Archivio mensile:Maggio 2012

Vivalascuola. Free festival. Disabilità e inclusione

Scuola: disabilità e inclusione tra difficoltà e ricchezze
Milano, 1-2 giugno 2012

Da tre anni il “Free Festival delle Bambine e dei Bambini” propone un confronto sui temi della scuola e dell’educazione.

Quest’anno abbiamo scelto di proseguire con le iniziative al di là dell’appuntamento annuale, affrontando diverse tematiche. Tra queste vi è l’inclusione scolastica dei bambini e delle bambine con disabilità. Vogliamo giungere a una scadenza condivisa e costruita insieme con altre persone che, per varie ragioni, sono interessate a questo argomento. Continua a leggere

I LIBRI DEGLI ALTRI n.5: Vitam impendere amori. Renzo Paris, “La banda Apollinaire”

Vitam impendere amori. Renzo Paris, La banda Apollinaire, Matelica (MC), Hacca Edizioni, 2011

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di Giuseppe Panella*


Guillaume Apollinaire (al secolo Guglielmo Vladimiro Alessandro Apollinaire de Kostrowitzky – come annota con acribia proprio Renzo Paris) è tra i poeti più importanti della tradizione poetica del Novecento. Quello che conta nella sua produzione letteraria, in realtà, non è tanto quello che ha scritto ma il modo in cui l’ha fatto. Con la sua opera l’idea di una separazione possibile tra vita e poesia, tra esistenza e arte, già incrinata in modo radicale dai grandi poeti maudits della fine Ottocento (tra Verlaine e Mallarmè ma soprattutto attraverso Rimbaud) scompare nettamente portando finalmente il concetto di avanguardia letteraria al suo culmine. L’impatto che Apollinaire avrà sulla successiva storia della poesia del Novecento è straordinario e probabilmente non compiutamente analizzato e spesso difficilmente distinguibile da quello di altri autori a lui contemporanei (il caso di Picasso è certamente esemplare al riguardo ma anche autori come Aragon e Breton, poi approdati a posizioni politiche e culturali molto diverse e divaricate, gli debbono molto più di quanto avrebbero ammesso in seguito). Scrivendo delle Lettres à Lou (uno dei testi finali del corpus poetico di Apollinaire redatte tra il 28 settembre 1914 e il 18 gennaio 1916), proprio Paris dichiara con grande autorevolezza che il ruolo dell’artista e dello scrittore è stato profetico:

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Fabrizio De André Tra Riccardo Bertoncelli e la London Symphony Orchestra

di Guido Michelone

C’è anche Fabrizio De André Sogno n°1 London Symphony Orchestra nella discografia finale: stiamo parlando di Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, la nuova uscita dedicata al cantautore genovese che è poi l’edizione aggiornata del testo (2007) che Riccardo Bertoncelli aveva curato per Giunti, oggi ristampato in brossura con un paio di aggiunte significative. Perché anzitutto inserire Sogno n°1? Il disco, uscito mesi fa, per la Sony, con il bene placet di Dori Ghezzi, prodotto e arrangiato da Geoff Westley (che pure dirige un prestigioso ensemble britannico), sembra una tipica operazione commerciale post mortem che, alla luce dell’intervento artistico inglese, può anche risultare un inedito deandreiano, benché costruito non dal protagonista ma attorno o sopra la sua voce in dieci famosissime canzoni, qui rinate con sontuose orchestrazioni e le voci aggiunte di Franco Battiato e Vinicio Capossela in un paio di songs. Continua a leggere

74. Fino a oggi

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da qui

Vuoi proprio saperlo?
Sì, voglio saperlo.
Sei emozionato: oltre il ponte, le immagini sfumano, ormai sono una nebbia fitta che avvolge ogni cosa, tranne la parte della balaustra dove puoi leggere più distintamente, forse per contrasto: Fofner, sei la mia vita. Continua a leggere

Tenebrae

 

Paul Celan

Tenebrae

Nah sind wir, Herr,
nahe und greifbar.

Gegriffen schon, Herr,
ineinander verkrallt, als wär
der Leib eines jeden von uns
dein Leib, Herr.

Bete, Herr,
bete zu uns,
wir sind nah.

Windschief gingen wir hin,
gingen wir hin, uns zu bücken
nach Mulde und Maar.

