Archivi categoria: Poesia

Intervista a Antonio Fiori

di Luca Pizzolitto

1) “La stessa persona” è una raccolta di poesie che viene pubblicata a poco più di un anno di distanza da “Vita di un altro” (Inschibbolet, 2023). Partiamo dai titoli, entrando passo passo nella tua scrittura: c’è continuità con il libro precedente o, come sembri voler suggerire fin dalla copertina, una profonda frattura?

In comune, gli ultimi due libri, hanno la convulsa ricerca di me stesso. In “Vita di un altro” mi cerco negli altri (nella poesia degli amici, nei poeti immaginari e nei ricordi, più o meno autobiografici, di una fraterna amicizia); quest’anno invece, con “La stessa persona”, ritorno ad una raccolta poetica classica, divisa in due sezioni – quella eponima e una seconda più escatologica e religiosa – con testi prevalentemente epigrammatici. Risulta, credo, abbastanza evidente il denudamento tipico indotto dagli esami di coscienza. Continua a leggere

Decalogo: 2. Non nominare il nome di Dio invano

di Alida Airaghi

L’inquilina dell’ultimo piano
cosa sa del dolore di chi abita al quarto?
L’anziano murato in un tempo remoto
parla con i perduti, chiede scusa
di non esserci stato. La donna
pressata da dubbi teme il futuro
(esultanza o capestro), che di lei
non si cura. Entrambi pedine
si sfiorano appena, esitanti
all’ingresso, muti nell’ascensore,
evitando persino il saluto. Continua a leggere

L’albero di Jammes, dalla deposizione alla raccolta.

di Gian Piero Stefanoni

“questo nido sulla vostra fronte”

Quello che ho detto ho detto, eppure nel momento della deposizione, laddove il movimento di gravitazione è segnato per sempre in quelle carni, in quel sangue, chi è davvero per noi quell’uomo nel cui sudario è tutta la risposta ad una contrastata e disordinata oscurità d’amore? Sciolti i lacci, strappati i chiodi chi ha volto nell’abbandono tra quelle donne, tra quelle mani nel riflesso di uno sguardo cui va ad affidarsi? 

In realtà, forse, solo la madre sembra saperlo davvero (in una raffigurazione che ha per me la sua immagine nell’affresco della cappella di Santa Giuliana Falconieri in via dei quattro venti a Roma, nel quartiere dove abito). 

Nell’umiltà di quella forza in cui il mondo continua a reggersi prima della domenica, prima di tutte le albe e le domeniche delle nostre resurrezioni, è la coscienza di un carico portato non nell’immagine di un credo nel recinto delle proprie attese ma raccolto nello spazio di una incarnazione nel compimento definitivo della sua Parola.  Continua a leggere

Marina Petrillo, Indice di immortalità

di Gino Rago

Marina Petrillo, Indice di immortalità, Prometheus Editrice, Milano, 2023

 Non è possibile accostarsi a questo nuovo, recentissimo libro di Marina Petrillo senza ricorrere a quell’armamentario barthesiano incentrato sulla conoscenza dei tre piani del linguaggio scritto. Più precisamente, sulla tripartizione lingua-stile-scrittura che governa la produzione di ogni autrice/autore, nell’atto stesso dello scrivere, così come si presenta ne Il grado zero della scrittura, volume che si apre proprio con la domanda: «Che cos’è la scrittura?»., su cui lo stesso Barthes scrive: Continua a leggere

