Archivio mensile:Dicembre 2023

La parola ai poeti. Dimitri Milleri

 

Cinque slides su una nave che si scopre essere la puntini poesia

Per la doppia pletora di consanguine*  conosciuta come scritture verticali e orizzontali l’alta stagione è la stagione delle scuse. Si direbbe che queste nascano spontaneamente, e moltiplichino nelle creature signiche senza possibilità di arginamento: un viaggio di lavoro, un ritiro yoga, una visitina ai parenti fuori regione (per dire). Deposte le suddette presso * loro car* le scritture possono finalmente sparire, abbandonando giornali, libri di scuola, post su Facebook e Instagram, riviste, inserti, bugiardini.

Al loro posto va un replicante che non batte ciglio, una sagoma cartonata che per noi fa lo stesso. Così possono incontrarsi, lontane da responsabilities di sorta, presso un’enorme nave portacontainer in acque internazionali. E qui l’ellisse conviene, perché chi legge sicuramente indovinerà circa il quanto e il quale di cotanti incontri, saggiamente ricorrendo alle stereotipie del caso per figurarsi: dal tenore dei discorsi alle attività agli oltraggi, e su e giù fino alle sodomie. Continua a leggere

Il tempo, i giorni e gli anni

Karl Krolow (Germania 1915-1999): Tre poesie

Tempo

Tempo: qualcosa
che sporca le tasche
di sangue.
Piove vita
dai corpi aperti.
I giorni
e le sue silenziose imprese
con gli uomini
che si perdono.
Nella sabbia
un mese dipinge
la propria immagine per consegnarla
al prossimo, senza nesso
con quello che verrà.
Il bel tempo
non cambia il carcinoma.
Le carte belle in ordine
bruciano anno dopo anno. Continua a leggere

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Festa della S. Famiglia
[Lc 2,22-40]

Famiglia è porto di partenze.
Maria e Giuseppe vanno al Tempio per offrire il figlio. Non è solo un’offerta formale. Le prescrizioni sono chiare: il primogenito ( in cui riposa la discendenza, quindi il futuro della famiglia) appartiene al Signore.
I figli non ci appartengono. E ogni volta che usiamo il pronome possessivo in riferimento ai figli commettiamo una appropriazione indebita.
La famiglia non si pone così come ambito esclusivo ed escludente ma come spazio in cui ogni membro è soggetto di costruzione e crescita
La relazione intrafamiliare cessa di essere semplicemente un argine contro le cattiverie di tutto ciò che è fuori e diventa realtà inclusiva fatta da soggetti che, ognuno con il suo compito, godono e si rivestono di responsabilità.
In questo scambio amoroso è tutta la consistenza della famiglia. Essere responsabili è sentirsi interpellati da un chi che chiama e, in questa interpellanza, scoprirsi capaci di risposta. Non sempre questa è adeguata. A volte è improntata alla fuga per tirarsi fuori da impegnativi coinvolgimenti, altre volte è mera manifestazione di potere che può diventare violenza. Può essere necessario conservare i turbamenti del cuore nel segreto, come fa Maria e saperli ascoltare e saper lasciarsi interrogare dalle provocazioni che la relazione mette in campo.
Famiglia non è semplice generazione biologica. Famiglia è coeducarsi lasciando che ognuno sia soggetto della crescita altrui. Il prendersi cura e il prevenire i bisogni dell’altro sono i capisaldi di ogni convivenza umana. Così, nel tempo, si arriva a darsi del tu, in modo pieno coinvolgente, oltre i ruoli e le definizioni senza mai perdere di vista che tutti i termini usati per definire i rapporti familiari sono termini relazionali. Padre, figlio, madre, sorella, fratello implicano un tu, nel nome del quale e a partire da cui ci si definisce.
È in questa relazionalità che si gioca la appartenenza non proprietaria di ognuno. È in questa continua donazione di sè che si stabilisce la bellezza della non appartenenza.

