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Credi che il tuo sia vero amore? Esamina
a fondo il tuo passato » insiste lui saettando ben addentro
la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana.
E aspetta. Mentre io guardo lontano
ed altro non mi viene in mente
che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani
sfrangiato appena tra gli scogli dell’isola,
dove una terra nuda si fa ombra
con le sue gobbe o un’altra preparata a semina
« Certo, posso aver molto peccato”
rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera.
“Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso”
riprende la sua voce con un fischio
di raffica sopra quella landa passando alta.
L’ascolto e neppure mi domando
perché sia lui e non io di là da questo banco
occupato a giudicare i mali del mondo.
“Può darsi » replico io mentre già penso ad altro,
mentre la via s’accende scaglia a scaglia
e qui nel bar il giorno ancora pieno
sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio
per le ore di libertà e l’uomo che le ha dato il cambio
indossa la gabbana bianca e viene
verso di noi con due bicchieri colmi,
freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo.
Una confessione? Un dialogo con se stesso? L’importante è sentire nostre le domande, e le possibili risposte. La poesia coinvolge, inevitabilmente.
Ridotto a me stesso?
Morto l’interlocutore?
O morto io,
l’altro su di me
padrone del campo, l’altro,
universo, parificatore…
o no,
niente di questo:
il silenzio raggiante
dell’amore pieno,
della piena incarnazione
anticipato da un lampo? –
penso
se è pensare questo
e non opera di sonno
nella pausa solare
del tumulto di adesso…
Belle domande, queste di Mario Luzi. È l’orizzonte ampio del poeta, lo sguardo che scruta nel profondo, ma anche in superficie.
I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all’oscuro di te e dei tuoi cari.
La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? ti spero in qualche porto…
L’uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l’aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.
La vita ha questa cadenza, questo ritmo, che Luzi riesce a fotografare con arte singolare.
Questa felicità promessa o data
m’è dolore, dolore senza causa
o la causa se esiste è questo brivido
che sommuove il molteplice nell’unico
come il liquido scosso nella sfera
di vetro che interpreta il fachiro.
Eppure dico: salva anche per oggi.
Torno torno le fanno guerra cose
e immagini su cui cala o si leva
o la notte o la neve
uniforme del ricordo.
Perché è così difficile la felicità? Perché è così esposta al fallimento, in modi a volte incomprensibili, sottili? Come, dove cercare la salvezza? E esiste una salvezza? La poesia domanda, il lettore cerca di rispondere, talvolta per tutta una vita.