Quando tutto era intero: le 100 poesie di Franca Alaimo

[immagine di Clara Beatriz]

a cura di Biagio Accardo

 C’è un tempo nel quale noi e il mondo siamo una sola cosa? C’è uno stadio della vita in cui il disegno dell’Essere e dell’esserci coincidono? Forse sì. La ricerca di questa immagine originaria 
( l’arché dei  presocratici, la meta luminosa e, nello stesso tempo, oscura, cui tendevano i grandi mistici, l’e-stasi di cui ebbe a parlare Plotino), ovvero la ricerca di questo intero, costituisce la materia soggiacente a tutte le 100 poesie di Franca Alaimo, nel libro edito di recente da peQuod, per la Collana Portosepolto. All’altezza ormai del suo vastissimo e profondo magistero poetico, l’autrice indaga l’inafferrabile natura del nostro esserci, quell’ “ininterrotta notizia che dal silenzio si forma”, (1) per dirla con Rilke; quello spirare di un dio di cui non riusciamo mai a figurarci il volto, mossa da un’unica e forse ultima ambizione, quella della totalità. Non è forse questa la vocazione che il grande poeta austriaco, Rilke, vero maestro della nostra autrice, affida al suo Orfeo, quando nel nono sonetto canta? : “ Solo colui che anche tra ombre/levò la lira,/può con cuore presago cantare/ la lode infinita… Solo nel duplice regno/le voci si fanno/ miti ed eterne”.
Poesia dunque come parola della totalità, parola che vuole ricomporre l’originaria ferita dell’ esserci, perché, per il solo fatto d’essere stati vissuti, e di viverli,  “ i dolori sono tali per darci infine più frutto” (2); poesia come  itinerario poetico di ricomposizione, come vedremo dopo, che si snoda attraverso una geografia spirituale nella quale trovano posto creature semplici e umili, colme di una bellezza indicibile; mediante un linguaggio meditativo, quasi sapienziale che, lontano da ogni impellenza del dire, ha acquisito una sua più rarefatta essenzialità che consente a chi legge di entrare subito in sintonia con l’anima della scrittrice. 
Si tratta di un viaggiare, poesia dopo poesia, per territori in cui non servono più indicazioni, si tratta di un andare per terre  che solo i poeti “sciocchi e beati” sanno percorrere. Chiaro è lo scopo: ricongiungersi con “quell’acqua di Sorgente” da cui tutto ha preso inizio.  Continua a leggere

Lo stato dell’arte. Enrico Fraccacreta

Immagino paesi nei deserti
sino a scoprire le coperte
di ogni landa.
Avvitandomi nella scala elicoidale
di ogni discendenza.
Cercare nei secoli di ogni abitante
le virtù scomparse
i giorni tormentati.
Fare un giro nelle strade metafisiche
e bere un thè insieme
a un impenetrabile califfo,
nella città delle terre vergini
o nel silenzio calato sugli spazi.
Trovare l’avviso dei propri peccati
sulla faglia di Ninive,
e la forza di superare la montagna
il vento del deserto,
per la città immortale.

Lo stato dell’arte. Alberto Fraccacreta

La poesia ha oggi un singolare destino: è diventata a tutti gli effetti una merce di consumo, peraltro prodotta da centinaia di milioni di persone nel mondo (solo in Italia si contano due milioni di poeti), ma la sua reale incidenza nella società è minima, marginalissima, direi nulla. In alcuni paesi essa ha ancora una forza politica (comunque in senso lato), ma in Italia e in alcune parti dell’Occidente rischia di essere un momento di puro otium letterario, sganciato dalla realtà, non esente da tentazioni narcisistiche. In generale, la letteratura non gode più del prestigio e della considerazione di cui godeva nel Novecento e nei secoli passati. Il titolo di un libro di Todorov del 2007 è, non a caso, La letteratura in pericolo. Sarebbe sbagliato, tuttavia, cadere nell’insignificanza. Per massimizzare il potenziale della poesia bisogna lavorare umilmente dal basso, nella quotidianità: valorizzarla nei corsi universitari, costituire movimenti letterari, leggere libri ad alta voce in gruppo (come fanno a New York, notizia di pochi giorni fa), favorire il contatto con la musica. Ma soprattutto è necessario cambiare prospettiva: considerare la poesia e la letteratura come un patrimonio comune che si radica nel nostro partecipare al genere umano, che è di tutti, gratuitamente, e deve essere ‘vissuta’ nell’autenticità. In un’epoca in cui è in crisi la figura dell’autore, è certamente un’opportunità ricordare e riaffermare la centralità della poesia come postura esistenziale e non come possibilità di affermazione personale né come estetizzante solitudine del testo. Questa è la speranza, questa forse è la vera vita, secondo Adam Zagajewski.