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La parola ai poeti. Tommaso Urselli

La mia esperienza con la parola è legata al teatro, in particolare alla drammaturgia, di cui mi occupo da circa vent’anni. Nel frattempo, in maniera non continuativa, avevo praticato veloci incursioni nell’ambito della poesia.

Solo più recentemente, a partire dal 2020, in un periodo in cui mi dedicavo alla raccolta e cura delle poesie di mio padre, ho in parallelo iniziato a ripercorrere quei miei sporadici tentativi in versi. Ho così avvertito la necessità di individuare i nuclei, i fili non sempre immediati – forse per il carattere di discontinuità con cui avevo frequentato questa pratica di scrittura – che collegavano tra loro i diversi componimenti; ma che evidentemente, sottopelle, esistevano.

È stata una ricerca che, nel suo farsi, ha generato nuove composizioni: è nata così la silloge “Oggi ti sono passato vicino” (Ensemble edizioni). Titolo dettato dal lavoro che andavo facendo sui testi di mio padre e sui miei – scritture che si sfiorano, che veicolano la necessità e la possibilità di incontri padre-figlio su un altro piano, quando su quello fisico e quotidiano non è più concesso –; e che porta inoltre il segno di un periodo che è stato particolarmente difficile per tutti – quello della pandemia –, in cui la distanza tra i corpi ci ha spesso condotto a cercare altre modalità di reciproco avvicinamento. Continua a leggere

Vittorino Andreoli, “Il Gesù di tutti. Viaggio nel mistero dell’uomo di Nazareth”

Vittorino Andreoli, Il Gesù di tutti. Viaggio nel mistero dell’uomo di Nazareth, TS Edizioni, 2023, pp.528, € 26,00


di Fabiano D’Arrigo

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Vittorini Andreoli è uno psichiatra che non disdegna scandagliare il mistero: quello della mente umana e quello di Dio.

Nel saggio Il Gesù di tutti. Viaggio nel mistero dell’uomo di Nazarerth, ridato alle stampe in questo 2023 che ormai volge al termine, l’autore intraprende un grandioso viaggio nella vita, nella personalità e nel mistero di Gesù di Nazareth, così si legge nel risvolto di copertina.

Questa riedizione del libro, senza modifiche né al titolo né al testo, viene fatta per soddisfare le richieste dei molti lettori che dal 2013 -anno della prima edizione- al 2023 si sono confrontati con lo scrittore Andreoli nelle conferenze tenute sull’argomento.

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20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Qual è la religione della bellezza? Questa domanda ci sollecita la raccolta di poesia di Ilaria Giovinazzo La religione della bellezza (peQuod, 2023). La risposta è fin troppo scontata, la poesia. Ciò nonostante, in questa opera non c’è nulla di scontato. Cos’è la poesia, allora? Un corpo a corpo/ tra te e il verso. Dunque, in questa religione non c’è nulla di vanamente spirituale. L’anima, perché un’anima alla fine c’è, è quello che resta dopo questa lotta. Questa lotta è la nostra lotta. Non c’è peccato nella bellezza. Dunque, è una religione laica, nella quale, come scrive David La Mantia, “l’elemento naturale diventa lo strumento per cogliere l’assoluto”.
Mi accorgo che gran parte dei libri di poesia che sto leggendo in quest’ultimo periodo sono stati scritti da poetesse. La scelta è casuale. La constatazione è oggettiva. Credo ci siano antenne più sensibili su quest’altra faccia della luna. Non credo che esista una poesia femminile. Ma certo esiste una percezione più acuta e una lingua poetica più sincera.

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Intelligenza artificiale e intelligenza sapienziale

Benedetto XVI

 

Nel 1969, Joseph Ratzinger fece una considerazione ai microfoni della radio tedesca, quando profetizzò la fine della Chiesa così come l’abbiamo conosciuta.

Queste le sue parole:

“Avremo presto preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà.

Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna.

La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione.

Perché è così che opera Dio.

Contro il male, resiste un piccolo gregge”.

Beata Anna Katharina Emmerick

 

Verranno tempi molto cattivi, nei quali i non cattolici svieranno molte persone. Ne risulterà una grande confusione. Vidi anche la battaglia. I nemici erano molto più numerosi, ma il piccolo esercito di fedeli ne abbatté file intere [di soldati nemici]. Durante la battaglia, la Madonna si trovava in piedi su una collina, e indossava un’armatura. Era una guerra terribile. Alla fine, solo pochi combattenti per la giusta causa erano sopravvissuti, ma la vittoria era la loro”. (22 ottobre 1822)

“Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa… Ma Dio aveva altri progetti”. (22 aprile 1823)

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La parola ai poeti. Giovanni Rapazzini

Credo nella poesia, ma non so spiegare cosa sia, già definire la poesia è un atto di poesia. Non si può parlare di poesia senza fare poesia e questa tautologia è la stessa di tutto il creato. Credo che la poesia sia la manifestazione della musica divina e che tutto ciò che esiste e non esiste è il silenzio da cui origina e a cui fa ritorno. La poesia è silenzio e dialogo coi morti, è creazione delle forme e di ciò che dà forma alla creazione, tutto è poesia, nulla è poesia, nel senso che tutto esiste in grazia della follia dei versi e il nulla da cui siamo e in cui termineremo e che ogni istante dobbiamo amare è sempre poesia. La poesia è poesia e recita mantra per l’onnipotenza dell’invisibile, per amore delle stelle. Noi abbiamo una vita e un potere limitato, ma con la poesia sappiamo farci eterni e far rinascere gli universi dalla distruzione degli universi. La poesia è il divino. Ciò che precede il pensiero e che lo segue.  Continua a leggere

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Il presente


Gesù è il più piccolo, il più umile, scompare, non si vede. Si può vivere cent’anni e non accorgersi che è lì, vicino a te. È un mestiere difficile l’amore: sembra che non ci sia, e invece è ciò che è più presente, anzi, è il Presente, Colui che è, anche se lo ignori.

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Incontri XXXIII

Paolo Leminski

Scontrarii

Ho detto alla parola di rimare
ma lei non m’ha ubbidito.
Parlava di mare, di cielo, di rosa,
in greco, in silenzio, in prosa.
Sembrava fuori di sé,
la sillaba silenziosa.
Ho detto alla frase di sognare
e s’è persa in un labirinto.
Fare poesia, mi sa, questo e basta.
Dare ordini a un esercito
per conquistare un impero estinto.

William Carlos Williams

Solo per dirti

Ho mangiato
le prugne
che erano
nel frigorifero

e che
probabilmente
hai conservate
per colazione

Scusami
erano deliziose
così dolci
e così fredde

Desencontrários

Mandei a palavra rimar,
ela não me obedeceu.
Falou em mar, em céu, em rosa,
em grego, em silêncio, em prosa.
Parecia fora de si,
a sílaba silenciosa.
Mandei a frase sonhar,
e ela se foi num labirinto.
Fazer poesia, eu sinto, apenas isso.
Dar ordens a um exército,
para conquistar um império extinto

This is just to say

I have eaten
the plums
that were in
the icebox

and which
you were probably
saving
for breakfast

Forgive me
they were delicious
so sweet
and so cold.

Traduzioni di Massimiliano Damaggio e Stefanie Golisch.

Paolo Leminski: Distraídos venceremos/ Distratti vinceremo, a cura di Massimiliano Damaggio, L’arcolaio editore, 2021.

