Archivio mensile:Luglio 2022

Down Under: Finalmente letteratura! ITALO CALVINO, prima parte

Sponsorizzato dall’Ambasciata d’Italia a Wellington, dal Ministry for Ethnic Communities della Nuova Zelanda e dalla Società Dante Alighieri di Auckland, il podcast Finalmente letteratura! vede il Professor Bruno Ferraro* e Matteo Telara chiacchierare di autori, società, letteratura e cultura italiana dal lato opposto del mondo, in leggerezza, nel cosiddetto Down Under neozelandese, tra aneddoti curiosi e brevi approfondimenti.

In questo episodio, Bruno e Matteo ci parlano di Italo Calvino.

Per l’ascolto di questo secondo episodio del podcast Finalmente letteratura! CLICCATE QUI.
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Bruno Ferraro ha insegnato per più di venti anni presso varie università australiane, e ha completato la sua carriera accademica all’università di Auckland, in Nuova Zelanda, dove tuttora risiede. Nel corso della sua carriera ha pubblicato edizioni critiche di commedie inedite del ‘500, traduzioni in inglese, e numerosi articoli e recensioni. Per la letteratura moderna ha contribuito agli studi su Italo Calvino e a quelli sul suo compianto amico Antonio Tabucchi.

Diete


Di cosa viviamo? Qual è il nostro nutrimento quotidiano? Non di solo pane… C’è un motivo se la Bibbia ci ricorda l’importanza di una dieta equilibrata. La salute – quella vera – dipende dall’ascolto e la realizzazione della parola di Gesù.

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L’autostrada è la vita, qui succede tutto. Tutte le storie l’attraversano, mentre l’estate abbraccia il paese prostrato, pieno di mosche e di formiche. È facile, ormai, vedere il mondo da quest’altra parte, dai voli insensati e insopportabili, nell’ottica nostra, degli insetti, eppure necessari per chi trova un appoggio su questa aiuola all’ombra, nella stazione di servizio: due storie che s’incrociano, la mia e quella della mosca, del tutto casualmente, o invece era scritto da sempre, che proprio qui, a quest’ora, in questo torrido giorno di luglio, mentre le auto sfrecciano sia a destra sia a sinistra e qualcuno mi guarda incuriosito – ma chi è mai questo, che a quest’ora, con questo caldo insopportabile, sta scrivendo sullo smartphone? -, proprio in questo momento della storia di questo universo conosciuto, questa mosca doveva posarsi su di me, e proprio adesso mi chiedo ma è possibile, sì, è possibile, mi aspettava da sempre, e se la mosca, coi suoi movimenti casuali, mi aspettava, e non vedeva l’ora di trovare riposo, incuriosita da una massa così ben disposta a fare da pista d’atterraggio, insomma se una mosca così poco incisiva nella storia universale mi aspettava, quanto più mi aspetta Lui, il creatore di tutto, che proprio per ricordarmi di sé può servirsi di eventi banali. L’autostrada è la vita, è qui che accadono le cose, e ora che il mio viaggio è a buon punto mi chiedo dove mi sia posato in questi anni, quali incontri in apparenza casuali, quali stazioni di servizio abbiano scandito un progetto che aiuola dopo aiuola, mosca dopo mosca, mi porterà là dove ogni minimo dettaglio svelerà il suo senso, dove, se conosci una cosa, le conosci tutte, perché tutto è collegato, perché l’amore unisce, anche il caldo dell’estate, le formiche che danno la scalata alle mie scarpe, questa mosca che ora guardo come se vi vedessi scritto il mio destino.

Stessi


Abbiamo uno stesso Padre, una stessa Madre, uno stesso Fratello: può la famiglia di Cristo non essere felice? Di molti paesi, di molte lingue, di molte culture: ma della stessa patria, dello stesso Sangue, quello del Messia.

Poesia italiana del XXI secolo

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato volumi di poesia e narrativa e si è occupato di numerosi autori classici e contemporanei. In ambito critico ha curato L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati , L’arcolaio, 2012, inoltre ha pubblicato Giorgio Gaber, Il teatro del pensiero, Zona, 2013, e Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei, La Vita Felice, 2014. Tra le sue opere in versi Luce del volto, Campanotto, 2002, Livorno, L’arcolaio, I ed. 2008; II ed. 2013, Terra estrema, L’arcolaio, 201, e Voce interrotta, Italic Pequod, 2016. Di recente ha pubblicato il libro di racconti Storie di un’altra storia , Calibano, 2022. Il suo blog personale, “in-certi confini”, è dedicato alla poesia, alla letteratura e alla filosofia. (http://www.maurogermani.blogspot.com).

