Archivio mensile:Aprile 2010

Salmo della estate che vinse gli amanti

Tra le onde del fare e disfare
gli amanti distrussero il sonno
sul niente andare de la estate che tornava
per addormentarli tra le chele di un granchio
e ne la conchiglia.

E su le rive del male
a uno dei due
girato di spalle certo che no
per nulla tornare nulla soccombere
promise la tiepida notte al tramonto
le ime ninfomanie
dischiuse a le stelle compulsive e disagiate
del dieci agosto di ogni mare e scintillìo.
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De delictis gravioribus / 2

di Ezio Tarantino

3. Racconti

Quelli di Stephen Kiesle e del Reverendo Lawrence C. Murphy sono, forse, gli episodi più emblematici di questa triste sequela di vicende, perché di recente la stampa nordamericana ha resi noti tutti documenti (qui e qui) che ci consentono di capire meglio come la gerarchia di Roma abbia gestito casi del genere. E su questi il New York Times, primo fra tutti, ha imbastito la sua campagna di primavera contro il Vaticano.

KiesleCominciamo con il caso di Stephen Kiesle.

Nella primavera del 1981 ben tre lettere prendono la via del Vaticano dalla lontana California.
La prima la indirizza il 25 Aprile Louis Dabovich, parroco della Chiesa del Buon Pastore a Pittsburg, California, diocesi di Oakland, a Sua Eminenza Cardinal Franjo Seper, Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (lo fu fino alla fine del 1981, quando venne sostituito dal Cardinal Joseph  Ratzinger).

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Uomo

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=XTep91oqgVk&feature=related]

da qui

Un caro amico mi ha chiesto per quale motivo il mondo non sia cambiato in seguito all’incarnazione storica di Dio. Se fosse rimasto confinato nella trascendenza, avremmo potuto credere per fede, mettendo a tacere la ragione. Ma se interviene, partecipa del cosmo, com’è possibile che tutto resti come prima? Una bella domanda. Ho letto la mail alla fine di un estenuante giro di benedizioni delle case, l’attività che più di altre è capace di stroncarmi: perché tocco con mano l’insufficienza della chiesa, la sua incapacità di raggiungere gli angoli più oscuri, non solo del quartiere, ma anche dell’anima nascosta dei fedeli. Continua a leggere

Due presentazioni fiorentine con Marino Magliani

In arrivo due eventi letterari fiorentini con Marino Magliani e Giovanni Agnoloni.

Il primo, lunedì 3 maggio presso la Libreria Brac (Via dei Vagellai, 18/r), alle ore 18,00, sull’antologia collettiva curata da Marino Magliani Il magazzino delle alghe (ed. Eumeswil) e – sempre che si risolva in questi giorni il problema di cambio di promozione dell’editore Eumeswil, com’è auspicato -, sul saggio tolkieniano di Giovanni Agnoloni Nuova letteratura fantasy, che fino ad oggi non ha potuto essere distribuito a causa della ricordata difficoltà.

Il secondo, sotto forma di Seminario del Centro Romantico del Gabinetto Vieusseux, martedì 4 maggio alle 17,30 presso la Sala Ferri di Palazzo Strozzi, con la partecipazione anche del Prof. Giuseppe Panella, del libro di Marino Magliani e Vincenzo Pardini Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo (ed. Transeuropa). Il titolo del seminario sarà “Periferie rurali, periferie del pensiero”.

Anche io mangio

Alto, con le spalle curve di chi porta il peso di molti inverni. Una certa distinzione nel modo di muoversi, sebbene appaia malfermo sulle gambe. Indossa sopra abiti lisi un vecchio cappotto color cammello, decisamente corto per lui, elegante sì, ma in altre epoche.