Zur Tränke gingen wir, Herr.

Es war Blut, es war,
was du vergossen, Herr.

Es glänzte.

Es warf uns dein Bild in die Augen, Herr.
Augen und Mund stehn so offen und leer, Herr.

Wir haben getrunken, Herr.
Das Blut und das Bild, das im Blut war, Herr.

Bete, Herr.
Wir sind nah.

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73. Un filo

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da qui

Ci sono giorni in cui ti svegli e non ricordi nulla del passato, la vita è un sogno svanito con le luci del mattino. Riparti da zero, faticheresti troppo a mettere insieme tutti i pezzi, a ricordare chi ami, chi odi, quali siano le passioni e le allergie che porti addosso da sempre. Continua a leggere

Per la sopravvivenza dell’ambiente di Massimo ZUCCHETTI

DA IL FATTO QUOTIDIANO

 

Ho partecipato oggi come relatore ad un Convegno a Torino, che mi aveva colpito inizialmente per il suo titolo, al di là dei contenuti: “Aria, acqua, terra: una giornata in difesa delle risorse pubbliche per una politica della sopravvivenza”. Una giornata organizzata dal Movimento “2 Giugno”, al quale ho dato un contributo relativamente all’impatto ambientale delle Grandi Opere Inutili sulle risorse idriche e idrogeologiche, andando dal passato del Mugello al presente e al futuro della Valle di Susa.

Si tratta ormai di una battaglia fondamentale, all’interno della quale i diversi Movimenti si trovano raggruppati: la difesa dei beni fondamentali, fonti della vera ricchezza del genere umano, mezzi essenziali della sua sopravvivenza sulla Terra: risorse pubbliche sempre più preziose da difendere contro gli appetiti dei grandi potentati economici. Di qua può cominciare una nuova Politica. Continua a leggere

72. Ancora non sai

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da qui

Credo che Eleonora non ti abbia lasciato per il tango.
Che tipo, Nino: sembra distratto, poi se ne esce con le sue intuizioni folgoranti.
Perché dici questo?
Lo guardi bene. Non gli daresti un soldo: il viso magro, i capelli impomatati, gli occhi tristi di chi pensa troppo.
Secondo me, avevi ancora in mente Sonia. Continua a leggere

Vivalascuola. Per la festa della Repubblica

La scuola pubblica, con tutti i suoi difetti, è una palestra insostituibile di democrazia, libertà, pluralismo e partecipazione, valori essenziali sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana le cui pagine, come diceva Piero Calamandrei, sono costate il sacrificio e il sangue di tanti giovani fucilati, impiccati, torturati, morti per la libertà e la democrazia, nella dura lotta contro la barbarie nazifascista. Davvero i principi fondamentali della nostra Costituzione sono una risorsa di valore permanente a cui attingere sempre di nuovo. (Franco Toscani)

Unità nazionale e unità antifascista
di Antonia Sani

Dal brainstorming cui ho voluto sottopormi in vista del prossimo 2 giugno, nel turbinìo svolazzante di bandiere e stendardi, memorie di polemiche, di buone intenzioni, di ipocrisie retoriche, disseminate lungo questi 66 anni, un’immagine sono riuscita ad afferrarla e a trattenerla: sfondo rosso, scritta nera. Unità nazionale. Continua a leggere

“Viali dell’indipendenza”, di Krzysztof Varga

Recensione di Giovanni Agnoloni

Da Postpopuli.it

Gli antichi aedi cantavano le gesta eroiche con una cetra. E cantavano pure i trovatori medievali, celebrando donne e cavalieri. Krzysztof Varga, in Viali dell’indipendenza (ed. Nikita) non canta, ma lascia decantare e poi declama, sgranandole quasi come i grani di un rosario pagano, le deprimenti vicissitudini di un individuo che è fin dal nome un ossimoro vivente: Krystian Apostata, un artista un tempo promettente, poi sostanzialmente fallito, che trascina i suoi giorni annoiati e stanchi affogando la sua frustrazione nell’alcol e nella pornografia, e incrocia più o meno ad ogni piè sospinto l’amico dei tempi della scuola, Jakub Fidelis. Questi, il suo alter ego, al contrario di lui ha imparato a strizzar l’occhio alle mode e si è fatto strada nella danza, nella TV e sui rotocalchi, dicendo la sua su ogni argomento e venendo considerato un’autorità in materia di “tuttologia”.