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Antonomasia


Nella Bibbia, ascoltare è il verbo più importante. Il greco vede, l’ebreo guarda. Gesù, ebreo di Galilea, chiede d’essere ascoltato, anche quando non parla. In Lui, il verbo diventa Verbo, la parola, Parola per antonomasia.

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Una zanzara non ha una bella vita. Sempre in cerca di sangue, ha molte probabilità di estinguersi schiacciata, o folgorata da dispositivi elettrici o a ultrasuoni, o avvelenata da qualche zampirone. Sarà calata nella parte, accetterà la sua missione di rendere difficile la vita, si sentirà perfino utile, in prospettive teologiche ineffabili. Se fossi una zanzara, mi sentirei a disagio, anche se il maschio si nutre di nettare, non è così nocivo. Convivere con una partner che succhia il sangue altrui mi metterebbe in imbarazzo, come avere un famigliare della banda Baader-Meinhof. Dirigevo spiritualmente un brigatista pentito, della cellula di Ostia, che mi dava l’impressione di saperne meno di me di quel mondo dove il sangue scorreva copioso e non si faceva caso ai dettagli personali, come la zanzara non si chiede mai che tipo sia il soggetto del prelievo. Quella che mi gira intorno, per esempio, ignora che io scrivo di lei, tra un penitente e l’altro, non s’immagina di passare alla storia  in queste pagine che ne immortalano la presenza fastidiosa, insieme al gatto sdraiato qui vicino, ai botta e risposta degli inseparabili, agli insetti che s’incrociano sullo sfondo della chiesa all’aperto. C’è sempre qualcuno che succhia il sangue a qualcun altro: noi lo succhiamo a Dio, se questo è il mese del preziosissimo Sangue di Gesù, se lo prendiamo di mira come allora, zanzare insaziabili e incoscienti, che non sanno di far parte del grande racconto della vita, che scendono in picchiata a pungere la vittima di turno, ignara, incolpevole, come se il male fosse questa forza cieca che non ti guarda negli occhi, si disinteressa togliendoti la vita, ti distrugge pensando a qualcos’altro. La zanzara è il simbolo del caos; per questo il Cristo insegna a perdonare i nemici: non sanno perché succhiano il sangue, perché opprimono, salassano, massacrano. Perché, invece di nettare, si nutrono di sangue.

Cammino


Lo scopo della vita non è la sosta, ma il cammino, come ha mostrato Gesù. È questo il gesto del dono, l’approccio al superamento di se stessi. Avremo tempo per riposare, nel mare azzurro dell’eternità.

La torta di compleanno

Una poesia di Monica Mazzitelli dalla futura raccolta “Poesia della prosa”

Io e la mia nipotina prepariamo la torta
del suo compleanno
nella cucina di casa sua.

Lei legge
e rilegge
da capo ogni volta
tutta la lista degli ingredienti
di entrambi gli strati
ogni volta da capo –
anche se glieli chiedo separati;
eterna filastrocca
con l’indice segue le parole sulla carta.

Versa troppo poco zucchero
o troppa farina
nel misurino
le dico.
Allora rilegge,
da capo.
Aspetta, ti aiuto,
faccio io.
Le dico e sorrido.

Misuro, e le sorrido.
Verso e impasto e le sorrido,
lei mi sorride, seria e intenta.
La istruisco e la guido,
decifro i simboli che non conosco
sulla manopola del forno di casa sua,
ché lei non è capace.

Ci vuole il doppio del tempo a preparare questa semplice torta
ma lei è così orgogliosa di averla realizzata,
piccina.

 

Ma non ho nipotine.
E lei non è una bambina, ma la mia cara,
cara amica
che oggi compie sessant’anni
ubriachi di Alzheimer
e di terrore.

Vita


Speriamo di preservarci dal logorio della vita, di conservarci giovani, di salvarci dalla morte. Se solo ci abbandonassimo alla luce, al calore di Dio, perderemmo tutto tranne questo: la gioventù, la vita.

