Archivio mensile:Luglio 2008

Paz

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=wn1AkIddZDY&feature=related]
(Andrea Pazienza, San Benedetto del Tronto, 23 maggio 1956 – Montepulciano, 16 giugno 1988)

di Vincenzo Sparagna

Il caro Mauro Baldrati, antico collaboratore/redattore di Frigidaire, autore – tra le molte cose – di tante splendide fotografie di Andrea Pazienza e di tutti noi della redazione, mi chiede di inviargli un piccolo ritrattino scritto di Paz. Ora parlare di Andrea non mi dispiace affatto, ma so che qualsiasi ritrattino, memoria o aneddoto non può che essere un parzialissimo contributo per avvicinarsi a uno degli autori più geniali e innovativi del finale del secolo ventesimo.
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Prose [2003-2008] , di Massimo Sannelli

la simmetria non è più un fine. Il meglio è uscirne.

Chi vede, non ha visto il distacco tra il segno emesso e la carne tradìta, anche se è bella. Avevi già detto sì, e sì ancora, ad uno spogliarti, tu stesso, tu, tra gli altri nudi e le nude, sotto un getto d’acqua dura, in un cortile di Firenze: e questo non era un simbolo; rispondendo. Lo era per gli altri, e per il nudo no: che pensava: ecco, in me non è più nulla installato, nulla è solido. Per il mio bene! Per la mia coerenza! Continua a leggere

Le Jupiter Anal – di Lorenzo CARLUCCI

Le Jupiter Anal
Aux Bouvards et Pécuchets de la poésie contemporaine.

                       This s.p.e.r.m. (several pages electronic ready-made) was written at Rathsbone
                       Hall, University of Liverpool, end of April 2007, while visiting Dr. Andrey Bovykin.

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Strambotti di Niccolò Machiavelli

I

Io spero, e lo sperar cresce ‘l tormento:
io piango, e il pianger ciba il lasso core:
io rido, e el rider mio non passa drento:
io ardo, e l’arsion non par di fore:
io temo ciò che io veggo e ciò che io sento;
ogni cosa mi dà nuovo dolore;
così sperando, piango, rido e ardo,
e paura ho di ciò che io odo e guardo.

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MATTEO AVEVA UN GALLO, di Nadia Agustoni

Un libro che parla delle morti sul lavoro ci costringe a parlare a nostra volta. A volte il silenzio fa male perché nasconde qualcosa. Un paese non può fingere che 1300 morti all’anno non abbiano alcun significato, ma quel significato continua a sfuggirci. L’ho capito leggendo Lavorare uccide di Marco Rovelli. La frammentazione del mondo del lavoro e la complessità del reale in questo inizio millennio cospirano per renderci assenti. E’ su quest’assenza che si rafforzano gli abusi. Su quest’assenza c’è chi specula e il denaro è sempre di più vita rubata alla vita o morti bianche. Perché non sappiamo definire queste morti in un altro modo? Prima ancora delle “morti bianche” non ci sono forse, come ci ricorda Marco Rovelli, “vite bianche”? E una vita bianca com’è? Continua a leggere

Il giorno del Giudizio

Forse sei già morto. Forse no. In fondo, si muore solo per scelta. Ma non stare a far domande: non servirebbero a niente. Piuttosto, non c’è qualcosa che dovresti aspettarti, se fossi morto? Non dovrebbe succedere qualcosa come il Giudizio Universale? Sai, il Giudizio si fa alla fine dei secoli. Ma ogni volta che un essere vivente esce dalla canna dell’imbuto, quella è la fine dei secoli, e non solo per lui ma per tutti. Dall’altra parte dell’imbuto il tempo non esiste. L’eternità è sempre lì.
Per quanto strano possa sembrare, il Giudizio è una faccenda priva di complicazioni. La Valle di Giosafat è un canyon come tanti altri, sassoso e sabbioso. Secondo un rabbi vissuto a Bisanzio nel V secolo, nel mondo antipode la valle di Giosafat si chiama Uadi el Boèb. Il rabbi la descrive come un imbuto ed è probabile che si tratti di una specie di anfiteatro naturale, un po’ come la valle di Häuser. Dice il rabbi che laggiù fa un caldo micidiale e gli scorpioni sono costretti a nascondersi sotto i sassi. Continua a leggere

Riflessione su NOI E LORO di Franco Buffoni

Un sasso di titolo che leggendo si trasforma in macigno e sotto il titolo tre segni, e sopra il titolo il nome ed il cognome dell’autore. È questa la geografia di copertina dell’ultimo libro di Franco Buffoni. Noi e loro edito da Donzelli. L’ho letto di mattina questo libro per puro caso eppure il caso conta, tant’è che subito ho intuito non si trattava di un libro notturno, c’era troppa luce, c’è un viaggio, un cumulo di storie luccicanti. Continua a leggere

Rose bianche

Theodor Storm ( 1817-1888)

Weiße Rosen

1

Du bissest die zarten Lippen wund,
Das Blut ist danach geflossen;
Du hast es gewollt, ich weiß es wohl,
Weil einst mein Mund sie verschlossen.

