Archivio mensile:Gennaio 2007

Commiato

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Mercoledì, 17 gennaio 2007 

Ieri sera ho portato la mia gattina dal veterinario per l’ultima volta. L’amico che era insieme a me, e al quale ho affidato il compito mentre io sono rimasto in macchina,  mi invitava a salutarla per l’ultima volta ma  io ho girato la testa dall’altra parte. Vedo il suo corpicino bianco, mentre se ne va per la strada, davanti a me e io capisco subito di non aver assolto a un rito, di non aver fatto ciò che si doveva: guardarla ancora, dirle ciao, prima di uscire dalla porta di casa. Capisco immediatamente, ma è tardi, che i riti vanno compiuti, che esistono le formule giuste per farlo. Sento una comunione fra le cose, fra gli esseri tutti. Non è un animaletto, un mucchietto di peli; è una parte di me che se ne va. Continua a leggere

Provocazione in forma d’apologo 4

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Dodici anni fa, quando venne pubblicato il libro che la contiene, nessuno volle capire di che cosa veramente parlasse questa provocazione in forma d’apologo. Ora, per fortuna e purtroppo, le cose sono cambiate.

Era – anzi è, il presente racconto è presente davvero, questa vicenda accade realmente nello stesso momento in cui viene narrata, la narrazione non ne è che il verbale, il simultaneo regesto, la prima nota – e anche l’ultima. Continua a leggere

Non ho niente contro il mondo

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Poesie di Roberto Ceccarini con presentazione di Giacomo Cerrai

Roberto Ceccarini (a.k.a. RedMaltese) è un runner che ogni tanto si ferma e scrive poesie, o viceversa. Voglio dire: non è soltanto uno che ha idee, un appassionato operatore culturale (e qui, in quest’epoca che vede deperire l’editoria classica nella sua propria scarsità e lentamente emergere un’editoria liquida – per dirla con Bauman – ma non priva di valori, bisognerebbe forse ripensare un ruolo per chi democraticamente “muove le acque” della cultura poetica e non). Non è soltanto questo, dicevo, ma anche (in più) uno che verifica in proprio una dimensione poetica per-corribile, anzi “abitabile”. Mi piacerebbe approfondire questo concetto a cui sono molto legato, ma parliamo di lui. Continua a leggere

Dall’agenda 2006 (II)

Altre note dall’agenda 2006.

L’anima del filosofo anela alla libertà dalle passioni, soprattutto da quella illusoria dell’amore. L’anima romantica aspira invece alle catene, e le venera.

La natura è il regno della forza. L’ho capito da bambino, quando durante le vacanze a Roncegno, in Valsugana, mentre vagavo sui prati a caccia di farfalle, mi sono imbattuto in uno sterminato brulichio di formiche. Sono rimasto a lungo ad osservarle. Stavano combattendo una battaglia micidiale. A migliaia, si massacravano. Ne sono rimasto sconvolto e affascinato. Poi, per molti anni ho dedicato parte del mio tempo allo studio del mondo degli insetti, osservando il comportamento di molte specie, e soprattutto delle formiche. E ho capito che in natura tutto è regolato dalla forza. Anche quell’uccellino che sta cantando sul ramo non lo fa per allietare se stesso o altri. Questo è il pensiero dell’umano poeta, un’illusione. La scienza ci spiega che quel canto non è altro che un’affermazione della propria potenza. L’uccellino che canta è un maschio che compete con gli altri maschi con la forza del canto, come i cervi maschi competono a colpi di corna. Il canto segna il territorio e attrae le femmine: come le cerve sono attirate dal maschio con le corna più grandi che sconfigge i rivali, così le femmine del cardellino o dell’usignolo si danno al maschio che con la maggior potenza del suo canto segnala la sua maggior forza. Ovunque tra gli animali i maschi e le femmine più forti prevalgono, imponendosi sugli altri, senza pietà. I sostenitori della sostanziale uguaglianza tra gli animali e gli umani dovrebbero riflettere anche su questo.