Primitivo Americano, di Mary Oliver

di Mauro Ferrari

Mary Oliver, Primitivo americano, a cura e con traduzione di Paola Loreto, Einaudi 2023

Nella splendida traduzione di Paola Loreto (autrice anche di una interessante nota di apertura) è stata appena pubblicato Primitivo americano, l’ultima raccolta della poetessa americana Mary Oliver (1935-2019). Si tratta di poesia etichettabile, in senso molto limitativo però, come spesso accade anche per le etichette più significative, come “ecopoetry”, quindi inquadrabile in quel vasto movimento culturale che ha radici profonde nella cultura e nella poesia americana (ma non solo). Il manifesto della ecopoetry, anche reperibile in rete, enfatizza il lato ecologista, diciamo pure politico, e mette l’accento sulla salvaguardia del pianeta e un nuovo rapporto con gli altri esseri viventi, sui diritti fondamentali dell’Uomo, la pacifica coabitazione dei popoli e “le nuove e varie introspezioni dell’Io”: punta insomma su aspetti cruciali del pensiero contemporaneo, compreso il distanziamento dalle poetiche paludate e accademiche, “per aprirsi a una comunicazione poetica chiara e semplice, comprensibile per tutte le culture” e quindi anche facilmente traducibile, per diffondersi almeno negli intenti tra un pubblico più ampio.
Legami e apparentamenti poetici sono evidenti con autori come Walt Whitman e la sua poesia intrisa di oralità; l’American Renaissance, anche con i suoi risvolti misticheggianti: R. W. Emerson e H. David Thoreau, Robert Frost e il contemporaneo Gary Snyder. Ma, restando in ambito anglofono, è impossibile non citare Wordsworth e, nella poesia più o meno recente (e per motivi diversissimi) il Ted Hughes di Moortown, River e Wolfwatching Continua a leggere

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La parola ai poeti. Vincenzo di Maro

Ho iniziato a leggere e scrivere poesia abbastanza precocemente, quando ancora non ero adolescente; sopratutto, in modo del tutto inconsapevole. Il mio apprendistato – se di apprendistato si può parlare – si è svolto in modo del tutto particolare: leggevo molti racconti e romanzi; c’era in me l’idea – anche incoraggiata dagli insegnanti – di voler diventare soprattutto scrittore in prosa. L’esercizio del racconto ha in sé qualcosa di egotistico, ha a che fare con lo scrivere storie in uno stile riconoscibile, personale. Raramente portavo a termine i racconti cominciati: mi venivano incipit che consideravo prodigiosi, ben presto però la vena svaniva. Troppo faticoso, per una mente disordinata come era allora la mia, costruire una storia. Di contro, ogni tanto ero folgorato alla lettura di poesie che ritenevo bellissime, avendo oltretutto l’impressione di non comprenderle appieno. Se ci penso, è ancora questo il compito che assegno a una poesia: quello di aprirci a una dimensione che le parole possono solo suggerire, senza chiarire mai del tutto. Bisognerebbe leggere una poesia con la stessa misteriosa gratitudine con cui si percorre un tratto di strada accanto a uno sconosciuto. Continua a leggere

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Lo stato dell’arte. Raffaele Floris

Provo a rispondere per punti.