Entfärben ließt du dein blondes Haar
In Sonnenbrand und Regen;
Du hast es gewollt, weil meine Hand
Liebkosend darauf gelegen.

Du stehst am Herd in Flammen und Rauch,
Daß die feinen Hände dir sprangen;
Du hast es gewollt, ich weiß es wohl,
Weil mein Auge daran gehangen. Continua a leggere

Corpo di Resurrezione

Se ciò che è solido saprai dissolvere e ciò che è sciolto volatilizzare e poi il volatile fissare in polvere, avrai di che sorridere all’ignoto. Mio amico, chiudi le palpebre e guarda ciò che vedi. Se mi dici che non vedi nulla ti sbagli. Tu puoi vedere se superi la decoerenza, mi ha detto un fisico, ritorna in fase d’onda. Tu puoi vedere ma la tenebra della tua natura è purtroppo così vicina a te da ostruire la tua vista interiore al punto che non la riconosci. Continua a leggere

Poesie di Luciana MANCO


(S. Motonaga, Untitled, 1962)

Mezzogiorno.

Piccoli tunnel di culle di boccioli e latte di rugiada sono mare a destra,
in righe di quaderno.
La prima parola, tracciata nella terra.
Vieni mezzogiorno a schiacciare di luce le altezze.
A infrangere di miele i tetti.
Vieni ad affamare le corse dei sognatori.
A scongelare le briciole nei campi. Continua a leggere

FRATELLO METALLO [CASSE AL CLERO]

Chi canta prega due volte

[Sant’Agostino]

E chi – dice/decide/decreta la Musica del Miserere? Frate Cesare Bonizzi – awka: Fratello Metallo [http://www.fratecesare.com/], missionario Cappuccino, predica il Verbo [anche] dal palco: Gods Of Metal. E alla voce di Dio [e non solo: Ronnie James] si aggiunge: portavoce.

Buongiorno, padre Cesare.

«Pace e bene, figlio mio».

Perché si fa chiamare Fratello Metallo?

«È il mio nome d’arte».

E da quando un frate cappuccino ha il nome d’arte?

«Lo uso nei miei concerti di musica heavy metal». Continua a leggere

Una nominazione eterna, di Maria Grazia Calandrone

Sono catrame e calce con la cassa e con gli abiti corrosi
da polveri d’amianto e le endorfine che mi fanno ridere da viva
con la cannella della gola esposta
come un vuoto tra i fiori
di incontenibile gioia
spinto da corpi
sotto i quali ribolle la terra e i rami secchi
che ho piantato da viva danno foglie di vite miracolose
come la gestazione di una regina
la trazione vitale dei soldati
del sangue su per la tavola del petto come metalli e mastodonti
ma tu piccola presa da pallore
ti orientavi
sul viso umano quando va per spighe
e una rosa gli ride sulla bocca.

Oh! gioia risate e tosse
come un dente di mandorla la notte
come un pozzo
nella stoppa agostana
tracima amore
su tutte le strutture che noi siamo o fiori
sul mondo eretto
per ricordare come una montagna splendente e muta
ricorda
con le ciglia stellate e la canzone estiva sulla bocca: per sempre
– una stella
di latte sulla bocca – per sempre
perché i microrganismi
del caglio hanno la forma del sole
nella canala delle acque scure
e tra armate di ulivi il girasole
del cuore e il compito
di staccare parola per parola la stella morta
dalla volta celeste del costato.

L’oblio dell’evento – di REB STEIN (A. D.)

Reb SteinL’oblio dell’evento (1998)
(tratto da Il codice delle sabbie, di prossima pubblicazione)

                                            Dice lo straniero nel deserto: “Ogni cosa
                                         al mondo mi è nuova”. E la nascita del suo
                                                       canto non gli era meno straniera.

                                                                          Saint-John Perse

L’oblio dell’evento – I. Sul bordo di astri ombrosi

1.

Lingue notturne cumulano dal futuro macine di canti
per te che segui pupille non ancora cieche
sul bordo di astri ombrosi
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Monologo sull’Ambiguo [scuola di poesia 3:4], di Massimo Sannelli

L’ambiguità c’è quando «due elementi contrari costanti […] si scontrano dentro un’opera» (*Tre riflessioni sul cinema*, 1974) e dentro una vita. Gli elementi «costanti» fanno in modo che l’ambiguità sia un fenomeno duraturo o permanente, «dentro un’opera» o dentro una vita: tutto l’insieme, e per tutto il tempo, ne è investito. Continua a leggere