Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro. Sesta domenica di Pasqua


V
I domenica di Pasqua, anno A, [Gv. 14,15-21]

 

Sarà possibile qualunque acquisizione di sé che non parta da una spoliazione di sé?

Quante volte abbiamo sentito dire che per amare gli altri, prima bisogna amare se stessi? E, siccome, ci si ritiene (falsamente e ipocritamente) incapaci di amarsi, non si ritiene possibile l’amore verso gli altri.

Molto semplicemente, possiamo affermare che non esiste amore di sé che non sia amore per l’altro. Come non esiste percezione di sé che non sia percezione dell’altro. “Voi in me e io in voi”.

Non si dà l’uno senza l’altro. L’amore è comunitario o non è.

Michel de Certeau: “Nessun uomo è cristiano tutto solo, per lui stesso, ma in riferimento e in un legame con l’altro, nell’apertura a una differenza invocata e accettata con gratitudine. Questa passione per l’altro non è un istinto primitivo a ritrovarsi, e neanche si aggiunge come una forza in più o un vestito alle nostre competenze e alle nostre acquisizioni; è una fragilità che spoglia le nostre solidità e introduce nelle nostre forze necessarie la debolezza di credere”

[ “Nul homme n’est chrétien tout seul, pour lui-même, mais en référence et en lien à l’autre, dans l’ouverture à une différence appelée et acceptée avec gratitude. Cette passion de l’autre n’est pas une nature primitive à retrouver, elle ne s’ajoute pas non plus com me une force de plus, ou un vêtement, à nos compétences et à nos acquis; c’est une fragilité qui dépouille nos solidités et introduit dans nos forces nécessaires la faiblesse de croire ” (dans: La faiblesse de croire, Seuil, 1987, p. 313). ]

Non basta neanche essere per l’altro, oggi è necessario essere con l’altro. “Io sono nel Padre e voi in me e io in voi”. È un ambito vitale che si instaura, è un’aria che si respira e che ci scopre incapaci di respirarla, perché brucia, come brucia l’aria quando entra per la prima volta nei polmoni del neonato. E il bambino piange. Non piange di gioia. Piange di dolore. È il dolore della dilatazione del respiro, dell’accettazione della differenza, dell’alterità che, costitutivamente, entra in noi. Solo dopo, il dolore diventa capacità di recepire il profumo. L’ essere-nel-Padre di Cristo è passaggio di croce, è spoliazione di sé, è “lacrime e sangue” nella notte degli ulivi, è “agonia”, cioè lotta. Ma, alla fine, è remissione, è donazione, è coraggio di debolezza. Perciò è resurrezione.

Il nostro essere in Cristo non sarà mai acquisizione di forza da contrapporre ad altre forze, ma scelta di debolezza, acquisizione di debolezza da affiancare ad altre debolezze. In questa comunione d’amore, in ogni comunione d’amore, non ci sarà mai confusione, perché resta la differenza, che, della comunione,  diventa la cifra. Differenza, però, non è separazione, ma solo distinzione che ci permette di pensare l’altro come altro, di percepirlo come altro, di accoglierlo come altro. Differenza è anche reciprocità, che genera e stabilizza gioia.

“Chi mi ama sarà amato” ma è anche vero che chi è amato non può non amare. Non è questo il nostro credere?

Che sia  debolezza, debolezza di credere. Inizio di ogni forza.

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Un pensiero su “Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro. Sesta domenica di Pasqua

  1. S&R

    Debolezza, spoliazione, alterità sono come declinazioni della parola “amore”, oggi così dimenticate!
    Grazie per questa riflessione che riporta al centro del messaggio cristiano.

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