Apostata e Fidelis, due nomi che sono dei simboli, come l’autore ha sottolineato in occasione della sua recente presentazione fiorentina insieme al traduttore Leonardo Masi. E due simboli, aggiungo, che si declinano insieme come un inevitabile, quasi kharmico binomio, sullo sfondo di una Varsavia prima schiacciata dal comunismo, poi (ancora una volta, dopo la seconda guerra mondiale, ma metaforicamente) rasa al suolo dall’assenza di qualunque sensibilità umana tipica della cultura di massa, che tutto omologa e nulla risparmia. Continua a leggere

71. Come sempre

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da qui

Sei andato via, Nino titubava troppo. Forse ha perso la speranza di tirarti fuori. Fuori da dove? Vaghi come un disperato, qualcosa dovrà pur succedere prima che sia troppo tardi. Hai pensato davvero di lanciarti da sei piani? E se ci ripensassi in volo? Ti sei chiesto spesso che cosa provi uno che si pente all’ultimo momento, fuori tempo massimo. Continua a leggere

70. Per nessun motivo

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da qui

Conosce questa scritta?
Gli occhi hanno lo stesso colore dell’acqua: ci si possono vedere barche che vanno alla deriva o il muschio che si abbarbica al bordo estremo e smozzicato della banchina grigia. Sotto la balaustra, le foglie secche si spostano ogni tanto, al passare del vento. Sulla strada, in fondo, le macchine procedono in due file, in processione verso dèi ostili e sconosciuti. Continua a leggere

Ciò che non ha saputo salvare

Sento un doloroso senso di fatalità a pesarmi su dita e parole mentre scrivo oggi dell’inutilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Nata dalle ceneri della Società delle Nazioni per porre rimedio alla sua tutto sommata impossibilità d’intervento (anche e soprattutto militare) in caso di conflitti tra (e interni a) popoli e nazioni, l’ONU sembra oggi averne assimilato tutti i difetti senza esserne riuscita a sviluppare e potenziare alcuno dei pregi.
Agli occhi degli stessi popoli che ne avevano sostenuto e auspicato la nascita (e a difesa dei quali dovrebbe dal 1945 a oggi ergersi) l’ONU appare sempre più come una costosissima organizzazione di facciata in cui gli interessi dei singoli hanno preso il sopravvento sul bene di tutti, e dove regna la legge del petrolio e dell’interesse dei più forti.
Era l’11 luglio del 1995, a Srebrenica, diciassette lontanissimi anni fa, quando ottomila vite vennero strappate alla loro personale storia davanti agli occhi impotenti (impotenti appunto) dei caschi blu olandesi: testimoni di un massacro che oggi possono testimoniare benissimo i telefonini dei presenti, senza bisogno di muovere il pesante carrozzone di mezzi, soldi e risoluzioni dell’ONU stessa.
Ieri a Srebrenica, oggi a Hula. Oggi che le parole hanno dimostrato nuovamente la loro incapacità a smuovere le coscienze del Monolite di Vetro, oggi che non bastano i corpi, le grida, il sangue, le bombe, le suppliche, gli appelli, le immagini, le prove, la memoria, il dolore, la speranza, lo sconcerto, oggi che tutto sembra urlare la necessità, ennesima e improrogabile, di seppellire quest’ONU di fianco alla tomba delle Società delle Nazioni che l’ha partorita (per sostituirla con qualcosa che sia finalmente capace di fare il lavoro per cui è stata creata) OGGI resta solo l’immagine dei corpi e delle vite che ancora una volta l’ONU non ha saputo salvare.

Daniela Matronola recensisce Le monetine del Raphael su Alias de Il Manifesto.