1. Una delle poesie più popolari di Elizabeth Barrett Browning, The cry of the children, influì molto sul pubblico riconoscimento dell’iniquità dello sfruttamento dei fanciulli. Cosa può fare oggi la poesia, la letteratura, se non c’è una consapevolezza collettiva, o meglio comunitaria, su questi e altri temi? Niente, temo. E questo non lo dico io, lo ha affermato Valerio Magrelli lo scorso fine settimana a Volpedo, nell’ambito della rassegna Fiori di pesco (https://www.fioridipesco.it/). La poesia può soltanto offrire una visione che, pur partendo da elementi che possono anche essere autobiografici, non ceda il passo di fronte alla “logica binaria che ha ormai preso il sopravvento (…) e il pensiero tecnico ha determinato la svolta antropologica della persona da homo sapiens a homo videns” (Francesco Macciò, L’universo in periferia, ed. Moretti & Vitali 2023). Continua a leggere

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Recensione de « La strada verso il canto » (RPlibri 2023) di Franca Alaimo

Il titolo “ La strada verso il canto ”  indica chiaramente come la rappresentazione del mondo si configuri per l’autrice Rossana Jemma  quale un cammino verso “quella cosa piumata” che è,  secondo una bellissima metafora della Dickinson, la Speranza che  “canta melodie senza parole/e non smette -mai-“
Il cammino è scandito dalle tre sezioni in cui si divide la silloge, definendo altrettante tappe: ‘Buio e aritmie’,  ‘Fantasmi e presenze’  e  ‘Canto e speranza’. Il filo conduttore della narrazione poetica va identificato in un profondo sentimento doloroso, declinato con tale assillo di immagini, e concrete e astratte, da dare compattezza all’intera trama compositiva. Nella prima sezione è il corpo ad urlare e di fronte all’esperienza di una malattia che ha condotto l’autrice sulla soglia della morte e di fronte all’aggressività subita da un uomo che alla farfalla ‘appena dischiusa / fremente’  ha spappolato le ali. Sarà la memoria a venire in soccorso alla poeta (‘Fantasmi e presenze’), sebbene il tempo non riesca sempre a illimpidire il male subito e gli angeli continuino a restare muti. Ma, se si fanno spazio presenze amate (la madre, un amore mai obliato, un cugino morto giovanissimo che ‘cade piano sul cuore/ si fa neve’, una cara amica), allora una dolce eco di risonanze interiori si diffonde tra i versi e le cadenze ritmiche restituiscono un distacco contemplativo e compassionevole, trasformando le immagini in epifanie.  Continua a leggere

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La parola ai poeti. Giovanni Bracco

La mia idea di poesia

 

   La mia idea di poesia e il mio modo di fare poesia sono centrati sulla parola. Mi innamoro di una parola o di un verso nel quale le parole sono incastonate come note sul pentagramma. Parola e verso sono musica, ritmo, rappresentazione di realtà e anche di verità ulteriori, scaturite da profondità altrimenti insondabili. Se me ne innamoro, procedo con la scrittura, i cui tempi e i cui esiti sono imprevedibili. Non ho idea di dove andrò a parare mentre scrivo, oppure ho un’idea assai vaga e, qualche volta, fallace. 

   Quando mi chiedono che cos’è la poesia, ricorro sempre ai versi di Giuseppe Ungaretti (Commiato), nei quali mi riconosco: «… poesia / è il mondo, l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento. // Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». Continua a leggere

20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Non è facile recensire un libro come Tra papaveri e lattine (diddo, 2022) di Annarita Zacchi. Apprendo dalla breve nota biografica che è morta in questo stesso anno. Anzi, no. È facile scrivere di questa poesia che ci fa scoprire una voce viva e autentica. È riuscita a trasfigurare il dolore della malattia in arte pura. Non ho esagerato. La malattia non è affatto un caos calmo. Lo può raccontare suo marito. Leonardo Gandi, il quale ha pubblicato postumo il libro. Eppure, nei versi di Annarita si viene accompagnati nella prima notta di quiete. Questa è la potenza della poesia. È viva sempre. Fa vivere ancora l’esperienza esistenziale della poeta. Non leggiamo versi che invocano pietismo, non sono un’inchiesta sul dolore, non vogliono portare una testimonianza estrema del corpo. La sua poesia vive, semplicemente, nel luogo e nel tempo che le è stato concesso. Non sono queste solo parole. Provate a leggere. Nei suoi versi vibra la sua voce, risuona poeticamente esatta e laconica. E condurremo una lotta/ con gli uomini lupo/ in camice bianco/ sapendo già l’esito/ (…) se questo sia lo spazio/ di luce in cui abiteremo. D’altro canto, la poeta è già altrove. E ci ha lasciato in mano la sua poesia. Di cos’altro parliamo, quando parliamo di poesia?