La parola ai poeti. Michele Nigro

Nostalgia del futuro

“… Italiani impauriti e inerti come sonnambuli…”

(dal Rapporto Censis 2023)

Che cos’è la “nostalgia del futuro”? Più facile è descrivere la nostalgia per un passato che non tornerà; più fattibile è il provare nostalgia per ciò che è irreversibile ma che abbiamo comunque toccato, conosciuto, vissuto… Che razza di nostalgia si può mai provare, allora, per qualcosa che ancora deve accadere e che forse non accadrà mai? Sarebbe più corretto parlare di desiderio dell’irrealizzato; tirando in ballo, invece, la nostalgia si presume una quasi certezza per quel che andremo a realizzare a breve e a vivere in prima persona, al punto che possiamo permetterci di trattare il non realizzato come qualcosa che non c’è ancora ma che sicuramente ci sarà e di cui cominciare addirittura ad avere nostalgia. Proiettarsi in una vita che ancora non esiste, ci rende nostalgici di ciò che è potenziale, ovvero ci rende nostalgici di noi stessi perché le potenzialità sono contenute in noi, non giungono dall’esterno, non sono instillate miracolosamente da un’entità metafisica… In quel caso sarebbe più corretto parlare, appunto, di desiderio perché il termine desiderio, etimologicamente, descrive la condizione di chi “vive in assenza di stelle” (“de”, particella privativa, e “sidus, sideris” = stella; plurale “sidera”) ed è in attesa di ricevere qualcosa “dall’alto”, di rivedere comparire nuovamente le stelle che sono assenti, la loro luce che dona speranza. Chi ha nostalgia del futuro, invece, ha solo nostalgia di se stesso (di un altro se stesso), di quel se stesso che è già lì, presente, che non deve discendere dal cielo sotto forma di stella, ma che ancora non brilla in qualità di essere umano pienamente realizzato. Si ha nostalgia del futuro perché avendo pregustato le premesse, sappiamo già o possiamo concretamente prevedere come sarà il seguito della storia. Non si tratta di una storia di fantasia ma di un racconto realizzabile, realistico, di cui già conosciamo l’incipit. Praticando la nostalgia del futuro “amiamo” un noi che sta per arrivare, che è dietro l’angolo e quindi ancora non visibile, ma sappiamo che esiste, c’è. Potrebbe trattarsi di un atto di fede, ma la concretezza della possibilità ci allontana dal mistero, dall’ignoto. Continua a leggere

Un presepe africano

di Kika Bohr

Anche a luglio, come durante tutto l’anno, il lunedì e giovedì, sotto casa nostra abbiamo uno storico mercatino di frutta e verdura. Negli anni si sono aggiunte alcune bancarelle di vestiti nuovi ed usati, prodotti per la casa, libri e due bancarelle di bric-à-brac, che mi incuriosiscono sempre. Ma l’ultima bancarella arrivata in ordine cronologico, proprio sotto la nostra finestra, è quella di un venditore africano che vende soprattutto ceste, bellissime ceste di ogni grandezza, con coperchio o senza, di paglia di colori meravigliosi. A volte espone anche stoffe del Mali e statuette in legno di animali. Mi è stato impossibile resistere al fascino di alcune di queste e così ho cominciato col comprare prima una pantera con un orecchio difettoso ma dalla forma molto sinuosa assieme a un lepre seduto, dall’aspetto serio, poi una giraffa con lo sguardo dolce rivolto all’indietro. Qualche mese dopo non ho resistito a un rinoceronte rugoso e scuro. Infine un bufalo africano rossiccio e panciuto, anche lui con le orecchie poco ortodosse. Avevo già in casa due “ombre”, magrissime figure in legno di donne africane stilizzate con un bambino sulla schiena, acquistate davanti alla Statale quando ero ancora studentessa, una testa scura di ragazza con le treccine, comprata dieci anni fa per due euro da Emmaus (mi sono vergognata di averla pagata così poco) e un “albero della vita” con cinque figure umane che si arrampicano, piccolo prodigio di scultura artigianale – meraviglia di stilizzazione e di equilibrio tra pieni e vuoti – comprata da un robivecchi egiziano (anche lì, cinque euro!). Continua a leggere

