Archivio mensile:Marzo 2013

Tre consigli e un’inattesa realizzazione

In tempi come questi in cui nulla sembra poter resistere alla tentazione di dover venire reinventato, e in cui tablet e touch screen paiono le uniche parole in grado di poter far riaffiorare l’editoria dal pozzo senza fondo in cui è da tempo precipitata, ci sono tre libri in cartaceo che sanno, col semplice uso dell’immaginazione (un’immaginazione artigianale e non necessariamente digitalizzata), riportare nel perimetro del quotidiano un senso forse perduto di creatività.
Il primo l’ho scovato l’anno scorso in piazza Spui ad Amsterdam, nell’American Book Center, una delle mie librerie preferite della capitale olandese: s’intitola “Big Bad City” ed è un inconsueto e sorprendente capolavoro fotografico di Slinkachu.
Slinkachu (il cui vero nome è sconosciuto) è quello che si suol chiamare un urban artist, un creativo di grande talento che in “Big Bad City” ha ritratto persone ed oggetti minuscoli posizionati nei più (in)consueti contesti cittadini.
Come ha fatto giustamente notare il Time, Slinkachu realizza un’opera semplice ma al tempo stesso dotata di un grande potere evocativo: “anche se sappiamo che si tratta solo di piccole figure in metallo non possiamo fare a meno di sentire, in ognuna delle situazioni in cui sono state posizionate, qualcosa dei nostri timori e delle nostre incertezze, in particolar modo la paura di ritrovarci persi e vulnerabili in una grande e indifferente città”.
Slinkachu mette in scena quel senso d’isolamento che molte grandi realtà metropolitane suscitano in chi ci vive: un omicidio sul bordo di una pozzanghera, una famiglia che fa un pic-nic vicino all’immondizia, un uomo sul punto di suicidarsi?, tuffarsi? dall’argine di un immenso fiume. L’effetto che Slinkachu ottiene con le sue fotografie, facendo ogni volta seguire al primo piano il contesto allargato in cui i suoi protagonisti sono stati inseriti (Londra, ma potrebbe trattarsi di una qualunque altra città nel mondo) è insieme straniante e coinvolgente: uno scarto improvviso, un inaspettato unheimlich in cui diviene difficile discernere quale dei due scatti costituisca l’evento ‘familiare’ divenuto improvvisamente ‘estraneo’: siamo noi quelle piccole figure incollate sull’asfalto? E se sì, chi sono i giganteschi esseri che ci camminano, mangiano, corrono, lottano e respirano sopra?
Slinkachu dichara d’essere partito dal pensiero Continua a leggere

YEHOSHUA di Fabrizio CENTOFANTI. Recensione di Augusto Benemeglio

YEHOSHUA FABRIZIO CENTOFANTI

“Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia, ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra”

(J.L.Borges) 

1.“Yehoshua di Fabrizio Centofanti , editrice clinamen, 2013 , è  la confessione di un prete-poeta “Io sono tutti voi, sono una comunità, sono un  popolo intero. Certo è che devo pagare per tutti, devo pagare in termini di sofferenza e pena , di dubbi , angosce e disperazioni , di incontri-scontri con un Dio che ama e soffre , che lacrima sangue , coinvolto com’è nella pena e nella storia dell’uomo e del suo peccato, delle eterne attese e speranze dell’uomo… Come avrete capito , è un romanzo scritto con la penna intinta nel proprio sangue, un po’ come faceva Van Gogh con i suoi dipinti , che ha in sé anche una componente da thrilling sacro.   L’incipit del romanzo è già una dichiarazione d’intenti , in questo senso. In una Basilica , che si capisce essere quella del Santo Sepolcro , – che si eleva nel cielo , col peso infinito della luce , col sudore della terra ,  maschera sacra che consuma volti di pellegrini ignari , – una bomba è deflagrata, un’altra Guernica del terrorismo ha squarciato qualcosa,  “pezzi di ferro, legno e carne umana che volano in ordine sparso nello spazio diventato incandescente, una nuvola dai contorni indefiniti che consuma tutto ciò che tocca, riducendolo in polvere ustionante”.(vds.pag.18) Continua a leggere

heinrich altherr engel

Ana Blandiana ( Romania, 1942)

 

Hotarul

Caut începutului raului
Cum cautam în copilarie marginile ploii.
Alergam din toate puterile sa gasesc
Locul în care
Sa ma asez pe pamânt sa contemplu
De-o parte ploaia, de-o parte neploaia.
Dar întotdeauna ploaia-nceta înainte
De a-i descoperi hotarele
Si reîncepea înainte
De-a sti pâna unde-i seninul.
Degeaba am crescut.
Din toate puterile
Alerg si acum sa gasesc locul unde
Sa ma asez pe pamânt sa contemplu
Linia care desparte raul de bine.
Dar întotdeanuna raul înceteaza-nainte
De a-i descoperi hotarul
Si reîncepe-nainte
De-a sti pâna unde e binele.
Eu caut începutul raului
Pe acest pamânt
Înnorat si-nsorit
Rând pe rând.

