Archivio mensile:Ottobre 2023

La parola ai poeti. Gino Scartaghiande

Gregory Corso, spirito e materia di un contadino del Sud

(da Percy Bysshe Shelley ad Amelia Rosselli)

“La letteratura è il più complesso dei mali: non c’è cura che valga per lei”

(Silvio D’Arzo, Prefazione a nostro lunedì)

 

Poco c’è voluto, dopo la diaspora dei popoli provocata dalla cosiddetta annessione del Regno delle due Sicilie, che Gregory Corso, ridiscendendo egli dall’Alto Materano (1), e precisamente da Miglionico, la madre, e dalla Calabria, il padre, si trovasse a nascere a New York, dove trascorrerà lunghi periodi dell’infanzia e dell’adolescenza tra orfanotrofi, istituti di rieducazione, e carceri minorili. Ma è proprio in uno di questi istituti che viene a contatto, in modo quasi provvidenziale, coi grandi classici di tutti i tempi, antichi e moderni, che gli fanno scoprire la propria vocazione poetica. E soprattutto con Shelley, quasi un suo alter ego, a cui Gregory Corso legherà la propria poesia per tutta la vita, in una risoluta scelta di fedeltà alla parola poetica in quanto bellezza e verità. Continua a leggere

Remo Pagnanelli

Continuum

Quando il cerchio si stringerà
canticchiando la solita solfa ne varietur,
il continuum inammissibile dell’opacità,
tu morte impertinente, salvifico aroma
spiccami dall’agenda e saltando qualche
orario accelera.

(1976)

Da Le poesie, il lavoro editoriale, Ancona 2000 , p. 56 [Epigrammi dell’inconsistenza]

La parola ai poeti. Maria Allo

 “…Cercavo l’infinito: trovavo la pietra di topazio di tra i graniti del Tibet”, dice Amelia Rosselli, dove topazein significa “cercare di trovare”, inteso come scoperta di qualcosa di unico che meriti, per poco che sia, di essere detto in tutta libertà senza pretendere di capire o rivelare. Poesia per me, è custode dell’inespresso e come dico spesso, un venire a patti con il silenzio senza perdere le parole che lo evocano. È disposizione all’ascolto del respiro dell’anima che, con un muto linguaggio, prende corpo e decifra destini. In esso c’è armonia, stabilità e coerenza. Quando sorge e mostra la sua luce, quando vede e riconosce la stessa luce in altri, vi si avvicina per ricevere, a sua volta, la luce che brilla nell’altro. La poesia non accetta definizioni, ma aggiunge vita alla vita. Credo sia quel primordiale soffio in volo circolare che possiede i poeti, la presa di coscienza che una parte di loro sia intimamente legata con l’esistenza terrestre e può rivelarsi esperienza assoluta di una vita senza tempo. La scoperta della parola è frutto di uno scavo nell’abisso dell’io, l’occasione per riflettere sul senso della vita, lo strumento per portare alla luce la lacerazione profonda che ostacola il pieno godimento della vita. Dare voce al legame tra l’esperienza del dolore nella vita umana diviene uno strumento conoscitivo di noi e del mondo che indaga le ragioni profonde dell’agire umano. Ma il fare poesia non potrebbe mai eguagliare la pienezza dell’esistere, perché l’essere è più che dire dice Giovanni Giudici.  Continua a leggere

Con Dio

Per non distrarsi, durante la preghiera, basta pensare che, se invitiamo qualcuno a casa, come minimo dobbiamo esserci. Sarebbe strano non farci trovare. Se lo facciamo in società, perché non farlo con Dio?

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La parola ai poeti. Luciano Mazziotta

Tre aneddoti e tre limiti

Limite nr. 1. Inadeguata individualità.

Se mi è stata proposta, volontariamente e non-necessariamente, questa parola in questo spazio, altrettanto volontariamente e non-necessariamente posso rispondere. D’altra parte, mi è stato offerto questo luogo sulla base di un mio fare, quindi è necessario delimitare ciò che potei dire, nella consapevolezza che il come e il che cosa sono differenti per ogni fare in cui sono coinvolto. Il fare in questione è relativo all’atto di aver scritto dei libri, che, in un modo o nell’altro, sono delimitati al campo di quello che viene denominato comunemente poesia.