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La parola ai poeti. Rossella Pretto

Nell’ultimo capolavoro di Cormac McCarthy, Stella Maris, durante il lungo, affascinante, astruso dialogo in più sedute con il dottor Cohen, suo psichiatra curante, Alicia Western afferma che nell’essere umano è connaturato il senso della giustizia, e che l’idea di giustizia e l’idea di animo sono forme diverse dello stesso pensiero.
Nascendo, il bambino piange e protesta (al contrario dell’animale che soggiace al pericolo e dunque non si espone all’artiglio segnalando la propria posizione). Il bambino protesta per la rottura del patto, di ciò che doveva essere e non è, cerca di articolare dissenso, rabbia, il supplizio, e così facendo sancisce l’opposizione al mondo.
C’è, però, una tenue fiammella di speranza in lui, perché chi protesta e si arrabbia per la cacciata dall’Eden ancora crede che le cose possano essere modificabili altrimenti la rabbia si trasformerebbe in dolore, immobilità, disperazione.
E mutismo.
Tutto ciò che la poesia non è. O non è nello scontro tra spazi, pieni e vuoti. Tentando cade, ma nel cadere lascia traccia: parole sfarinate che testimoniano – ci provano – il passaggio e il farsi anima di chi le scandisce e in quel suo dire crolla. Sonoramente. Continua a leggere

Poesie di Francesca Pellegrino

L’ebanista

Come un pezzo di legno sto

un pezzo di legno di albero

impassibile e lento e

un milione di foglie per ingannare i secoli

giocando a tre carte con le stagioni.

*

Rivelazioni

Ormai è inevitabile come il

respiro, qualcosa che faccio

ed esisto: ingoio e

trabocco, ingoio e trabocco.

All’infinito. Sempre e soltanto

ascoltando l’eco delle lancette

sbattere fortissimo

contro il muro.

* Continua a leggere

Roberto ADDEO, Fuori è un bel giorno di sole. Nota di Antonio Fiori

Roberto Addeo

Fuori è un bel giorno di sole

La Valle del Tempo, Napoli, 2023

Prefazione di Antonio Spagnuolo

Postfazione di Maurizio Vitiello

*

Dopo Bile (Transeuropa, 2020), poema versicolare che indagava gli organi del corpo e contorceva verbi e pensiero, Roberto Addeo distende ora il suo verso, esce dal corpo, e ci dice che Fuori è un bel giorno di sole. Il titolo del suo lavoro ha certo una componente ironica, ma dimostra anche, come nota Maurizio Vitiello, la resilienza del poeta e la sorpresa delle gioie che a volte la vita ci concede. La raccolta è ancora in forma poematica e si nutre di un lessico eterogeneo, sorprendente, con esiti spesso grotteschi (come – quando si sente amato da una persona/ vorrebbe ucciderla; oppure – liberò un padrone dal suo schiavo; o ancora – mi invitò a cena per mangiarmi). Roberto Addeo resta dunque fedele alla poesia sperimentale ma altrettanta fedeltà dimostra verso il mondo reale, raccontando dolore psichico e impegno sociale, speranze e sentimenti: porterò in pugno una fiaccola e un piede di porco/ una causa comune/ e sottobraccio, la mia coda di lacrime. Continua a leggere