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“ALCUNE PAROLE PER ALICE”, DI MICHELE TONIOLO

Intervista di Giovanni Agnoloni

Alcune parole per Alice, di Michele Toniolo (Galaad Edizioni; collana “Lilliput”) è un libro apparentemente minuscolo (solo per le dimensioni), ma in realtà di una qualità letteraria e di una densità emotiva assolute. Racconta, dal punto di vista un narratore esterno, la straziante vicenda di una madre che perde il figlio per una grave malattia.

Ho avuto il piacere di intervistare l’autore – che è anche un editore (Amos Edizioni) -, che ci illustra tutti gli aspetti della sua opera.

Toniolo

– Una storia segnata dal dolore. Un diario intimo, con una ritrosia da parte della protagonista, che lascia che sia un’altra persona a dare voce al suo strazio. Ma il dolore si può raccontare?

La scrittura è fondazione. Scrivere è cercare ciò che ancora non siamo e non conosciamo. Ci si deve spogliare, però, per andare incontro a ciò che si cerca, per accoglierlo bisogna avvicinarsi a mani nude. La spogliazione è necessaria perché ci dobbiamo disfare delle nostre parole, delle nostre strutture, non dobbiamo metterle davanti ai nostri passi, ma neppure dietro: bisogna lasciare tutto a casa. Solo nella nudità può esistere, mi sembra, la scrittura letteraria. Solo in questo modo si può incontrare ciò per cui ci si è mossi, lo si può ascoltare in modo aperto e pieno, se ne accolgono le parole che, in questa fase, non sono ancora nostre. Poi, queste parole, devono essere combattute, lottate: è questo che esse chiedono. Devono essere trasformate, quasi ricacciate indietro, anche se le teniamo strette. Dobbiamo ritrovare non le nostre parole ormai morte ma il nostro fondamento spirituale, e lottare con la verità che abbiamo incontrato, trasformare le sue parole in qualcosa che non è più la verità ma non la contraddice, in qualcosa che non è ciò che noi eravamo ma ciò che stiamo diventando, che dobbiamo diventare, ciò che siamo ormai, grazie alla scrittura. La vita è metamorfosi, dono. Solo così, per me, è possibile scrivere con intensità e rispetto.

C’è un paradosso, però, nel linguaggio: ci è stato donato per capire qualcosa – dolore, morte, ma anche gioia, felicità – che, con le parole, non è possibile comprendere pienamente. In questo paradosso, in questa soglia di impossibilità, sta la scrittura letteraria. Continua a leggere

Axis Mundi. Racconti della Brianza

 

chierichetti

 

AVODA’ *

di  Gianni Fumagalli

Era l’aura di mistero che circondava la chiesa ad attirarmi e non la vita religiosa in sé, non la fede indotta nei bambini e neppure la religiosità  mite e bonaria di mia madre.

Sono nato e cresciuto in una famiglia brianzola molto religiosa e abitavo in un cortile prossimo alla chiesa. La vita era scandita dal suono delle campane, le ore dai rintocchi e le festività solenni dalle canzoni religiose suonate a martello che rallegravano tutta l’etere. L’illuminazione della chiesa, nella festività della patrona, mi sembrava un sogno. La guardavo dal mio cortile e mi chiedevo come fosse possibile salire fin lassù, in cima al campanile, per metterci le lampadine – ma chi sarà mai stato e come avrà fatto, si saranno calati dall’alto o avranno utilizzato qualche sistema misterioso, sono proprio bravi e perché non mi sono accorto di nulla? un giorno semplicemente erano su!