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Il canto della follia di un mondo

Nerone – Il parto del mostro – scultura in bronzo 1967

Alla luce di ciò che sta succedendo in molti blog, più o meno collettivi, e, soprattutto, tra la fauna spesso psicolabile che ne fa vivere i commenti (moltissimi dei quali sconcertanti… se non vere e proprie testimonianze di deliranti, privati di una salutare camicia di forza – commenti, spesso anonimi, perciò ‘codardi’, che, di solito, ridacchiando sardonicamente, volutamente fomento, buttando ulteriore benzina sulla pira della vanagloria e dell’ ‘imbecillità’ dilaganti, così, tanto per far intendere dove l’altrui follia, nonché, ovviamente, la mia, può arrivare – ma non la follia ‘bella’, cioè quella follia infine letterariamente costruttiva-ispiratrice, ma quella più ‘becera’, quella più alienata, quella più ottusa, quella avariata, quella ammorbata, quella velenosa, quella crudele), voglio rituffarmi in ciò che fu la prima analisi ‘lucida’ della modernità (e anche del ‘post’, della stessa) che la scrittura italiana ci ha offerto e quindi consegnato tramite uno dei pochi giganti che possiamo annoverare tra le fila delle nostre patrie lettere. Ovviamente, la sua, fu ed è anche grande metafora dello smarrimento che l’Occidente stava e ancora sta vivendo. Lezione esemplare, atemporale… fino a quando non ritroveremo il Centro in un Assoluto (sacrale) comune (oggettivo), oppure fino al giorno in cui non ci autocancelleremo, alla buonora, da questo universo (a cui ben poco rendiamo gloria e che, reputo, neppure si accorgerà di tale nostra totale e miserabile dipartita).

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MUNDUS IMAGINALIS – Stazione Terza

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Cronache dal paese dei Balocchi

Sono cresciuto tra boschi di robinie e campi di calcio dell’oratorio, la sera si giocava a nascondino nel frumento e si scopriva cosa c’è sotto le gonne. Il primo computer, a 32 anni, è stata una scoperta, ha arricchito il senso del reale di un adulto. Negli ultimi anni ho cominciato a chiedermi com’è il senso del reale di un ragazzo di oggi, che apprende la realtà nei nostri appartamenti pastorizzati, in forma quasi esclusivamente mediatica e soprattutto simulata. Ho fatto una ricerca nella cronaca bianca e nera, e nelle sterminate possibilità dell’industria dei giochi. Ne è nato un romanzo, “La porta degli innocenti”, in cui si racconta di crimini indecifrabili e giovani naufragi virtuali.
Il paese dei Balocchi è diventato un incubo?
(Da: V.Binaghi, La porta degli Innocenti, Dario Flaccovio Editore, 2005)

Genesis

Com’è finito il mondo di prima? Ci sono diversi scenari a disposizione.
Nel primo scenario è stata la Quarta Rivoluzione Industriale, quando anche i cinesi hanno cominciato a pretendere il frigorifero. L’effetto serra ha sciolto le calotte polari facendo alzare il livello degli oceani e sommergendo la maggior parte della terra. Restavano spuntoni di roccia inabitabili, dove un tempo arrivavano solo gli alpinisti. Per un po’ i superstiti hanno vissuto su barche, come in quel film con Kevin Costner dove la gente per bere ricicla le proprie urine, ma non era vita, e gli ultimi si sono suicidati in massa bestemmiando l’Arconte Supremo. Continua a leggere

buio uno

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Ora dormo, forse sto sognando, per quanto dormirò e da quanto sto dormendo? Però penso. Penso che, per fortuna, sono caduta sopra al tappeto e non mi sono fatta troppo male, perché male non ne sento, dovrei sentirlo alla testa. Meglio così, ho la soglia del dolore bassa.
Però questo buio non mi piace, sono sicura d’avere acceso la luce quando sono andata a rispondere al telefono. Sì, sono entrata ed ho acceso la luce, ricordo bene. Allora perché questo buio? Sarà che nella fretta di rispondere al telefono non l’ho accesa, sarà che avevo intenzione d’accenderla e poi non l’ho fatto, sarà che mi sono distratta e nella foga non l’ho accesa, sì, dev’essere per forza così, a questo punto non sono più sicura di niente, sono confusa, però l’ho visto bene in faccia quell’uomo quando mi sono girata, quindi la luce doveva essere per forza accesa. Oppure era spenta e l’ho visto in faccia perché in quel momento è passata un’automobile che ha illuminato l’interno del negozio. Continua a leggere