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È tutto apparentemente così calmo, un quadro manierato, ogni cosa al suo posto. C’è un gatto sdraiato proprio sotto l’altare di pietra, boccheggiante per il caldo. Chi mai direbbe che sotto la patina bucolica si svolge una lotta furibonda, un duello tra la vita e la morte, il bene e il male. Basta poco, per accorgersene: la malattia di mia madre, le incursioni del demonio, che si presenta per distruggere al momento opportuno, come sempre. 
È tutto apparentemente così calmo. I corvi passeggiano sul tetto erboso del santuario: un’invenzione sorprendente, per dire che la fede è incastrata nella vita e non possiamo pretendere di stringere il cielo tra le mani. Mi sento come il primo uomo sulla luna: c’è tutta la precarietà di un universo insidiato dal serpente, un arazzo sul punto d’essere sfregiato, un ponte sospeso sopra il nulla. Mi affaccio alla ringhiera e vedo Orione, con la sua cintura di brillanti, Vega, Betelgeuse, Alpha Centauri, e mi chiedo se qualcuno, se qualcosa, in questo immenso scenario, sappia della partita a scacchi della terra, del dolore, dell’attacco mortale del nemico. Il gatto si rotola, proprio sotto l’altare: non lo incuriosiscono le grida stridule dei corvi, che ha a lungo inseguito, in stagioni meno torride. Siamo in tre nel boschetto delle confessioni, che si affaccia sull’abisso del peccato: da qui si vede Andromeda, il Cigno, Cassiopea, s’incrociano Ofiuco, la Lira, il Sagittario; ti sembra di toccare le braccia della Vergine, di prendere l’Orsa minore per la coda, di bere dalla brocca dell’Acquario. È tutto apparentemente così calmo. Basta un passo per sprofondare nella tenebra, per farsi abbracciare dalla luce. Ricominciare la partita. Il gatto non si fa confondere: impara da loro, mi diceva don Mario, e aveva ragione, come sempre.

Moda


Ci vuole poco a non essere cattivi, a non dire la parola che distrugge. Basta contare fino a dieci, e il meglio viene a galla. Siamo esseri fatti per la mediazione: guai a pensarsi animali, anche se è di moda.

SILHOUETTE

1.
Esistono anche larghi cappelli con le falde:
riparano, rischiarano incarnati chiari
che raggiungono la spiaggia, calda
ma non del tutto, nell’antico dei mari, procedono
sulla frangia di spuma a piedi nudi;
talora una si volta, lancia un segno, e in quell’ultimo o primo
tra i saluti è il regno dello smarrito, del nascosto
della dimenticanza, nell’accenno di danza
del camminare, sul mare.
Saluta, quel volto chiaro, da una lontananza
che, pure, all’occhio, è l’immaginare dell’infinito,
guizzo dell’estro e attesa all’armonia,
e osa sfidare, silhouette, ove sia sia …

2.
Da quella schiera felice talora nell’aria, a nuoto
una si congeda, e per poco giunge, accosta, dice e non dice,
perché parlare è troppo, o gioco vuoto,
e sorride, e una mano sulla spalla
poggia , sosta a dire ch’è sicuro
il giorno, in questa camminata
a valle delle colline, sul mare passato e futuro.
Ritorna poi alla frotta di compagne
che la spiaggia traversano nella luce,
ritorna poi alla vita che s’accompagna
e a ogni curva del mondo che ama, che ricuce.
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La finestra di don Umberto è l’altro occhio: vede tutto, da quella postazione che è al di là del tempo, dove le beghe umane sono giochi di bambini che nulla hanno compreso della vita. Non sappiamo. Però facciamo finta: come il pellegrino che parla nello smartphone a voce alta, snocciolando l’elenco delle medicine come se dovessero aggiornarsi tutti sulla terapia. Sì, la terapia: i pensieri che producono emozioni, che stanno al di là della finestra, nel tempo senza tempo dell’infanzia, quando un dolore, una paura, un’allegria, sono per sempre. Siamo appesi sul nulla, ma inseguiamo una logica qualunque, associazioni mentali per cui questa signora dovrà dirmi del figlio operato tante volte, o quel giovane chiederà informazioni sul celebrante della messa, la segretaria passerà
  con un rumore di tacchi e di efficienza che testimonia a favore di un qualche ordine dell’universo. La salute mentale è un’utopia? Se mettessimo insieme i frammenti sparsi in questa piazza – sentimenti, pensieri, intenzioni, gli istinti più brutali, le repressioni patologiche, le ambiguità, e tutto l’armamentario della mente -, ne avremmo a sufficienza per un manuale diagnostico statistico,  che non direbbe nulla, tuttavia, sul versante da cui don Umberto inquadra tutto questo dalla finestra di fronte, da cui l’eternità si affaccia con la consueta discrezione, come potesse influire sulle cose, ma avesse al tempo stesso imparato, da Dio, la libertà. Eccolo il punto: siamo liberi? Potrebbe questa signora a due metri dalla porta evitare di chiedere l’ubicazione dell’ufficio, il sacerdote che confessa fare a meno di parlare a voce alta, il signore con la mascherina non fissarmi così, chiedendosi cosa ci faccia un prete al cellulare in quest’angolo di mondo? Fermiamoci un momento: proviamo a fare qualcosa di diverso, una cosa qualsiasi, purché non sia quella che gli automatismi della psiche ci costringono a fare in questo istante. Una tortora si posa sul tetto della chiesa, si guarda intorno, con movimenti a scatto. A un certo punto, decide di volare.