Quando accompagnavo la mamma alle funzioni non m’interessavo del rito ma ero distratto da una moltitudine di immagini, voci, persone che abitavano la chiesa come comparse di un’operetta, canti e in particolare le cerimonie. Lo sguardo finiva sulle scarpe di don Piero e il pezzo di pantaloni che si intravedeva sotto la veste – ma allora si vestono come noi e come fanno la pipì i preti? – Oppure mi perdevo ad osservare la fila di persone che sgranava verso la comunione e a fantasticare sulla molteplice varietà del genere umano – quella signora cammina con difficoltà chissà cosa avrà mai e le scarpe di quel ragazzo sono proprio belle e il sedere di quella donna che si è fermata qui di fianco lascia intravedere le mutande e come è sorridente il viso di quella ragazza e sgradevoli le voci di quelle anziane che strillano le solite canzoni – Continua a leggere

“LE PORTE DELLA NOTTE” DI AMIR VALLE IN USCITA CON ANORDEST

In prossima uscita con le Edizioni Anordest (collana “Criminal Brain”), il romanzo dell’autore cubano Amir Valle Le porte della notte, per la traduzione di Giovanni Agnoloni. Le porte della notte è il primo libro della serie “Discesa all’inferno”, che ha già riscosso grande successo a livello internazionale ed è basata su crimini scioccanti del mondo della marginalità cubana, magistralmente ritratti da questo scrittore e giornalista e legati a spunti offerti dalla cronaca e dalla storia dell’isola caraibica.

Le porte della notte

LE PORTE DELLA NOTTE – A partire dal ritrovamento del corpo sfigurato di un bambino nelle acque della baia de L’Avana, ha inizio la ricerca degli assassini nei bassifondi dei quartieri più malfamati della città. È il tenente della polizia cubana Alain Bec a condurre le indagini su una vicenda che ha tutte le caratteristiche di un omicidio pedofilo, nell’ambito della prostituzione infantile tra ricchi e corrotti: europei con bimbi cubani con ritardi mentali, finanche con la sindrome di Down. Un’inchiesta dura e difficile, in cui è implicata anche la “mafia” locale, e che fa venire alla luce il marcio che è dentro ognuno di noi, e il fatto che a pagarne le conseguenze sia sempre la parte più debole e indifesa di ogni società: quella dei bambini. Continua a leggere

Autismo corale, di Franco Arminio

grillo e berlusconi

Da alcuni anni parlo di “autismo corale”. L’autismo corale è il clima morale e antropologico in cui è nata e si è sviluppata un’azienda rabbiosa fondata da un energico personaggio televisivo.
L’autismo corale ci dice in sostanza che la società è in via di sparizione e con esso la politica, che da sempre si dà il compito di organizzare la società.
La rete è una grande rivoluzione perchè abolisce lo spazio e il tempo. La democrazia non c’entra niente con la rete. Qui si produce una nuova teologia. Ogni post è una sorta di miracolo minore per adire alla via della fama. Ma qui non si parte alla pari. Se io metto una mia foto su facebook prendo venti “mi piace”. Saviano ne ha presi ventimila. La rete non è altro che il luogo in cui si amplifica l’autismo corale, che a sua volta non è altro che la fase terminale del capitalismo. Grillo e Berlusconi passeranno e il problema non è inseguirli, ma costruire con pazienza, giorno dopo giorno, nuclei di verità e di vita comunitaria. Bisogna anche sapere che sono esperienze labili, provvisorie, ma sono le uniche che ci possono consentire di uscire da questa allucinazione collettiva che ha inoculato nel singolo cittadino la paranoia della casta.
Il capo di un movimento che non c’è vuole demolire i capi di partiti che non ci sono. La battaglia si trasforma inevitabilmente in una gigantesca fiction ed è diventata subito un nuovo genere televisivo che ha invaso i palinsesti dal giorno dopo le elezioni di febbraio 2013. Non siamo andati a votare per dare un governo al paese, ma per creare un nuovo genere di intrattenimento. In fondo da questo punto di vista Grillo continua a fare il suo mestiere e pure Berlusconi. Chi è fuori luogo in questa dinamica è la sinistra, non a caso brutalmente accantonata quando ancora si presenta come tale. Per vincere in questo nuovo reality che è il governo del paese da quelle parti si invoca un nuovo giocatore, il sindaco di Firenze, titolare dalla giusta evanescenza per governare una società irreale.