Ho ripetuto più volte la parola limite, delimitato, limitare, per una questione meno poetica e più agorafobica: che cosa mi è stato chiesto in questo spazio? Ho bisogno di un confine. Esprimere una visione della scrittura in versi, la mia esperienza con la scrittura in versi, le mie relazioni con l’ambiente inerente alla sfera di chi si occupa di questa pratica. Si tratta di un tema illimitato, per uno spazio, quello virtuale, illimitato anch’esso. Agorafobia: mi è opportuna una barriera. Non parlo di traccia: le indicazioni, del resto, sono chiare.  Parlo di un illimitato che, in quanto tale (e tanto per la parola quanto per il mio fare), posso pensarlo esclusivamente per mezzo di una esperienza del limite. Esperire il limite non significa, però, per me, esperienza agonistica e adrenalinica del rischio. Ha a che fare, invece, con i propri (i miei) limiti: fare quello che posso fare, e ciò che riesco a fare, secondo la individualità di soggetto che esperisce.  Continua a leggere

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Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Di due, uno

[Mt 22,34-40]

Amerai il Signore tuo Dio…”

“Amerai il prossimo tuo…”

Due amori, una sola misura: tutto.

Se amare è recepire il Tu in tutto il suo essere se stesso, così com’è, per quello che è, allora, o è tutto o non è.

Non può esistere un confine all’amore. “Tutto il tuo cuore, tutta la tua anima, tutta la tua mente”. Nulla è escluso.

Anche il termine greco esprime la globalità: òlos. Non si ama fino ad un certo punto. O si ama totalmente o non si ama. Continua a leggere

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La parola ai poeti. Lina Salvi


Ho sempre pensato che la poesia in me sia nata per caso, anche se man mano che la scrivo mi rendo conto di cercare di portare alle luce reperti già esistenti, sedimentati da tempo. In ciò mi conforta il pensiero di Giuseppe Ungaretti, il quale, in un’intervista Rai del 1961 si limitò a spiegare come fosse nata la sua poesia per il pubblico,
ma non per lui; alimentando il suo mistero insondabile, pur sempre insostituibile ed affascinante.

La città al centro per me fu Milano e alcuni ambienti letterari. Il dialogo e l’ascolto di altri poeti di provata esperienza è stato fondamentale, non per avere un “posto da qualche parte, ma per capire i limiti della mia scrittura.  Continua a leggere

Gian Piero Stefanoni, Lessico Madre, Dialoghi con san Luigi Gonzaga

 

Ez 36, 26
– Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.

ai miei figliocci

I.
del trasporto dell’infermo al Santa Maria della Consolazione

Tolto dal cielo,
rimesso agli occhi
parla alla sua sostanza il corpo.

Anima degna
del tessuto di cui è peso,
il reclinare del Padre
al patire del mondo,

il sì del nome
all’insufflare dell’immagine.

Guardare all’uomo affinché non cada. Continua a leggere

Repetita iuvant, forse. È ancora lì


di Fabrizio Centofanti

Francesco ha i capelli spettinati, come sempre, gli occhi un po’ spenti, la voce bassa di chi ha imparato a non chiedere troppo dalla vita. State passeggiando nel cortile dove s’intrecciano studenti della scuola d’italiano, bambini che gridano all’uscita dell’ora e mezzo di catechismo della comunione, giovani che chiacchierano dell’ultima partita della squadra del cuore. Quando si scrive bisogna inventare o prendere spunto dalla vita? Una bella domanda: ma non dovrebbero rispondergli alla scuola di scrittura, con quello che paga? Pensi al tuo romanzo: ogni capitolo nasce da un movimento di organi interni: lo stomaco, il cuore, gli intestini. Si scrive con la pancia, ti verrebbe da dirgli; è una lotta senza tregua fra una realtà che schiaccia e il sogno che la tocca con un’ala leggera, le insegna a volare. Vorresti dirgli che, quando cominci a battere sui tasti, le dita faticano a tenere il ritmo, incespicano nell’ultimo litigio con il povero, nella delusione per un tradimento, nello sforzo sovrumano di restare calmo se il tuo collaboratore non è capace mai di stare al chiodo, come te.

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20 righe (per niente) facili di Pasquale Vitagliano

 

Mi è difficile scrivere una recensione per la nuova raccolta di Carlo Crosato, Strategie di salvezza (Interno Libri, 2023). L’inciampo sta nel titolo. Troppo diretto, seppure casuale, il legame con quello di un mio libro, Apprendistato alla salvezza. Ma in questo caso è diverso. Subito, già da prima di questa opera, ho colto un filo nascosto che mi lega alla sua scrittura. Dunque, l’inciampo, in realtà, è un legame. A questo punto, ne scrivo comunque, perché penso testimoni la forza gravitazionale della poesia. Fantasticavo così di essere/ (nella veglia)/ finalmente entrato/ nel segno di un altro/ essere da lui guardato/ protagonista esplorato e temuto. Se questo sogno fosse il mio? Non si stupisca nessuno. Anche la poesia, come la fisica, può essere quantistica. E sono sicuro che anche per lui, quel sogno, talvolta, è stato un incubo. Anche se, alla fine, il protagonista non ci spaventa più. Ci ha accompagnato verso la salvezza.