Jean Danielou – RICERCA DI UNA LETTERATURA

(Da: “La cultura tradita dagli intellettuali”, 1974)

I problemi più difficili della cultura oggi si riscontrano nel campo letterario. La cultura scientifica non è nella sua essenza oggetto di contestazione. Ma c’è il pericolo che letteratura, filosofia e arte trascurino la loro funzione essenziale, che è quella di fare da contrappeso alla cùltura scientifica. Questa ne ha bisogno, perché tutto ciò che è profondità dell’animo, interiorità, esistenza personale, trascendenza del destino costituisce un campo che le sfugge: la cultura scientifica può solo permetterci di conoscere i condizionarnenti della nostra esistenza e offrirci la possibilità di dominarli, ma non è assolutamente capace di penetrare nel cuore perché essa, direbbe Pascal, appartiene a un altro ordine. Sarebbe veramente tragico se l’immenso apporto della letteratura, della filosofia e dell’arte finisse per essere trascurato o, addirittura, rinnegato.

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Del dire: diete e diari

baby-on-drumset.jpgbaby-on-drumset.jpg«Qu’as tu fait,ô toi que voilà/ pleurant sans cesse/ dis, qu’as-tu fait, toi que voilà/de ta jeunesse?»
[Paul Verlaine]

«Che cosa hai fatto, tu che ora/piangi e piangi/ dimmi, che cosa hai fatto, ora tu/ della tua gioventù?»

Che cosa hai fatto e che cosa – hai detto? Aggiungerei: che cosa hai scritto – anche – e per chi?

 

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Una piccola storia new age

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di Mauro Baldrati

Quasi ogni mattina, dalla finestra della mia cucina, assisto a una scena che si ripete.
Raccolgo le briciole di pane o dei biscotti della colazione, le unisco alle briciole del giorno prima, qualche vecchia brioche scaduta, pezzi di panettone che compriamo dopo le feste in offerta al supermercato, e lancio il tutto sul prato del condominio, quattro piani più sotto.

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Covare

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di Franz Krauspenhaar

1.”Siamo animali del bosco, saremo bosco, saremo foglie, sotto di noi cammineranno passi, si spegneranno cicche di sigarette, e poi svaniremo accartocciati nel nulla“. Così disse mio figlio a mia nuora, la quale era una creatura senza grilli per la testa, e pensò bene di guardarmi sgranando gli occhi, come se mio figlio avesse detto una fanfaronata delle sue; invece mio figlio aveva detto una cosa intelligente una volta tanto, era stato preciso sul destino che ci attende, sulla fine inevitabile, e io ne rimasi naturalmente di sasso; e nonostante stessi apprezzando la lucidità di mio figlio finalmente ritrovata non avevo voglia di complimentarmi con lui, dopo tutto quello che mi aveva fatto negli ultimi anni.

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Modesta proposta eco-logica

lultimo-lupo.jpgPropongo un’azione di bonifica per certe parole, frasi fatte, locuzioni che girano per l’aere (in TV, per strada, negli uffici) e che producono inquinamento mentale. Espressioni vuote come: “In qualche modo”, ” … e quant’altro”, “tra virgolette”, “intrigante”, “piuttosto che”, “assolutamente sì, assolutamente no”, che hanno soppiantato i vecchi “cioè”, “un attimino”, “allucinante”. Ma la cosa più irritante è l’implacabile (automatica) risposta all’augurale (sempre automatico) “In bocca al lupo!” – “Crepi!” Poi ci lamentiamo che il povero lupo è in via di estinzione.

Fabrizio Centofanti: All’alba c’è un anticipo sui versi

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I

la paura sottostante, la pineta, e l’ombra
onnipresente della madre, nelle grida violente,
l’impressione di scavare in una pietra,
l’ultima versione: il rumore e il clangore,
nonostante. la domanda, perché, perché tre volte
– come se ci fosse una ragione – l’onta, il bisogno di lavare,
di distruggere il muro della pelle. di tutto,
rimane quel recinto, e il pino,
l’insensato silenzio delle stelle, come in sogno.

