Caro Davide,
ho letto in questi giorni la tua silloge e ne sono rimasto sorpreso, ammaliato dalla ariosa cantabilità delle poesie; tu sai trascinare il lettore con grazia aristocratica nelle spirali sinuose dei versi brevi (settenari e novenari) arricchiti da rime alterne mai telefonate e sempre esattamente calibrate al gioco fonico; tu, come il pifferaio di Hamelin, sai modulare le note voluttuose e smemoranti per poi all’improvviso spalancare davanti al lettore il precipizio del coinvolgimento liquoroso, psicologico, empatico. L’onirico è sempre intessuto con il simbolico, con il quotidiano e con lo psicologico; in un certo senso così ringiovanisci il quotidiano in quanto lo rivesti di nuovo simbolico. Queste 21 poesie sono ventuno salvataggi nel mare in tempesta del cattivo gusto oggi imperante e della mala grazia del nostro tempo. Ma dove conduce il viaggio? Le figure che si susseguono in visionarie fantasmagorie (specchi, statue, ombre, arabeschi e merletti) sono in realtà tutti miraggi, illusioni della Musa sapiente. Già il titolo, Zebù bambino, è quasi un gioco fiorito, un gioco infantile, ma quanta verità nel tuo gioco, quanto mistero in quell’enigma! Riaffiorano immagini ed echi di antica esoterica psicocosmica poesia, ritornano alla mente, in filigrana, le strofe brevi del più grande lirico del novecento: Sandro Penna, ma come rivisitate e posposte nel nostro tempo post-utopico e post-storico. Forse il sigillo più accattivante di questa tua silloge sta proprio nella capacità che hai di trasfigurare le situazioni solitarie del “poeta fingitore” in una nuova poesia delle situazioni quotidiane.
(Giorgio Linguaglossa) Continua a leggere