Tra poesia e musica.
Non lo dirò con le parole
Maria Grazia Insinga
“A sciame, Arcipelago itaca Edizioni, 2023)
Nota di Maria Allo
Il percorso sperimentale, fin dai suoi primi lavori (Persica, Ophrys, Tirrenide, etc.), porta Maria Grazia Insinga, musicista e musicologa a cercare sonorità diverse e particolari in questa nuova opera. Alla base della essenza e della ricerca della “poesia” di Insinga interessa mescolare suoni che appartengono all’universo delle note da lei utilizzate come fonte timbrica da esplorare e adottare nella creazione artistica. L’autrice concentra dunque la sua ricerca in particolare sulla voce e studiandone a fondo le potenzialità espressive, utilizza le principali risorse della sperimentazione per modulare in musica il suo impegno. I suoi testi e i titoli delle sezioni infatti riflettono le complesse intenzioni compositive dell’autrice che adotta quelli che sono i suoi criteri personali e ciò implica la necessità dell’autrice di fornire alcuni chiarimenti così da consentire una lettura globale della sua scrittura che per le sue peculiarità, risulta di difficile traduzione (1). Strumenti musicali diversi suonano una nota di uguale altezza e intensità in questa nuova opera, “A sciame”, e riproducono un procedimento ritmico secondo cui il suono è emesso su un tempo debole e tace su quello forte (contrattempo). In quel suono enigma, “il non comprensibile dentro la ragione/non rende comprensibile niente e qui/si affermano minuscole lame di selce” (p.17), o “senza immersione non vieni alla luce” (p.23), si avvertono gli echi di una raffinatissima memoria letteraria e di una sensibilità linguistica, dal momento che implica la commistione di codici linguistici diversi e di un pensiero policentrico. “Starci dentro è stare sempre fuori” (p.20) e “anticipa la resurrezione vocale dell’altra/nell’una: il suo gesto precede la musica” (p.20) testimoniano il desiderio dell’autrice di dare voce al silenzio: “Impara ad ascoltare il silenzio e scoprirai che è musica” esorta uno scrittore del Mali, perché ogni cosa attorno a noi cerca di comunicarci uno stato d’essere che misteriosamente arricchisce e preserva la creatività poetica della letteratura, sembra dirci Maria Grazia Insinga. Nel carattere polifonico del poemetto “A sciame”, il non detto può essere percepito e custodito nel respiro di quella “voce inumana” (p.45), invisibile, fulminea, spesso oscura, (non spiegabile con parole comuni, ma interpretabile) che, nel suo svanire, rivela un senso nascosto più critico, acuto e incisivo della realtà. Il leitmotiv di “A sciame” e di tutta la produzione di Insinga è in quel “dire”: “la parola che non dice dice” (p.52, sez. La testa che parla) o “senza immersione non vieni alla luce” (p.23) anche se “rientra nei difetti della vista/persino la luce” (p.24) o “è necessario mescolarsi:/solo ibridi e serenelle sopravvivranno” (sez. La stanza dell’acqua). Forse in questo apophainethai (mostrare) disvelare e dunque ritornare al nostro stesso dire implica la nostra capacità di ascolto “nella fessura fatta ad arte affinché/nessuno l’altra divina se ne accorga” (p.79) con l’auspicio dell’elaborazione di un nuovo linguaggio capace di rappresentare la nuova realtà, estremamente complessa e indecifrabile. In questa prospettiva, da questo poema sinfonico che va pertanto tracannato tutto d’un sorso, come dice nella preziosa prefazione Giuseppe Martella, emerge un inedito sperimentalismo volto alla ricerca di nuove strutture espressive e alla scoperta di nuovi impasti stilistici aperti alle contaminazioni più ardite: “ai piedi del rogo accendo il pescheto” (p.80), non un atteggiamento di rinuncia alla comprensione e alla resa al labirinto. Non è forse questo il valore razionale e conoscitivo della letteratura, alla quale è affidato il compito di non accettare il labirinto della non “significazione”?
(1) https://www.theserendipityperiodical.it/2021/09/19/tirrenide-intervista-a-maria-grazia-insinga/