06/05/2012 ALIAS

Il rosso del sangue e del bordello. E poi tutti questi interni. Difficile trovare un vero esterno, riconoscibile come tale. Anche quando (Bacon) dipinge Soho e un’automobile, sembra di stare in uno studio. Così Franz Krauspenhaar (autore milanese di padre tedesco e lontane origini olandesi) nel suo Un viaggio con Francis Bacon (Zona, 2010), personal essay e in effetti vera guida alla lettura di Le monetine del Raphaël, appena edito da Gaffi nella collana Godot diretta da Andrea Carraro. Un romanzo dopotutto da camera, o da studio appunto: il pittore Fabio Bucchi, vorace e onnivoro escursionista di almeno cinque decenni italiani (dai ’60 al 2010), vi è relegato, morente, accudito da Angela, giovane allieva/infermiera/badante, e vi riattraversa la politica lo stragismo il socialismo con l’epopea della sua auge infame nel decennio Ottanta e la caduta dei suoi dèi di cartone subito sostituiti da dèi supplenti fin più sguaiati e arcigni. Ne diventa metafora efficace, sintesi dolente e sfrenata, il sesso delle orge, il potere esercitato come eros e dominazione, a emblema della storia del nostro dopoguerra che, dopo l’immediata innocenza creaturale, la più che decente, decorosa, volontà di rinascita della nazione, è esplosa in voracità famelica, in sporcizia politica da rivoltapastrani, in trasformismo che smettendo e indossando casacche ha fatto scorribande per l’intero arco costituzionale. Continua a leggere

FRANCO BIFO BERARDI – Il ruolo degli artisti al tempo della dittatura finanziaria

DA MICROMEGA

“Perché i poeti nel tempo della povertà?” chiede Holderlin nel suo poema “Pane e vino”. E commentando questo verso, Heidegger dice: “Forse siamo nel momento in cui il mondo va verso la sua mezzanotte”.

In nome del vuoto

Il 5 maggio un gruppo di artisti, architetti, insegnanti e studenti e lavoratori precari della scuola e della comunicazione hanno occupato un edificio chiamato Torre Galfa e l’hanno rinominato Macao. L’edificio è un grattacielo di trentacinque piani, abbandonato da quindici anni.

Dieci giorni dopo l’occupazione, mentre il corpo gigantesco del precariato cognitivo milanese cominciava a stiracchiare le sue membra e a sintonizzarsi con la torre, sono entrati in azione gli esecutori del piano di sterminio finanziario. Il proprietario, noto alle cronache giudiziarie come corrotto e corruttore, ha deciso che quel posto è suo e deve rimanere com’è: vuoto. Tutto deve essere vuoto nella città, perché il capitalismo finanziario ha bisogno di distruggere ogni segno di vita. Le risorse materiali e intellettuali vengono progressivamente inghiottite, annullate, perché i predatori possano espandere la loro insensata ricchezza. Continua a leggere

Dal fondo

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da qui

Dal ponte appare la città invisibile,
avvolta in una specie di foschia.
L’auto in garage, il pranzo
al primo ristorante,
pieno d’indiani e coppie sui sessanta.
Poi c’imbarchiamo sulla linea uno,
tre valigie pesanti
di groppi alla gola. Un poco alla volta
appaiono i palazzi
con bifore e trifore,
le calli, i campi, i sottopergolati.
Chiedo occhi che reggano alla luce
di San Marco, il mio cuore
galleggia. Non ha voce
il ricordo della sera su Riva
degli Schiavoni: fu la prima volta
che le parole nacquero da sole,
che l’odore e il sapore,
i colori aggrumati del tramonto
apparvero in visione,
dal rovescio del mondo.
Ti guardavo e capivi. Quanti anni
ci dividono, ormai, da quella sera?
Eppure siamo lì,
con lo sguardo perduto,
le parole che salgono dal fondo.

Obama ha scelto il matrimonio gay di Andrew Sullivan

                            
Nel 1989 avevo appena cominciato a lavorare al settimanale New Republic, quando si cominciò a parlare di “coppie di fatto” omosessuali, come le chiamavano all’epoca. Le aveva proposte la città di New York. Io ero l’unico gay in redazione, e dissi solo: “Perché non tagliare la testa al toro e non permettere ai gay di sposarsi? Non è la scelta più conservatrice che si possa fare?”.

Avrei dovuto tacere, ma il mio direttore liberal capì subito che quest’idea avrebbe irritato i repubblicani e mi chiese di scriverci un articolo. Esitai, in parte perché non l’avevo ancora detto chiaramente alla mia famiglia e al resto del mondo. Ma il ragionamento mi sembrava logico e l’articolo si scrisse quasi da solo. Finì in copertina, con la foto di una torta nuziale con due uomini in cima. Continua a leggere