– Poiché tutto si compie in un altrove sconosciuto.
Francoise Dolto
per Vito, medico e uomo buono
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Francoise Dolto
per Vito, medico e uomo buono
Continua a leggeredi Kika Bohr
Dalla struttura alla scultura
Il mio studio in viale Jenner ha per tre quarti un soppalco in cemento armato che lo divide esattamente in due. L’entrata invece ha più di quattro metri d’altezza. Per un anno intero vi ho ospitato un enorme piede in tondino e tubi di ferro che era collocato lì proprio davanti alla porta, sicché per entrare ci passavo attraverso. Quel piede l’avevo disegnato alcuni anni prima ed era stato realizzato dal fabbro Parisi e dal suo aiutante trasponendo il modellino in scala 1:10.
Nell’officina del fabbro
Ogni pomeriggio, con uno scooter elettrico dei primi modelli che aveva un’autonomia di quaranta chilometri, andavo a Ponte Lambro, che è vicino all’aeroporto di Linate, dove questo Gennaro Parisi aveva una bella officina vicino al fiume in un non luogo bellissimo tra capannoni di lamiera e campi ancora coltivati e lì, dopo aver messo in carica lo scooter, abbiamo costruito quattro grandi strutture. Misuravamo, tagliavamo e piegavamo tondini secondo delle sagome di carta da pacchi che avevo disegnato e ritagliato a misura. Dancio (Iordan Neicev), l’aiutante bulgaro, saldava tutto. Continua a leggere
di Giorgio Stella
L’autore dedica al dotto escretore
– 1 – Indio rinnegato alla coccarda
Dello stemma alato
Quando pioveva l’ombra
Che si mosse dal sole
Tra le vacche sacre
E l’organo trapiantato
In angelo di coro
– 2 – Votiva la possidente tagliata erba
Rettangolare alla siepe di neve
Dalle zone delle aragoste miste al ventre degl’oblò
Nel cuore degl’acquari –
La parrucca di Ester è ammucchiata tra
Las Vegas e la cremeria di spiraglio a nido
Perché il cocco rotto ha il latte di seta
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Come comprendere, come spiegare l’amore di Gesù? Lui vuole prendere tutti i nostri pesi, portarci sulle spalle. Non è mai stanco, mai troppo carico. Vuole che gli portiamo anime, più che possiamo, non saranno troppe. Vuole che chiediamo: venga il tuo regno! E Lui verrebbe avidamente, senza andarsene più. E se lo cacciassimo – tutto questo lo dice alla Bossis – resterebbe alla porta.
Tucidide, Boccaccio, Manzoni, Defoe, Camus… sono solo alcuni degli autori che nel passato ci hanno raccontato le devastazioni causate da epidemie e pandemie d’ogni genere, e rileggendo oggi le loro opere sorprende la straordinaria somiglianza con la contemporaneità.
Nella sua Guerra del Peloponneso, Tucidide descrive, con la dovizia di particolari e il presupposto d’oggettività che lo contraddistinguono, una malattia proveniente dall’Africa che, dopo aver mietuto innumerevoli vittime in Etiopia, Egitto e Libia, raggiunse il mondo greco devastando in particolare Atene, già stremata dalla guerra con Sparta. La piaga, che a detta dello storico greco non trovava precedenti nell’antichità, era così terribile e sconosciuta che chiunque la contraeva moriva nel giro di pochi giorni. In base alla ricostruzione offerta da Tucidide, quasi due terzi della popolazione ateniese scomparve, e l’unica ragione per cui l’epidemia non si diffuse in altre città (Sparta su tutte) fu che i soldati assedianti, spaventati dai roghi appiccati ad Atene per bruciare i cadaveri, decisero di ritirarsi lasciando la capitale del Peloponneso in preda a se stessa.
Parecchi secoli dopo è il turno di Boccaccio, che ci descrive la peste nera del 1348, di cui fu diretto testimone. La peste, primo esempio ben documentato di pandemia, ebbe origine in Asia centrale, durante gli anni ‘30 del ‘300, e da qui si diffuse in Medio Oriente, Africa e Turchia, fino a raggiungere l’Italia e il resto d’Europa. La devastazione della peste durò fino al 1853, quando i focolai andarono rapidamente spegnendosi fino a scomparire dopo aver causato circa 20 milioni di vittime, un terzo della popolazione europea del tempo. Scrive il Boccaccio: “… e più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa di quegli infermi tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator trasportare”. Continua a leggere
Come dice Luigia Sorrentino, il primo verso è un avvertimento ma è anche, in qualche modo, un avvenimento – “La poesia è un lunghissimo addio”, un addio interminabile, che non può tacere se non per sfinimento, se non nella morte. La poesia insomma, proprio cantando “lo smisurato addio” e denunciando l’inumano, tiene viva fino alla fine la speranza di una vita ‘alta’. Tra le presenze di questo poemetto mi ha colpito particolarmente quella ondivaga di Dio. Continua a leggere
C’è un tesoro a cui possiamo attingere: la comunione dei santi. Nell’amore, tutto è comune: è proprio rinunciando, che si ha; è rinnegando, che ci si ritrova. Posso dire con s. Agostino: “Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova”, o con suor Faustina: “Gesù, confido in Te”. Non ci sono barriere nell’amore, salvo quella che separa dal male.
