggere, scrivere, dipingere. 

 

Come lettrice di poesia, c’è qualcosa che ti interpella in particolar modo nella scrittura altrui? C’è qualcosa che ricerchi?

Mi interessa la scrittura altrui quando ne avverto il respiro universale, quando l’autore esprime nei suoi versi percorsi esistenziali che appartengono a tutti gli esseri umani, soprattutto l’infelicità che deriva dall’osservazione della sofferenza, fisica e spirituale, dalla constatazione della provvisorietà, dalla filosofia del profondo. Penso che la poesia, così come tutte le forme d’arte, debba comunicare un senso d’oltre.

 

Credi che l’artista in generale abbia una responsabilità? 

Forse ce l’ha, in quanto elaboratore-espositore di un pensiero, di un concetto, di un’immagine, scaturiti da un’ispirazione che l’artista stesso non sa da dove proviene. Dovrebbe essere il suggeritore di quel senso d’ineffabile stravaganza che ne guida ogni manifestazione: sensazione così intensa, talvolta quasi una vertigine, che lo attraversa e tuttavia lo salva dalla costante sua melanconia.

 

Credi che la (legittima) aspirazione dell’artista ad essere “compreso” possa in qualche modo incidere sull’auto-auscultazione e sulla propria urgenza espressiva?

Per quanto mi riguarda, posso dire che da giovane c’era, questa aspirazione ad essere compresa, ma con l’età è subentrata una modalità diversa, una condivisione offerta a chi la vuole accogliere, senza alcuna pretesa di notorietà a tutti i costi. È una scoperta di serena bellezza che coinvolge le menti e le fa dialogare oltre le parole, oltre i colori, oltre la musica. Rimane solo il desiderio di Armonia.

 

Quali sono, a tuo parere, i punti di forza e i punti deboli del tempo attuale?

Un punto di forza innegabile è quello che stiamo vivendo appieno grazie alla tecnologia che ci permette di comunicare come mai avremmo potuto in passato. Internet ha stravolto ogni criterio precedente, permettendo l’accesso a un’informazione globale, rendendo possibile manifestarsi e condividere, nel bene e nel male. I punti deboli sono la dispersività, la possibilità di diffondere oscenità e depravazione, di condizionare coscienze in via di formazione, ecc… Nondimeno  permette, a chi non è mai stanco di apprendere, di dare maggiore luce alla propria esistenza, di accedere a un’infinità di conoscenze davvero ineguagliabile. Personalmente mi ha arricchito nella lettura e nell’arte, soprattutto mi ha fornito l’opportunità di stringere amicizia, realmente e virtualmente, con persone di grande spessore umano e intellettuale. Questa intervista ne è un’amabile conseguenza. Grazie.

 

Da “La simmetria del vuoto” (2018 Arcipelago Itaca Edizioni)

 

Malgrado i convenevoli

 

Vestirsi dell’umore più idoneo

dare il  buongiorno al cielo piovuto sul terrazzo

il miagolio d’un gatto

_ una fotografia senza soggetto_

 

Starsene fermi

su questo mondo che ci ruota sotto

perennemente in viaggio verso est

e dirsi in versi 

forse nel tentativo di sottrarsi

non solamente al male  

ma anche alla terribile bellezza  

che annichilisce e ammalia

 

La terra è un campo coltivato a sassi

ci sono uova di pietra nelle tane  

le covano gli uccelli della morte

:ne sgusceranno  e sembreranno vivi

uomini tutti uguali

_diventeranno folle addormentate_

 

Sui balconi

vestirsi del saluto d’ogni giorno 

scriversi addosso che la vita è vita

se si rimane svegli

 

*

 

Luogo a recedere

 

terre disabitate  _sembrano_
trafitte dalle cose maledette

 

ogni paese ha mezzelune e croci profilate nei cieli
angusti varchi tra minareti e cupole: a quel dio
dal bellicoso cuore,  immagine degli uomini
che hanno perduto il senno

_e sono morti tutti gli ippogrifi_

Non abbiamo più scampo
in questi tempi di furore e sangue
narcotizzati come siamo, talpe
bulimiche all’ingrasso

cincischieremo ancora con le pagine
di network e affini
c’illuderemo d’essere importanti
accompagnando versi con le cetre _intanto che
le capitali degli imperi bruciano

 

perché siamo incapaci
di progettare mondi alternativi
al n(m)ostro vivere

 