Parla fra sé non chiedendo ascolto, non attendendo risposte. Da tempo nessuno lo ascolta. Continua a leggere

Ricordo di un maestro

Furio Scarpelli è morto due giorni fa, a novant’anni. E’ stato il mio docente di sceneggiatura al Centro Sperimentale di cinematografia (oggi Scuola nazionale di cinema) nel 1985. Da allora non l’ho più rivisto, o quasi. Da anni avevo interrotto qualsiasi rapporto, seppur casuale.
Per qualche tempo, dopo il diploma, ho continuato a mandargli quello che scrivevo, ma dopo un paio di mancate risposte, ho smesso. Ma non gliene ho mai  voluto, non ci riuscivo.

Neppure come docente ci aveva mai dato l’aria di poter essere di un qualche aiuto pratico nei nostri ingenui tentativi di entrare nel mondo del cinema. Ma neppure allora gliene volevamo (un po’ sì, anche perché pensavamo che la ragione del suo distaccato disinteresse per queste volgari questioni pratiche fosse in realtà che, fuori dal Centro, avesse già i suoi giovani da aiutare e che non ci fosse abbastanza spazio anche per noi, arrivati ultimi in questa corsa all’oro un po’ patetica).

Le sue erano vere e proprie lezioni di scrittura creativa, solo che nessuno, allora, le chiamava così. Ci insegnava a leggere, prima di tutto. Scrivere era solo una conseguenza. Scrivere per il cinema una conseguenza di una conseguenza. Cecov, Maupassant, Dostoevskij, i suoi preferiti. E Flaiano, naturalmente. Continua a leggere

QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.38: Sapere salem (et sapientiam). Aldo Roda, “Figure del sale”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

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di Giuseppe Panella

 

Sapere salem (et sapientiam). Aldo Roda, Figure del sale, con un’ Introduzione di Massimo Donà, Firenze, Gazebo, 2008

E’ un nuovo capitolo di un lungo poema in fieri questo pubblicato da ultimo da Aldo Roda.

«”Io, / zolla di sale”, dice di sé il poeta. Quasi… fiore che viene tra rovi; ma, nello stesso tempo, anche “animale chiuso in / cassa di pietra / gettato in mare”. Eppure, il suo volto è simile al fiore; che “nasce aperto calice”. Come il sale che l’acqua scioglie e fa suo; trasfigurandone in qualche modo la durezza. Quella stessa che contraddistinguerebbe anche una cassa di pietra; la quale, gettata in mare, rinascerebbe comunque a nuova vita. D’altro canto, ogni vero poeta “depone il proprio guscio di noce”. Durezza necessaria era infatti quella che, sola, gli avrebbe consentito di risolvere ogni desiderio in fiore. Durezza che ogni grano di sale restituisce nella propria falsa opacità; menzognera, dunque… eppur necessaria. Necessaria, cioè, a potersi fare “riflesso di vetro”; vera e propria trasparenza che tutto in sé riuscirebbe ad accogliere, sotto la maschera che, del “vero”, sa esser sempre nello stesso tempo anche custode. Così il poeta, dunque; che conduce le cose dal non essere all’essere come sapeva bene già Platone. Per un gesto comunque sacrilego. Così, d’altro canto, “parla anche la natura”»

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Tretìppe e martìdde, questo e quest’altro

Vincenzo Mastropirro, Tretìppe e martìdde, questo e quest’altro, Giulio Perrone, LAB.

di Pasquale Vitagliano

Stoche a pizz’, proprie a pizz’/ cume re furme stròne fatte da mamme/ pronte pe d’esse mangiate/ da vocche tercìute/ cu’ le dinde malòte (Sono a pezzi, praticamente a pezzi/ in forme strane scolpite da mia madre/ pronto per essere mangiato/ da fauci mostruose/ con denti cariati). La poesia dialettale di Vincenzo Mastropirro andrebbe ascoltata, e senza bisogno di traduzione. Se ne coglierebbe subito la prima qualità, l’essere tridimensionale, plastica, sonora, appunto. E’ dunque una poesia plurisensoriale, prima e al di là di ogni riflessione linguistica e semantica sull’uso del dialetto. Questo lo si sente subito per la sua forza di evocazione: suoni e immagini. Continua a leggere

De delictis gravioribus / 1

di Ezio Tarantino

1. Prologo

Io li ho visti all’opera.
Buoni, onesti, pastori disinteressati, generosi e fedeli.
Ma, al dunque, deboli, chiusi nel loro fortino assediato dagli indiani. Inadatti, terrorizzati, umiliati, arroganti.