Pasqua 2.0, le nuove strade digitali della fede cristiana a Eta Beta su Radio1 Rai

papa-bergoglio

Appena eletto, nel giro di qualche ora, ha innescato oltre otto milioni di cinguettii su twitter. E in pochi giorni i suoi discorsi sono tra i più seguiti e condivisi nella rete dei social network. Anche in mancanza di una presenza diretta, papa Francesco è già una star del web. Ma che prospettive apre la presenza sempre più massiccia della sfera religiosa su internet? Che tipo di spiritualità annuncia?
Se ne parla sabato 30 marzo, alle 10.15 su Radio 1 Rai, nella nuova puntata di Eta Beta, ideata e condotta da Massimo Cerofolini. Tra i temi trattati, il rapporto tra fede e tecnologia, la diffusione del messaggio evangelico su internet, il confronto telematico spesso aspro tra cattolici e non credenti, il rischio di privilegiare i rapporti virtuali su quelli reali.
Intervengono tre esperti: padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica e autore del saggio Cyberteologia, Chiara Giaccardi, docente di Sociologia e antropologia dei media all’Università cattolica di Milano e don Fabrizio Centofanti, ideatore dei blog “La poesia e lo spirito” e “Gesù per atei“.
www.etabeta.rai.it

I LIBRI DEGLI ALTRI n.34: Metafisica dell’evento casuale. Giovanni Di Giamberardino, “La marcatura della regina”

Giovanni Di Giamberardino, La marcatura della reginaMetafisica dell’evento casuale. Giovanni Di Giamberardino, La marcatura della regina, Roma, Edizioni Socrates, 2012

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di Giuseppe Panella

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Il romanzo d’esordio del giovane Di Giambernardino si chiude con una riflessione di grande densità metafisica sull’ontologia naturale delle api, con una domanda, in sostanza, sulla ragione profonda della loro esistenza e della loro breve vita. Se gli alveari sono perfette costruzioni geometriche che possono destare l’invidia di un architetto umano (un paragone che caratterizza una delle pagine più belle contenute in Il Capitale, libro I di Karl Marx[1]), la loro ragion d’essere non è affatto chiara da un punto di vista teleologico. Inoltre, all’interno dell’alveare – nota Di Giambernardino – la figura dell’ape regina, verso la quale si convoglia tutto il lavoro delle api operaie, non è connotata in alcun modo, anche se essa è riconosciuta dalle altre componenti del consorzio animale cui essa appartiene. Per questo motivo, gli apicultori procedono al procedimento noto come “marcatura dell’ape regina” in modo da sapere sempre dove essa si trovi e come operi ai fini della produzione del miele. Per questo motivo:

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La sostenibile pesantezza della grazia

di Ezio Tarantino

pesodellagraziaChristian Raimo aveva fin ora pubblicato due raccolte di racconti (molto belle), parecchi anni fa. Ma ha fatto anche tante altre cose: è stato (è? esistono ancora i TQ?) tra i più attivi nel gruppo di scrittori fra i trenta e i quaranta (Generazione TQ, appunto), scrive molto sulla rete, cura raccolte di racconti altrui, lavora per importanti case editrici, è stato curatore di Orwell, lo sfortunato supplemento culturale di Pubblico, il giornale di Luca Telese naufragato dopo pochi mesi di vita, e in più insegna in un liceo. Ma non si era ancora misurato con la forma romanzo.

Il peso della grazia (Einaudi, 2012, p. 453, € 21) è un romanzo coraggioso e ambizioso. Vi si parla di Dio, di amore, di vita, di inferno e paradiso (l’inferno e il paradiso senza nominarli proprio così – Dio e l’amore sì, invece). E’ un romanzo coraggioso perché da un lato si offre ad un tipo di lettore ben identificabile (direi tra i venticinque e i quaranta, colto, o almeno istruito, precario, disilluso, politicizzato, ideologizzato o no – sia per i contenuti che per lo stile: penso a certe similitudini da nerd: il cielo ora è pieno di nuvole che sembrano “isole di terra in SuperMario Bros”, ora si apre in “pop-up di azzurro”, e le giornate si schiariscono come quando sul Mac si pigia tante volte il tasto F2; e a una punteggiatura ironicamente elusiva e giovanile, a un uso espressivo dei caratteri tipografici – spazi bianchi al posto di silenzi, puntini di sospensione ossessivi, pagine interamente bianche), cui attinge e restituisce voce, uno sguardo, sentimenti; da un altro lato affronta di petto, senza sconti, con estrema lucidità e aggiungerei anche onestà e franchezza il tema del rapporto non tanto con Dio, ma proprio con Gesù Cristo, anzi, con la religione cattolica. E lo fa all’interno di una tormentata, sputtanata e sputtanante storia d’amore.
Il tentativo sembra per un verso quello di recuperare il racconto della vita quotidiana sottraendola alla dittatura della superficialità dei Paolo Giordano, Fabio Volo per tacere di Moccia; da un altro quello di spiazzarlo con un punto di vista quantomeno inusuale, destabilizzante nel suo limpido inequivoco diritto di cittadinanza.

