Archivio mensile:Agosto 2008

INTRODUZIONE di Sergio Luzzatto a “Via Rasella. La storia mistificata” di Rosario Bentivegna.

  [A futura memoria…]

 

di Sergio Luzzatto

Bruno Vespa non si accontenta, con la trasmissione «Porta a porta», di tenere semi-quotidiana compagnia ai nottambuli del Belpaese. Verso la fine di ogni anno, pensa bene di offrire a tutti gli italiani – ai dormiglioni come ai tiratardi – qualcosa come un libro-strenna da regalarsi a Natale. Così, per una manciata di euro i più devoti fra gli aficionados possono disporre, fra i variopinti pacchetti sotto l’albero, di una versione rilegata del brunovespismo televisivo.
I titoli dei volumi firmati da Vespa fra il 1994 e il 2001, cioè fra il primo e il secondo governo Berlusconi, sono istruttivi in se stessi: bastano da soli a testimoniare – oltreché ovvie esigenze di richiamo commerciale – una certa maniera di pensare la storia dell’Italia contemporanea. Il cambio (1994), Il duello (1995), La svolta (1996), La sfida (1997), La corsa (1998), Dieci anni che hanno sconvolto l’Italia (1999), Scontro finale (2000), La scossa (2001): presi uno per uno, i titoli dei libri di Vespa scandiscono ogni volta un presunto momento epocale, quando non suggeriscono un’emergenza nazionale o addirittura una crisi rivoluzionaria. Presi in serie, viceversa, essi alludono alla consolante evidenza per cui più tutto cambia, più tutto è la stessa cosa… Se poi si guarda ai titoli delle ultime due strenne, la Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi (2004) e Vincitori e vinti (2005), si scopre come l’ambizione dell’autore non si limiti più alla volontà, propria di un giornalista, di raccontare il presente in un modo più disteso di quanto lo consenta la stampa quotidiana o periodica. Da un anno a questa parte, Bruno Vespa ha voluto aggiungere al proprio un secondo mestiere: si è messo in testa di parlare agli italiani da storico. E a giudicare dai numeri delle vendite, in molti gli hanno riconosciuto le carte in regola per farlo.

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Utrecht al centro dell’Olanda, di Marino Magliani

A volte, mentre aspettava, gli sembrava davvero d’essere al centro dell’Olanda. Ricordava quando glielo avevano insegnato, la lingua nuova, le lezioni di geografia, la terra ai confini del deserto dalla quale proveniva, e la terra dove il padre l’aveva portato con la famiglia.

Questa città, posta con precisione al centro dell’Olanda.

Si alzò di un palmo sul sedile e guardò le posizioni dei colleghi. Era il quinto. Un taxi partiva ora.

Troppi, cinque. Il rischio che gli venisse sonno e poi mal di testa, era grande. Il dottore diceva che era un periodo, la digestione. Che tuttalpiù avrebbe dovuto cambiare lavoro. Ma come si faceva a lasciare il taxi a 45 anni? Continua a leggere

Alda MERINI


Da “Il volume del canto”

Lascio a te queste impronte sulla terra
tenere dolci, che si possa dire:
qui è passata una gemma o una tempesta,
una donna che avida di dire
disse cose notturne e delicate,
una donna che non fu mai amata.
Qui passò forse una furiosa bestia
avida sete che dette tempesta
alla terra, a ogni clima, al firmamento,
ma qui passò soltanto il mio tormento.
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Non si può salare il sale

di Mauro Mirci

Sto leggendo un romanzo pieno di sangue. Fino a ora, e sono giunto a meno di metà, credo di aver contato tra i sedici e i diciotto morti ammazzati. Ma anche il protagonista è ferito e sanguina (ma guarirà di certo: deve comparire in almeno un altro centinaio di pagine), e l’antagonista s’è buscato un pallettone nella gamba e, manco a dirlo, sanguina pure lui.
Il romanzo è “Non è un paese per vecchi“, dal quale è stato tratto l’omonimo film dei fratelli Coen; quelli che amano le distese immense, le vite disastrate e i dialoghi essenziali. E infatti anche il romanzo di Cormac McCarthy pullula di distese immense, vite disastrate e dialoghi essenziali. Continua a leggere

SENZA RITORNO, di Astrit Dakli

Dunque Dmitrij Medvedev ha deciso di non prendere tempo, rendendo immediatamente operativo il riconoscimento dell’indipendenza delle due regioni secessioniste georgiane, Abkhazia e Sud-Ossezia, e suscitando un’enorme ondata di scandalo e furore in Occidente. Attenti, però: la decisione del Cremlino non è la causa della gravissima tensione internazionale cui stiamo assistendo, bensì la sua conseguenza. È la presa d’atto che nessun negoziato, nessuna soluzione politica sarà possibile – non in tempi realisticamente prevedibili – visto che l’Occidente non ha la minima intenzione di riconsiderare la propria pretesa di dettar legge al resto del mondo, come sta facendo sin dal fatidico 1989 con conseguenze catastrofiche. Continua a leggere