All’epoca dei fatti (circa quindici anni fa) ero membro del Consiglio pastorale, l’organo consultivo all’interno del quale le varie componenti laiche e religiose discutono delle questioni riguardanti la comunità parrocchiale.
Eppure io non mi accorsi di nulla. Le voci circolavano, ma io lo seppi dopo. Io scoprii tutto, o quasi, a cose fatte.

Don X era scappato nella notte, di lunedì, senza che la domenica, a Messa dicesse una sola parola, neppure usando un codice trasversale perché qualcuno potesse intuire. Niente.
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“Il verso del moto” di Narda FATTORI. Nota di lettura.

Aprendo “Il verso del moto”, settima raccolta poetica di Narda Fattori, e scorrendone le pagine, si ha subito l’impressione, poi confermata, di un libro ben strutturato e curato sotto l’aspetto grafico: settanta componimenti senza titolo suddivisi in quattro sezioni – primo , secondo e terzo movimento, e movimento finale. “Una loro circolarità musicale”, indica il prefatore, “ è riconoscibile nel moto a spirale che dall’io poetico delineato nel primo movimento, carta d’identità con foto e storia personale, al plurale del secondo tra gli elementi e la parola, all’intersezione dei diversi piani del terzo, volto a sintetizzare i precedenti movimenti, muove nel quarto al ritorno al sé proiettato, tuttavia, nella sua dimensione ultima con l’acquisto di una cifra simbolica che eleva liricamente in crescendo tutta la raccolta. Movimenti che nascono dell’esperienza della vita elaborata in parola…” Continua a leggere

Intervista a Riccardo De Gennaro

Intervista di Marino Magliani

Riccardo De Gennaro è scrittore e giornalista professionista, ha lavorato per oltre vent’anni nelle redazioni di Repubblica e del Sole 24 Ore, occupandosi prevalentemente di economia e sindacato. Direttore per due anni della leggendaria rivista “Maltese narrazioni”, ha scritto il romanzo I giorni della Lumaca (Casagrande 2002) e il libro-reportage Mujeres. Storie di donne argentine (Manifestolibri 2006).
Nel 2008, per Camera Verde, ha pubblicato il libretto di aforismi “Taccuino metafisico”, di cui sono apparsi su La Poesia e lo Spirito alcuni estratti. Le ultime sue iniziative, editoriali e narrative, sono in ordine di nascita la rivista trimestrale “Il Reportage” e il romanzo La Comune 1871, uscito ora per Transeuropa.

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Symballo, diaballo

Chi non ricorda il primo bacio? Due mondi che diventano uno, l’estasi di una distanza annullata, una barriera vinta. Il bacio è un simbolo: del varcare la soglia, dello spingersi al di là, per ritrovarsi. Il bacio è vita, due poli si toccano per produrre una scintilla, un movimento. Il piacere legato alla fecondità, l’esorcismo di ogni divisione, di ogni morte, come tragica separazione da ogni altro. Continua a leggere

Provocazione in forma d’apologo 157

E dopo anni d’attesa una scampanellata violenta. La donna spegne lo stereo, va alla porta e si trova davanti un uomo né giovane né vecchio, né bello né brutto, né del tutto in ordine né decisamente indecoroso. Un uomo come in questi tempi difficili se ne vedono tanti: uno di quelli che la vita ha provato saggiandoli coi suoi denti aguzzi, per poi magari sputarli.
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Note su “La guardia è stanca” di Geraldina Colotti