Sono solo un anello del grande dubbio,
fragile, l’unità per me è effimera; ma
uno sciame di esistenze della mia morte risorge
e il vero nome che porto è: ondeggiamento.
Perciò, arcuato sotto i tempi, svolgo un lungo tessuto
dall’erba delicata alla fronte pensante
e la bionda successione di forme, salendo di sole in sole,
nella vastità della vita riversa un passato.
Dall’onda che viaggia, dalle acque eterne
prendo la veste di coloro che muoiono,
e rigenerato, e agile, corro – sottile brivido –
per sale orgogliose o umide caverne…
E così, sulle Terre tagliandomi vaste porte
verso i ritmi immensi della mente, un giorno,
porto all’Alta Bilancia il mio ricco peso
di tante esistenze e di altrettante morti.
NIEBO, n.7, dicembre 1978
Un appello: 10 in pagella a tutti gli alunni della primaria
di Giovanna Lo Presti
È mai possibile che ai maestri delle primarie non sia corso un brivido lungo la schiena dopo aver letto l’Ordinanza che regola lo svolgimento degli scrutini finali? Continua a leggere
di Serena Fioris
Le cosiddette “teorie complottiste” hanno un destino strano, direi paradossale: quanto più vengono tacciate di essere fake news, tanto più le evidenze presenti nella realtà le confermano.
La notizia che ha catturato la mia attenzione, è stata data da un canale televisivo d’informazione piuttosto noto, euronews, ed è questa:
Eric Larsen, che guida Biohax Italia, è in attesa dell’approvazione delle autorità sanitarie e del Ministero della Salute. Prevede di poter impiantare i chip sottocutanei in circa 2.500 soggetti a Milano e Roma nei primi sei-otto mesi.
In un post di non molto tempo fa, su questo stesso blog, accennavo alla realtà del microchip in Svezia, prospettando la concreta possibilità che -prima o poi- si potesse presentare anche nel nostro paese. Non avrei mai immaginato, però, una tempistica così fulminea!
Come negare che tutto sta andando nella direzione di un controllo sempre più serrato della nostra privacy? E davvero la sicurezza, che riguardi la salute o l’aspetto sociale, vale più della libertà?
La nostra società sta andando incontro ad una trasformazione radicale, e le nostre vite con essa.
Farsi qualche domanda può contribuire, se non altro, a vivere con più consapevolezza, per non arrivare alla fine della corsa e, guardandosi indietro, rendersi conto di non aver vissuto, ma di essersi lasciti viverre.
Gesù vuole che gli parliamo, perché Lui ha tutte le risposte. Unirsi vuol dire anche questo: conversare, lasciare che le parole s’intreccino, diventino una frase comune, che il Cristo porta al Padre. Tanto più nell’ultimo momento, in cui non avremo certezze né di qua né di là: sarà l’abbandono del Golgota, il momento della fiducia estrema, quella che accede alla salvezza.
Per mia moglie Enza
Sì, anch’io l’ho visto il genio
che arriva sul palco in carrozzina,
quell’angelo della musica vera
trascinato dalla sua chioma nera
il volto pallido, e tuttavia acceso,
nella luce che arde nei suoi sguardi
L’ho visto con la sua gioia umana
che esplode tra le labbra delle galassie
e nell’avvenire dei contrabbassi
che chiudono le fila degli strumenti.
Il Cristo raccomanda alla Bossis di essere semplice, di non avere che un pensiero: amare Dio. Le ricorda che non può entrare in lei senza alimentarla: è come un libro, che accresce ogni volta la sapienza, la conoscenza dell’amore, che è esperienza. Bisogna portargli i peccatori: in paradiso si vedrà quante luci, senza saperlo, abbiamo acceso.
Guido Michelone dialoga con l’autore sul nuovo romanzo
È fresco di stampa, dopo la quarantena del Coronavirus, il sesto romanzo di Gianluca Barbera, editore, saggista e da poco esponente celebrato di una rinata narrativa di viaggi e avventure, che, proprio grazie a lui, sta vivendo una seconda giovinezza, dopo i fasti dei narratori britannici e americani (e in parte anche italiani) di fine Ottocento.
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