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Geologia di un padre, di Valerio Magrelli

Magrelli
Valerio Magrelli, Geologia di un padre, Einaudi, 2013

di Rosa Salvia

Geologia di un padre, nuova finissima opera di Valerio Magrelli, si apre con la riproduzione di una decina di bellissimi disegni di Giacinto Magrelli, “l’uomo di Pofi”, il padre ingegnere, sulla cui figura è incentrato l’intreccio del romanzo. Ma perché questo titolo: Geologia di un padre? La parola geologia implica un continuo rimando alla terra (anche quella della sepoltura soprattutto nelle prime pagine, l’esperienza di “Valerio” fra le tombe in contrapposizione al “Piano Oceano” di Shangai che prevede lo spargimento in mare delle ceneri). Continua a leggere

Considerazioni sul libro di rock

rock

di Guido Michelone

La musica rock, ormai con quasi settant’anni di ininterrotta attività, fa dunque parte dell’arte contemporanea, del sistema mediatico, della cultura universale: già alla fine degli anni Sessanta del XX secolo se ne incomincia a raccontare la storia, vecchia solo di un qualche lustro, ma è solo in epoca recente, con i molti decenni alle spalle, che è in atto un’autentica rivoluzione critica anche sul piano storiografico, come testimoniano molte recenti pubblicazioni, di cui le 16 opere prescelte sono a semplice titolo indicativo, anche se in diversi casi rappresentano il meglio di quanto la cosiddetta critica rock sappia esprimere a livello biografico, sociologico, musicologico, antropologico. Continua a leggere

CAFFÈ O LIBRERIA? TUTTE E DUE LE COSE, AL CAFFÈ LETTERARIO DEL GALLO

di Giovanni Agnoloni

da Postpopuli.it

Caffè o libreria? O magari ristorante? Perché scegliere tra cose che possono stare insieme? È questa la morale vincente del Caffè Letterario del Gallo, a Scandicci (Firenze) interessantissimo locale il cui proprietario Giovanni Iacopi, che lo gestisce insieme alla compagna Mimma Fabris, ho avuto il piacere di intervistare, parlando delle iniziative del locale, della sua funzione sociale e della sua storia.

– Com’è nato il Caffè Letterario del Gallo?

Siamo qui, come Ristorante all’Insegna del Gallo, dal 1996, e per quindici anni abbiamo lavorato come ristoratori. Un anno e mezzo fa, quando sono andato in pensione, abbiamo venduto il locale, ma purtroppo il successivo proprietario non è riuscito a portare avanti l’attività, per cui l’abbiamo ripreso. In quel momento di crisi, poiché volevamo fare qualcosa di diverso, abbiamo avuto l’idea di aprire al piano superiore una stanza dove svolgere un’attività un po’ diversa, con tavoli, angolo libreria e spazio per presentazioni di libri. Una cosa non nuova in sé, ma sicuramente sì a Scandicci.

– La rassegna iniziata con il canale 7 GOLD, per promuovere libri e artisti musicali, in che cosa consiste?

Si tratta di un programma che ha già seguito la nostra inaugurazione e la mostra di pittura del Prof. Robert Shackelford, direttore della Harding University a Scandicci. Le iniziative sono varie, e nonostante le difficoltà organizzative stiamo andando avanti, e nel corso di marzo avremo varie presentazioni di libri ed eventi musicali. Continua a leggere

Axis Mundi. Racconti della Brianza

di Gianni Fumagalli

 

TERESA

 

Come si fa a parlare di un angelo senza possedere il linguaggio degli angeli e come conoscere il segreto della materia di cui sono fatti? Zia Teresa era un angelo ma non aveva le qualità  esteriori che solitamente vengono indicate per definirli. Non era dotata di una bellezza abbagliante e neppure del piglio necessario per tessere efficaci relazioni. Eppure zia Teresa era un angelo!

La sua bellezza, mite e bonaria, di quelle che non si notano, non abbagliano e non ingombrano ma lasciano un segno nel tempo, come quelle sostanze che trattengono per accumulo e poi rilasciano lentamente, sapeva irradiare ogni forma di benevolenza: la sua era una bellezza luminosa.

Stando con lei si coglieva, anche dopo una breve frequentazione, che l’ingrediente maggiore della pasta che la componeva era l’amore. Amore come attenzione verso tutte le persone con cui si relazionava; amore come sacrificio di sé in favore dell’altro, primo su tutti; amore come spontaneo atteggiamento di comprensione e ascolto senza alcuna limitazione, nel segno paolino della carità che “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.” Continua a leggere