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Maddalena Pezzotti, Vermiglia goccia

a cura di Alberto Fraccacreta

L’ava

Di felce e tubero
puntato il passo
che a me conduce respiro
di muschio e corteccia
e sguardo
di ombra e goccia
scuotendo il bosco
il tuo piede ossuto
la tua voce di violino
non accordato.

*

Noi che siamo luci in corsa
ai bordi dell’autostrada,
e la notte, senza gravità,
unica via. Continua a leggere

Di più


Gesù non lo vediamo. È uno svantaggio notevole; però, a pensarci bene, non è affatto l’unico. La persona che più ho amato, don Mario, non la vedo: ma è come se fosse qui, come se ancora ci parlassimo, passeggiassimo insieme. L’eternità non divide, anzi, unisce di più.

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Poetry Therapy, di Dome Bulfaro

Poesia e natura: quale cura?

La risposta alla domanda “Poesia e Natura: quale cura?” che ha dato il là a questo doppio numero monografico è arrivata dopo un anno e mezzo circa di gestazione, ma questi trenta articoli, per numero e qualità, suonano come un ruggito davvero potente, per il quale è valsa la pena attendere tutto questo tempo.

Non è la Natura a non avere Voce, ma gli esseri umani a non avere sufficiente orecchio. Per acquisirlo e coltivarlo ci viene in soccorso l’arte, specialmente la poesia che ci insegna a essere innanzitutto ascolto e solo dopo dire, a farci cavità prima che seme, sospensione prima che inspirazione/espirazione, domanda prima che risposta.

Avevamo fino a oggi lasciato un po’ in disparte la questione su quale potesse essere la cura nella relazione tra poesia e natura, ma non perché la ritenessimo secondaria ma perché volevamo riservargli uno spazio adeguato, che forse siamo riusciti a rendere memorabile, come volevamo, grazie all’eccezionale apporto di tutti gli autori, redattori e traduttori, che hanno costruito questo numero doppio di Poetry Therapy Italia. A ognuno di loro va la mia personale e nostra gratitudine. Continua a leggere

Paolo Codazzi, Lo Specchio Armeno

di Riccardo Ferrazzi

Un romanzo che andrebbe prescritto a tutte le “scuole di scrittura” perché, diciamo la verità: non se ne può più della mania per la “paratassi”. Dopo aver sterminato gli avverbi, decimato gli aggettivi e abolito gli incisi, i romanzi sono composti ormai soltanto da frasi scheletriche, con soggetto, verbo e rarissimi complementi, dopodiché ci affretta a fare punto. Possibilmente a capo. Come nel gioco del calcio, dove gli allenatori hanno proibito il dribbling e guai a chi si permette di “andare all’uno contro uno”! 

Nel suo Specchio armeno Codazzi ci restituisce il piacere della retorica “asiana”, dei periodi simmetricamente costruiti, dove, intorno alla frase che dà il senso del discorso, si aggiungono le informazioni corollarie che i narratori “paratattici” (e gli sforbicianti editor) taglierebbero per principio. Eppure, quelle informazioni sono tutt’altro che inutili, anzi: inquadrano in modo coerente e articolato il mondo in cui si svolge la vicenda, allestiscono una Wunderkammer nella quale il lettore viene trasportato per vivere insieme ai personaggi. Non è proprio questo ciò che chiede il lettore? Ma, si obbietta, non siamo più abituati a questi periodi lunghi una pagina, dove si rischia di perdere il filo, di non capire più chi parla e a cosa si riferisce! Continua a leggere

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La Spagna in lettere, di Annelisa Addolorato. Fanny Rubio

di Annelisa Addolorato

“Sin tinta no hay vida” 

 

Ottobre porta con sé questo mio post sulla figura della scrittrice, poetessa e cattedratica di Letteratura spagnola, specializzata in letteratura contemporanea, Fanny Rubio. Nata a Linares (Jaén), in Andalusia, alla fine degli anni Quaranta, ha al suo attivo moltissime pubblicazioni sia letterarie sia accademiche e ha insegnato Letteratura spagnola nelle Università di Granada e Fes, poi soprattutto è stata Cattedratica presso la Universidad Complutense di Madrid. Molto presente anche in radio, televisioni, oltre che ovviamente in Università spagnole e internazionali, e in innumerevoli eventi, mediatici e non.

