di Lorenza Ronzano
Esteriormente Il Ricordo di Daniel ha ben poco di romanzesco: la trama è semplice e scarna, e anzi non si può nemmeno definire “trama”, perché manca l’intreccio, manca la cara vecchia intessitura delle vicende, e questo perché le vicende non esistono più, essendosi tutte pianificate in atti, riportati e classificati con il rigore elementare di una rubrica, di un insieme di cose da compiersi, di un’agenda.
Non si può più raccontare, è questo che sembra volerci dire l’autore – non si può più ottenere una storia da un assembramento di atti, quando ogni atto esprime soltanto una funzione e non rimanda ad altro che a se stesso. Nessun intreccio è possibile, perché tutti i personaggi non hanno una morale, non hanno un’identità, e non c’è alcuna psicodinamica a muoverli: hanno soltanto un ruolo, ovvero una funzione all’interno del sistema cui appartengono. Non è un caso che Daniel, il protagonista, li definisca di volta in volta come “la donna che sostiene di essere sua madre…”, “l’uomo che dice di essere suo fratello…, o ancora “la ragazza che sostiene di essere la sua fidanzata”, e così via. Tutto il libro, anziché da persone, è popolato da giri di parole. La fidanzata, la madre, il padre, tutti perdono la loro identità di esseri umani: come i componenti di una squadra, esistono solamente in virtù del ruolo e della funzione che adempiono rispetto al sistema d’appartenenza. Continua a leggere→