La parola ai poeti. Danila Di Croce

Provo a fuggire la tentazione di aggrapparmi (nascondendomi?) alle parole di chi m’incanta quando dice della poesia, del suo fuoco e del suo segreto. Dal momento che mi viene offerta questa opportunità, devo parlare arresa, anche e soprattutto alla mia inadeguatezza. Prendo solo come torcia quella che oggi mi si accende tra le mani (ché l’istante è fatto per dimenticare il caso): “Di un appello trattenere soltanto la purezza dell’intenzione” (E. Jabès). Per lavorare di rinuncia, dunque, di sottrazione. Non è cosa di questo mondo la purezza; l’intenzione vacilla. Ma c’è un appello che risuona forte e insistente, precede la consapevolezza o l’ignora, si volge a un’amata solitudine gelosa del suo bene affinché possa svicolare dai confini stretti della soddisfazione. Per quanto mi riguarda, è principalmente un appello a contemplare e ad affinare lo sguardo, prima ancora che la voce. Ci viene data la parola. Di chi è la parola? La parola ai poeti. Non la parola dei poeti. Bello che ci sia il termine e non la specificazione. Perché la poesia chiede in primis attenzione, ospitalità, cura in chi la legge e in chi la scrive; e rifugge dai dettami di un’appartenenza: è un affido da custodire e vegliare. In genere, ci si accorge solo del suo arrivo, mai interamente e definitivamente del suo mandato: non obbedisce a mappe, canoni e disegni preordinati. Però conduce. Lo fa nei modi e nei tempi più disparati: ogni accento cerca un solco su cui impiantarsi, impara il suo continuo ritorno in quell’a capo che rivolta la fatica e la bellezza del dire. E poco importa della faccia che abbiano i poeti, del loro modo di camminare, dei loro amori: che diventi nome ogni sguardo, ogni passo sia teso a coniugare il timbro delle ore. Vada avanti unicamente questa lenta spirale di accensioni e cadute. Indietro ogni altra presunzione, l’inconsistenza di ogni vanto. Continua a leggere

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Tempo, soltanto tempo, di Fabio Ciriachi

di Domenico Vuoto

Fabio Ciriachi
Tempo, soltanto tempo
(Il Labirinto, 2023)
Pag. 127    € 14,00

 

Già il titolo della raccolta in versi, Tempo, soltanto tempo, è suggestivo. E si presta a una certa varietà di interpretazioni che affidano all’autore dell’opera, lo scrittore e poeta Fabio Ciriachi, e al suo lettore una reciprocità mai scontata, suscettibile di interrogativi, inquietudine, dubbi, affrancamento da convenzioni e convenienze che sono la materia pulsante e il sale della vera poesia, e non solo della poesia. A lettura finita, si ha l’impressione ? che matura in convinzione ?, di trovarsi davanti a un testo importante (definirlo genericamente interessante o bello è come sminuirne il rilievo che acquista nell’ambito dell’odierna poesia italiana che si configura come decisamente asfittico, in un tempo oltretutto povero di stimoli culturali e, nel complesso turbolento e paludoso). Continua a leggere

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Natale 2023

Il linguaggio di Dio, spesso, è linguaggio di sottrazione. La gloria è svuotamento. Il potere è servizio. La presenza è mistero.

Così, Natale è celebrazione del mistero che si rivela, ma si rivela come mistero.

Il fatto del Natale non impone la sua evidenza, quasi fosse inoppugnabile che un Dio si facesse uomo. Piuttosto, resta nel nascondimento di un sorriso, quello di un bambino alla sua mamma, come di nuova promessa. E come il sorriso non è una risata fragorosa, così il Bambino di Betlemme non è la gloria di un Dio che sbaraglia. Quella che è gloria nei cieli è pace in terra. Quello che è visione nella realtà di Dio è nascondimento nella realtà umana.

Quello che per noi è concretezza carnale è svuotamento, in Dio.

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