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L’esperienza (di Massimo Sannelli)

Frammenti da «L’esperienza. Poesia e didattica della poesia» (2003)

La mano viene educata a poco a poco. L’immaginazione seleziona. Scrivendo, nasce un testo fermo, che sarà orale solo a partire da uno scritto: è questo. La voce alta del lettore viene più tardi, che completerà il gioco. Altri atti del corpo accompagneranno, volendo, la voce: se succede, è la cosa più grande della voce.

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Assoluto Amore

di Giovanni Martini

Caro amico,
è con vivo rammarico che devo confermarti la mia decisione di porre fine a queste sofferenze. Ho lottato fin che ho potuto, ma adesso basta. Sono un uomo finito. L’opportunità che Nostro Signore l’Altissimo mi conferì non è bastata a donarmi pace sulla terra. Ho fallito in tutto, e ora nulla mi attende. Infatti non possiedo nulla, non ho nulla, non ho raccolto nulla. La mia biblioteca spartiscila con gli altri. Saprai bene come fare. Sono ottomila volumi di spiccatissima qualità. Edizioni rare, raccolte con tanto amore. Per quanto riguarda i miei abiti, buttali. Non voglio che nessun altro li indossi. Al piccolo Peter dona quel berrettino col ponpon, tanto delizioso. E’ l’unico capo che desidero trattenere in questo mondo. Continua a leggere

Che forse gli somigliava

di Emanuele Kraushaar

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I miei guai sono cominciati la scorsa settimana.
Proprio il lunedì sera della scorsa settimana, infatti, buttatomi sul divano in procinto di guardare la televisione, mi sono accorto che non c’era più il telecomando. E che non era neppure nei posti possibili dove avrei potuto metterlo. E neanche in quelli improbabili dove sarebbe potuto finire.
Fatto sta che ho passato un’intera settimana a cercarlo e così anche per una settimana me ne sono stato senza televisione. Mi secca alzarmi per cambiare canale e se non posso cambiare canale la televisione mi fa schifo.
“Perché forse quello che mi piace è proprio il fatto di poter cambiare canale” ho detto al mio vicino Alessio Elfi, prima di accorgermi che il mio telecomando era sul tavolo del suo soggiorno.
“Quello non è certo il tuo telecomando, come vedi funziona con il mio televisore”. Ha fatto per accendere, ma io me ne sono andato sbattendo porta e cancello.
L’altra sera il mio telecomando è come spuntato fuori dal nulla e così sono corso dal mio vicino. Ma ad aprirmi è venuta una signora sulla settantina, che forse gli somigliava, ma che mi ha detto di non aver mai sentito nominare Alessio Elfi. E poi ha aggiunto che lei lì ci abitava da una vita e che un giorno di questi (“Non ora che devo fare la pedicure”), le avrebbe fatto piacere invitarmi a cena per conoscere il suo nuovo vicino.

SCRITTURE # 4 – Biagio CEPOLLARO

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di Francesco Marotta

“senza prodigio non vai
da nessuna parte ché quello
che non ti fu dato all’inizio
non cesserà mai di mancare”
 
Biagio CEPOLLARO
(Napoli, 1959)

Ha pubblicato, per la poesia: Le parole di Eliodora, Forlì, 1984; la trilogia De Requie et Natura
(che comprende: Scribeide, Lecce, Manni Editore, 1993; Luna persciente, Roma, Mancosu Editore, 1993; Fabbrica, Genova, Zona Editrice, 2002); Emendamento dei guasti, Marzoli, 2001; La poesia: Vale, Poesia Italiana E-book, 2003; Versi Nuovi, Salerno, Oedipus Edizioni, 2004; Lavoro da fare, Poesia Italiana E-book, 2006.
Per la saggistica e la critica: Perché i poeti (1986-2001), E-book, 2004; Biagio Cepollaro e la critica (a cura di Giorgio Mascitelli), E-book, 2005; Blogpensieri (V Supplemento a “Poesia da fare”), E-book, 2006; Note per una critica futura, E-book, 2006.
 

