di Aysh Violet
Ho da poco compiuto 25 anni, sono esattamente nella fascia d’età dei giovani disoccupati, senza certezze e speranze per il futuro, la fuga di cervelli, la generazione che scappa a Kreuzberg per fare il cameriere laureato. Così mi si classifica.
Davanti al Liceo classico della mia città, c’è una scritta sul muro: studia, rimani disoccupato, muori. Quando ho letto la frase, mi è venuto da ridere.
Ma posso permettermi di ridere? Non significa ridere del pensiero collettivo di una generazione intera?
Se tornassi indietro di qualche decennio non penso proprio che avrei visto una frase del genere scritta sul muro. Il sentimento comune non era caratterizzato dall’ amareggiamento collettivo, si voleva la lotta di classe, si odiava il potere, si inneggiava alla rivoluzione e si aveva la speranza di poter cambiare le cose.
Quello che la mia generazione prova oggi è dolore e paura, la convinzione, anzi, la certezza, di essere in balia di quello che avviene, di non avere le armi per difendersi. Non si vota, non si manifesta, non si pensa, non si critica. Non si crede che sia possibile un mondo diverso e, forse, non lo si vuole nemmeno.
Della lotta di classe non si sa nemmeno fare lo spelling. Continua a leggere