Note su “La guardia è stanca” di Geraldina Colotti.
Di Viola Amarelli

Strutturato come una rapsodia, “La guardia è stanca”, (Cattedrale, 2010) terzo libro di poesie di Geraldina Colotti, ha il suo fulcro poematico nella cronaca di una sconfitta, storica e generazionale. Ne è palese metafora la figura, appunto, della *guardia*, che da impaziente miliziano bolscevico artefice della chiusura della Duma, diventa nel corso del libro – e del *secolo breve* – portatore di un’attesa sempre più deserta e beckettiana nella stessa esperienza carceraria (di solito nessuno viene; qui non succede niente). Continua a leggere

IL TERZO SGUARDO n.3: Alla ricerca di una possibile verità. Gustavo Micheletti, “Lo sguardo e la prospettiva”

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

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di Giuseppe Panella

 

Alla ricerca di una possibile verità. Gustavo Micheletti, Lo sguardo e la prospettiva, Firenze, Clinamen, 2009

Lo sguardo e la prospettiva rappresenta un punto fermo nell’ampia e sostanziata ricerca di Gustavo Micheletti partita anni fa con una tesi dedicata al pensiero di Leibniz (discussa con Remo Bodei) e proseguita poi, da allora in avanti, utilizzando molti e diversi mezzi espressivi (tra cui il romanzo, la prosa narrativa, il saggio filosofico e l’intervento giornalistico).

L’intento espresso da Micheletti in questa sua ultima prova filosofica è molto ambizioso:

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Vivalascuola. Chi li ha trasformati così?

Io questa gente la conoscevo da prima…
Chi li ha trasformati così?

Aiuto a lor date
Ma fate in fretta
Altrimenti vi accadrà qualcosa di imprevisto

(Bertolt Brecht)

Bisogna leggerla tutta la Lettera del benefattore di Adro… Documenta un patrimonio democratico di valori… ancora esistente nel nostro Paese; un patrimonio messo in ombra, svilito da chi conosce soltanto le cifre della propria carta di credito ed è intento a spostare ogni giorno di più l’asticella dell’intolleranza; da chi predica moralità, legalità, rispetto delle regole per gli altri e, intanto, si fa lavare la Mercedes da un albanese, cucinare il cibo da un egiziano, assistere la mamma da una signora ucraina… Dopo quella pasoliniana, è forse in atto un’altra “mutazione antropologica”. Davvero stiamo precipitando verso il baratro. Il bisogno di svegliarsi è grande (Donato Salzarulo).

Lettera di un cittadino di Adro

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film L’albero degli zoccoli. Ho studiato molto Continua a leggere

Prime comunioni

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da qui

Stavo male, ma è un fatto secondario. In sacrestia, un attacco di tosse senza fine.
– Dobbiamo fare il giro della chiesa, in processione?
– Sì, come sempre.
Bene, penso, così mi rovino un altro po’. Scivoliamo silenziosi sul retro all’altare, i parenti sono già schierati, a modo loro elegantissimi. Sorridono quando li guardo, c’è una corrente positiva. Magari non sono praticanti, per qualcuno saranno indegni di stare ai primi banchi. Non certo per me. I bambini sono in fila per due, col giglio in mano. Parlano tra loro, emozionati. Mi vedono e lanciano un grido: don Fabrizio! Li accarezzo, con un gesto leggero e fugace, non si sa mai, di questi tempi. E’ ora, la processione può partire. Sul piazzale, altri parenti sorridenti: meno praticanti dei primi, perché nemmeno mi salutano. Continua a leggere

Pierre Dhainaut (Francia, 1935)


Oiseaux d’ici

Rieuses, dit-on de ces mouettes

tête noire et bec rouge,

d’autant plus blanches

lorsque les ailes se déploient

sur la digue, sur le port,

sans trêve, le vent,

le vent est favorable

à la véhémence

de la trajectoire, à l’acuité

du cri : elles gravissent l’air,

elles s’y précipitent, là-même

où nous ne voyons rien,

quelle était

leur victime ? cette clameur

de vagues qui s’abattent

nous rattrape, nous blesse

jusque dans les rêves. Continua a leggere