Tra i promotori del Gruppo ’93, ha fondato, insieme a Mariano Baino e Lello Voce, la rivista Baldus. Dal 2003 cura il sito www.cepollaro.it , il blog Poesia da fare e relativi Quaderni (trasformato dal 2005 in rivista mensile on line), e dal 2004 l’iniziativa italiana Poesia Italiana E-book. Nel 2006 ha fondato con Andrea Inglese la rivista on line Per una critica futura.
 

TESTI

Da: LAVORO DA FARE (2006)

 http://www.cepollaro.it/LavFarTe.pdf

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Nella rete…

Rete

Sarà col crescere del mondo e delle parole, più onnipresenti e fuggevoli. Sarà l’ingigantirsi illimite dell’io, di milioni e milioni di uomini che migrano verso lo spazio infinito, del web, per ritrovarsi di nuovo, e poi di nuovo, ancora, con battesimale parola: “id…” “Madre, da questo luogo remoto e vicino io scrivo, mi disvelo come mai avrei creduto, per smentirmi, magari, poco dopo, per dichiararmi e prendere forma, davanti a una platea di occhi invisibili, silenti, che vedono e non vedono, come nell’abisso d’un oceano. Osservo come un possidente i miei poderi sconfinati, di parole, di immagini e di suoni; e il ripetersi del nome, il mio, come eco infinita; e le messi dei commenti per aver forza di nutrire, poi, altri poderi, e avere nuove messi, ancora, da riversare; sono qui sospeso, mano nella mano, assieme ad altri; contandoci, ogni volta, per scoprirci più lontani o affiatarci, dopo oasi di silenzio e solitudine: per la parola di troppo, od omessa, per un saluto apparso poco autentico, per la mia riga in meno nel dirti di me, o di te, per la risposta disguidata e perdutasi, per i contatti diradati nelle feste, e nelle ferie, a cui ho rinunciato da tempo, immerso, ormai, in un altro mondo; non surrogato di vita ma altra vita, raduno forse di presenze poco definite, di pochi pixel; non meno luminose nello scarto di tempo, nella fisicità che manca. Rimettimi alla luce un’altra volta, madre, sopra il pelo d’acqua sospingimi, ogni tanto; fuori da questa vita anfibia, da questa prossemica malata; ritorni pure l’aura all’esatto contorno del mio viso, e tuoni immediata la parola, non echeggi; e mi rispondano gli amici per le rime, guardandomi negli occhi, scuotendomi, con mani d’ulivo.

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MUNDUS IMAGINALIS – Stazione Seconda

Gaston Bachelard – La poesia, o di un’infanzia immemorable Gaston Bachelard
Con Cyrano abbiamo esemplificato il potere alienante di un’immagine proiettiva, piccolo contributo a una psicologia del narcisismo. Ora, invece, mostriamo come l’immaginazione poetica ci permetta di compiere il movimento opposto: quello che ci riporta al più profondo di noi stessi. Celebre epistemologo e raffinato lettore di poeti, Bachelard (1884-1962) indica la via della rigenerazione d’anima nella réverie, lo stato sognante che la parola poetica induce. Nella réverie poetica troviamo un’infanzia più vera di quella che i nostri ricordi ci insegnano a ricostruire: all’orlo del tempo, nella solitudine cosmica di una coscienza aurorale, noi abitammo il mondo come mai più. Spetta alla poesia rivelarci una precedenza d’essere che è più vera della storia, e riportare la prosa dei giorni alle origini dell’essere parlante. Il testo è tratto da: G.Bachelard, La poetica della réveerie, Dedalo 1972.

Quando, sognando a lungo nella solitudine, ci allontaniamo dal presente, per rivivere i tempi della nostra vita, ci vengono incontro numerosi visi infantili. Noi fummo molti nella nostra vita già vissuta, nei nostri primi anni di vita e solo attraverso il racconto degli altri abbiamo incominciato a conoscere la nostra unità. Sul filo della nostra storia raccontata dagli altri, finiamo anno per anno, a somigliarci. Raccogliamo tutti i nostri esseri intorno all’unità del nostro nome. Ma la réverie non racconta. O, quantomeno esistono réveries così profonde, réveries che ci aiutano a scendere così profondamente in noi stessi che veniamo liberati dalla nostra storia. Ci liberano dal nostro nome. Continua a leggere