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Ti chiedi se un romanzo possa servire mai a qualcuno. Ti senti stupido, nella stanza con quaranta gradi, le pale del ventilatore sempre sul punto di cadere in pezzi, il poster di Taormina a ricordarti di uno spazio e un tempo in cui hai creduto di essere felice. Oggi metti tutto in discussione, dopo l’ennesima giornata storta: sei un illuso con la gente, immagini ancora che il vangelo possa cambiare la vita alle persone. A cosa serviranno le righe nere che tessi ormai a fatica, col mal di testa che ti opprime, le dita in cui pare condensarsi la pesantezza insostenibile di un agosto che non vuol finire? Salva L’Anima: ci credi ancora nel titolo che si è quasi imposto nel momento in cui hai pensato che il destino dell’amico, immobile nel letto, potesse rivelarsi il tuo? Non sarebbe più bello Chiaraluna, il filo fragile di una speranza che non accetta di morire? Pensi che il romanzo sia oscillare tra una morte e l’altra, il guizzo di vitalità minacciato dal caldo, le contrarietà, la malattia. Forse la felicità è il respiro rotto di un istante, in bilico tra un passato che non torna e un futuro che senti sfuggirti tra le mani. Guardi la Piazza dei Miracoli, il poster appiccicato con lo scotch tra Isolabella e la copia di Van Gogh: il miracolo è sedersi ancora qui, con la bottiglia d’acqua diventata calda, il pacchetto di Winston pronto a consolarti per un attimo e a rovinarti per sempre la salute, il quaderno degli appunti dove segni, passo dopo passo, le scene e i personaggi, e ogni tanto lo riapri e ti ricordi di Savin nella cella di Rebibbia – che fine avrà fatto? saprà che le hai provate tutte per parlarci? -, Anita, l’editore, che ti chiede a che punto sei arrivato – a buon punto, abbi pazienza, con tutto quello che ho da fare -, Arturo, costretto a ripetere le analisi – la vita è un esame ininterrotto? verrà mai il momento in cui ti puoi fermare, riposarti, sicuro di qualcosa? Tenti di riportare alla memoria la musica che ti cantava dentro, camminando lungo il viale mentre lui parlava, parlava, e ti si allargavano i polmoni, e vedevi i colori per la prima volta, e ti chiedevi che ho fatto fino a ora, per quale maleficio sono stato tenuto prigioniero? Prendi in mano il biglietto, lo leggi e lo rileggi: che la felicità sia trovare ogni volta le parole Flaminia, a te lascio in eredità il cuore del mio cuore, lo pongo nel tuo cuore, per sempre? Il romanzo esiste solo al contatto incandescente con la riga e mezzo di caratteri neri su un foglio di colore rosa, è il filo agganciato all’ultima chance a cui hai appeso la tua vita, sapendo che se dovesse spezzarsi pure questo non avresti più la forza di rialzarti. Rimane il poster di Van Gogh e l’ultimo dei dubbi: che a tagliarti le gambe sia la mania di star fuori dagli schemi, che la scelta giusta sia quella di Francesco, concentrato sui trucchi delle scuole di scrittura, che il mondo sia dei furbi, di coloro che si piegano ai gusti della gente, che sfornano prodotti prevedibili, pronti a soddisfare il palato di lettori-automi telecomandati. Il cuore del mio cuore: ti vedi ancora nella baia di scogli bassi, scendi con prudenza la scaletta in ferro, e lui ti dice buttati! e sorridi, appeso al baratro del tempo e dello spazio, con le pale del ventilatore che sputano l’ultimo sbuffo di aria calda, prima di riuscire a fermarsi e riposare.