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Si aggira intorno all’ingresso del santuario come una tigre intorno alla preda: come dev’essere chiedere sempre? È una psicologia particolare? Si vede tutto sotto questo aspetto? Riguardo a loro, è inevitabile che qualcosa si perda, sia rubato, sottratto; perfino il nome ha un destino di rapina, perché non si sa mai come chiamarli: nomadi, zingari, rom? Neanche la pignoleria del politically correct ha potuto battezzarli. Ma è altrettanto inevitabile chiedersi se non siamo coinvolti anche noi in questo eterno nomadismo, nella loro romità, nell’essenza zingaresca del pellegrino sul pianeta terra, sempre in cerca di qualcosa, questuante, invadente, importuno, esposto a rimproveri e minacce, senza fissa dimora, con quell’aria supplichevole, colpevole e furba che è quasi una seconda pelle. La facciata del santuario è scrostata; se potesse, chiederebbe anche lei: verniciami, restaurami, abbi cura di me. Anche il libro che ho davanti chiede d’esser letto, la sedia di essere usata senza urti e spintoni, la signora che esce dalla messa di venire salutata, questi tre che arrivano ora d’essere accolti per la benedizione della macchina; io stesso chiedo d’essere ascoltato da me stesso, di ritornare al centro, dell’anima, del cuore, dove c’è qualcuno, uno solo, che non chiede, che dà, al nomade, alla sedia, alla facciata del santuario, l’unico capace di prendersi cura e restaurare, l’unico a cui rivolgersi per ottenere una fissa dimora, un obolo salvifico, una benedizione che tocchi quella corda, proprio quella, che duole, che preoccupa, quella paura d’essere che ci prende alla gola e chiede, reclama, supplica, fino a essere importuna, invadente, soggetta a rimproveri e minacce, oppressa dal senso di colpa per il fatto di stare, semplicemente, qui. Attingendo al Donatore, il rom che siamo tutti noi, nessuno escluso, può fermarsi, sorridere, e smettere di chiedere almeno una volta, nella vita.

Poesia italiana del XXI secolo

Floriana Coppola, (1961) scrittrice napoletana, docente di Lettere negli studi statali superiori, counselor professionista in Analisi Transazionale e in Psicologia Esistenziale, perfezionata in Didattica e Cultura di genere e in Scrittura autobiografica. Iscritta alla Società Italiana delle Letterate e all’Osservatorio interreligioso contro la violenza sulle donne. Scrive articoli e recensioni sulle seguenti riviste letterarie on line: Menabò on line, Lo Spazio di Atena, ReadAction Magazine. I suoi testi, poesie e racconti, sono presenti in numerose antologie poetiche.  Nel 2020 ha coordinato il workshop e curato gli Atti del convegno di studi su Beatrice Hastings, ed. Le cicale operose, con Maristella Diotiaiuti e Federico Tortora. Nel 2020 è presente con un suo contributo nel saggio su Claudia Ruggeri, a cura di Anna Maria Farabbi, edito da Terra di Ulivi. Nel 2021 è presento con il racconto Storia di Anna nel libro Che c’entriamo con la mafia, a cura di Gisella Modica e Alessandra Dino, ed. Mimesis. Nel 2021 pubblica la silloge di prosa poetica, La vertigine del taglio, ed. Terra di ulivi. In via di pubblicazione il suo quarto romanzo, La bambina invisibile, ed. Terra di ulivi.

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