Mi voglio concentrare su tre sue pubblicazioni, emblematiche e significative per parlarne. Continua a leggere

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Maria Grazia Insinga, A sciame

Tra poesia e musica.

Non lo dirò con le parole

Maria Grazia Insinga

“A sciame, Arcipelago itaca Edizioni, 2023)

Nota di Maria Allo

Il percorso sperimentale, fin dai suoi primi lavori (Persica, Ophrys, Tirrenide, etc.), porta Maria Grazia Insinga, musicista e musicologa a cercare sonorità diverse e particolari in questa nuova opera. Alla base della essenza e della ricerca della “poesia” di Insinga interessa mescolare suoni che appartengono all’universo delle note da lei utilizzate come fonte timbrica da esplorare e adottare nella creazione artistica. L’autrice concentra dunque la sua ricerca in particolare sulla voce e studiandone a fondo le potenzialità espressive, utilizza le principali risorse della sperimentazione per modulare in musica il suo impegno. I suoi testi e i titoli delle sezioni infatti riflettono le complesse intenzioni compositive dell’autrice che adotta quelli che sono i suoi criteri personali e ciò implica la necessità dell’autrice di fornire alcuni chiarimenti così da consentire una lettura globale della sua scrittura che per le sue peculiarità, risulta di difficile traduzione (1). Strumenti musicali diversi suonano una nota di uguale altezza e intensità in questa nuova opera, “A sciame”, e riproducono un procedimento ritmico secondo cui il suono è emesso su un tempo debole e tace su quello forte (contrattempo). In quel suono enigma, “il non comprensibile dentro la ragione/non rende comprensibile niente e qui/si affermano minuscole lame di selce” (p.17), o “senza immersione non vieni alla luce” (p.23), si avvertono gli echi di una raffinatissima memoria letteraria e di una sensibilità linguistica, dal momento che implica la commistione di codici linguistici diversi e di un pensiero policentrico. “Starci dentro è stare sempre fuori” (p.20) e anticipa la resurrezione vocale dell’altra/nell’una: il suo gesto precede la musica” (p.20) testimoniano il desiderio dell’autrice di dare voce al silenzio: “Impara ad ascoltare il silenzio e scoprirai che è musica” esorta uno scrittore del Mali, perché ogni cosa attorno a noi cerca di comunicarci uno stato d’essere che misteriosamente arricchisce e preserva la creatività poetica della letteratura, sembra dirci Maria Grazia Insinga. Nel carattere polifonico del poemetto “A sciame”, il non detto può essere percepito e custodito nel respiro di quella “voce inumana (p.45), invisibile, fulminea, spesso oscura, (non spiegabile con parole comuni, ma interpretabile) che, nel suo svanire, rivela un senso nascosto più critico, acuto e incisivo della realtà.  Il leitmotiv di “A sciame” e di tutta la produzione di Insinga è in quel “dire”: “la parola che non dice dice” (p.52, sez. La testa che parla) o “senza immersione non vieni alla luce” (p.23) anche se “rientra nei difetti della vista/persino la luce” (p.24) o “è necessario mescolarsi:/solo ibridi e serenelle sopravvivranno” (sez. La stanza dell’acqua). Forse in questo apophainethai (mostrare) disvelare e dunque ritornare al nostro stesso dire implica la nostra capacità di ascolto “nella fessura fatta ad arte affinché/nessuno l’altra divina se ne accorga” (p.79) con l’auspicio dell’elaborazione di un nuovo linguaggio capace di rappresentare la nuova realtà, estremamente complessa e indecifrabile. In questa prospettiva, da questo poema sinfonico che va pertanto tracannato tutto d’un sorso, come dice nella preziosa prefazione Giuseppe Martella, emerge un inedito sperimentalismo volto alla ricerca di nuove strutture espressive e alla scoperta di nuovi impasti stilistici aperti alle contaminazioni più ardite: “ai piedi del rogo accendo il pescheto” (p.80), non un atteggiamento di rinuncia alla comprensione e alla resa al labirinto. Non è forse questo il valore razionale e conoscitivo della letteratura, alla quale è affidato il compito di non accettare il labirinto della non “significazione”?

(1) https://www.theserendipityperiodical.it/2021/09/19/tirrenide-intervista-a-maria-grazia-insinga/