*

 

da “Una donna di marmo nell’aiuola” (2019 Campanotto Editore)

 

Casa morgana e finti corridoi

non  un suono pronuncia  il disordine
il vedere chiassoso impagina murales
_nel disimpegno lungomare_
strade con solo un margine 
dall’altro non finisce e non si va
ci si trattiene a viversi di lato
tralasciati da punti in sospensione
in un bizzarro ritenersi astanti

le superfici espongono palazzi
come fossero veri
_le pareti si fingono distanti_
e non si appare che vestiti vuoti
appollaiati alle finestre
vapori a fil di vento
a tessere giornate in spazi assenti

città dipinte nei colori onirici
intorno a tutti i sé temuti e amati
_ci si può stare in tanti_
suggeriscono strade sul confine
oltre le cose conosciute e solide
varchi da cui si possa intravedere
un altro esistere                _forse_

 

*

L’eroe dismesso (soltanto l’ippogrifo prese il volo)

«Io sono colui che viene dal profondo. Mylords, voi siete i grandi e i ricchi. Cosa pericolosa. Voi approfittate della notte.» Victor Hugo L’Homme qui rit

accese il fuoco

sedette sotto l’albero del pane

gesti lenti  

_era la madre a nascergli carezze_ 

le madri che li danno alle battaglie

 chiari e scuri

il mito della genesi perfetta

scontrarsi con la morte ad ogni istante

 

smise le lame e le corazze

intorno un nuvolare di fantasmi

presero il posto dei caduti

saggi o folli, svuotati di sé stessi

disarcionati dalle ideologie

_soltanto il sangue rimaneva in sella_

nudi fino al fuggire dei ricordi

 

che c’entrano le fate

quando la nave è un grido  

pensava disegnando nell’argilla

un SOS monocromatico

_né dalle stelle avrebbero mai letto_

ma la speranza affligge i miserabili

gli dei delle risate hanno tagliato bocche

eppur si ride

perché l’imperatore s’è vestito

e mostra solo ciò che vuol mostrare

 

sbucarono dai sogni antichi schiavi

scesero tra le gomene sfinite

s’udirono rintocchi di campane

un battito sonoro d’ali nere

e tramontò la terra

con tutti i suoi tiranni 

e i suoi Gwynplaine


*

Inediti 

 

Nel cerchio d’una lingua ignota

 

e si capiva

come se fosse d’acqua

un ruscellare in vuoti da riempire

e i fossili tornavano animati

a dire del nontempo e delle stelle

il prima e il dopo 

il noi delle infinite vite  

 

fu pronunciata un’alba nel remoto

e nel presente luccicò una frase

scorrendo in quell’invaso senza fondo

ci travolse

e mentre cercavamo di svelarla

ciascuno seppe d’essere scintilla  

d’un puzzle senza inizio e senza fine

 

*

 

Sdialogo ai confini del sé

 

Lo vedi  

come declina rapida ogni gloria

come ci si dimentica dei nomi

e come si sparisce dalla scena?

Lo vedo

è un vuoto che fagocita gli assenti

uno scenario d’ombre 

e le parole dette e quelle scritte

un domino di tessere cadute

 

Lo vedi

che  mentre dici “sono”

non essendo chi eri e chi sarai

sei l’entità di un attimo

ossimoro infinito?

Lo vedo

ma non essendo il centro 

né la circonferenza della sfera

sono chi non esiste eppure esiste

il suo mistero 

 

Cristina Bove (Napoli 1942) vive a Roma dal 1963. Da giovane ha vissuto a Tunisi, dove fu allestita con successo la sua prima personale di pittura.  È sua la scultura in bronzo dell’hotel Sabbiadoro a S. Benedetto del Tronto. Negli ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia e all’arte digitale. Tra i suoi libri ricordiamo Una per mille (romanzo – 2016 edizioni Fusibilia); con le edizioni Il Foglio Letterario, Fiori e fulmini (2007), Il respiro della luna (2008), Attraversamenti verticali (2009); Mi hanno detto di Ofelia (2012 – Edizioni Smasher); Metà del silenzio (eBook  2014 –  Edizioni PiBuk); Una donna di marmo nell’aiuola (Campanotto editore 2019);  La simmetria del vuoto (2018 – Arcipelago Itaca Edizioni). 

Il suo blog personale: https://cristinabove.net/

Il blog collettivo da lei curato: http://giardinodeipoeti.wordpress.com/

 

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