Uomo, natura, testamento biologico, di Vito Mancuso

Il testamento biologico rimanda al rapporto tra l’uomo e la sua natura, tra la volontà umana e la biologia umana. Che tipo di rapporto è? Qual è il criterio che lo norma? Per rispondere a questa domanda è necessario chiarire il più complessivo rapporto tra uomo e natura, ed è questo l’obiettivo del mio intervento. La mia tesi consiste nel sostenere che oggi la nostra società è dominata da due idee di natura contrapposte e parziali, che richiedono di essere entrambe superate, e che sono da un lato la visione cattolica tradizionale della natura (non la creazione) e dall’altro l’evoluzionismo (non l’evoluzione); la tesi continua col sostenere che proprio il superamento di queste due visioni parziali conduce a cogliere nella libertà consapevole e matura il senso dell’evoluzione naturale, traendone infine delle conseguenze per il dibattito odierno sul testamento biologico, o comunque si voglia chiamare la possibilità concessa al paziente di dare in anticipo delle direttive per quelle circostanze in cui non fosse più in grado di esercitare questo suo fondamentale diritto. Continua a leggere

Per costringere la morte tra due accenti

max hansen
(Max Hansen, On the edge II)

                   [Leonard Cohen – Dance me to the end of love]

Per costringere la morte tra due accenti
(Chansons d’amour)

un altro giorno di sabbia senza impronte
scivola tra le dita, prende fuoco alla luce ostile
che instancabile danza dove più esile invecchia la luna –
la notte non ha più segreti
e i suoi doni rivelano al corpo
l’estraneo chiarore che avvicina ossa e ombre
in un abbraccio, un colore indefinibile che ama il freddo
come il mattino le rose cresciute sulla lingua – Continua a leggere

I flagellanti

Ricordate i “dietrologi” e i “disguidati”? Un’altra categoria, che fin dai tempi di Savonarola non ha fatto che danni e ancora oggi non perde occasione per avvelenare la vita al mondo intero, è quella dei flagellanti. Gente assolutamente incapace di gustare i piccoli piaceri della vita senza provare rimorso. La scopata è stata grandiosa? Vergogna: era peccato! Non è stata niente di che? Ti sta bene, così impari a cedere alla concupiscenza! La parmigiana di melanzane era superba e non ho neanche fatto fatica a digerirla? Sta’ in guardia, perché sicuramente c’è in arrivo una punizione tremenda.
E avanti di questo passo, fra terrori e tremori, mortificandosi e compiacendosi della propria mortificazione.
I rimedi che i flagellanti mettono in campo per gestire i loro sensi di colpa sono puerili e ipocriti.
Primo rimedio: quello che oggi si chiama politically correct (ma c’è sempre stato) e, stringi stringi, consiste nel chiamare le cose con un nome diverso. Non cambia niente? Sì, ma per un attimo la coscienza smette di rimordere.
Secondo rimedio: costringere gli altri a piangere e far penitenza insieme a te. Anche così non cambia niente? Chi se ne frega. L’importante è battere il petto, umiliarsi, recitare il mea culpa. Non serve a nulla, ma per un attimo ci sentiamo “buoni”.
Il brano che segue è un estratto del solito romanzo in fieri. Chi racconta è sempre Giorgio, il protagonista, che ricupera un episodio dalle nebbie della sua amnesia.
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Il Bardo continua 5 e Dialoghi d’amore 2: un vero archetipo: Giulietta e Romeo

a cura di Gaja Cenciarelli e Antonio Sparzani

a lato: il famoso balcone: in realtà ovviamente rifatto in epoca moderna, ma buono per la fantasia di tutti noi.

[il precedente bardo sta qui e il precedente dialogo d’amore qui]

Non c’è davvero bisogno di presentazione per questo parlare d’amore tra i più famosi al mondo. È appena il caso di ricordare che nel primo atto della tragedia shakespeariana i due giovani, durante un banchetto in casa Capuleti, al quale Romeo interviene mascherato, si conoscono, senza quasi prender coscienza l’uno del casato dell’altro, e si scambiano sguardi e parole trasognate. Presto appare l’orrore che la sorte ha loro riservato: le due rispettive famiglie sono acerrime nemiche, Juliet Capuleti e Romeo Montague, così nell’originale, non possono amarsi.

Dopo la fine del banchetto Romeo resta a sognare e a ricantarsi l’amore appena nato e già così forte nel giardino di casa Capuleti, proprio in vista del balcone della camera di Giulietta. E così si apre la scena II del II atto:

[Orto dei Capuleti, entra Romeo]

Romeo: Si ride delle cicatrici altrui
chi non ebbe a soffrir giammai ferita…

[Giulietta appare a una finestra]

Oh, quale luce vedo sprigionarsi
lassù, dal vano di quella finestra?
È l’oriente, lassù, e Giulietta è il sole!
Sorgi, bel sole, e l’invidiosa luna
già pallida di rabbia ed ammalata
uccidi, perché tu, che sei sua ancella,
sei di gran lunga di lei più splendente. Continua a leggere

Frammenti di un discorso ambizioso

Nel rissoso parlamento dei miei io confederati, la parte più conservatrice, quella che detiene stabilmente la maggioranza dei miei pregiudizi, ama le Madonne del Giambellino, la scrittura di Emanuele Trevi e gli standard jazzistici. La minoranza radicale si burla di queste passioni mielose: ritiene che il Giambellino sia il Fausto Papetti del Rinascimento, considera Trevi il nuovo Citati e definisce “neomelodiche” le sue affabulazioni critiche piene di aggettivi liricheggianti. Il mio machismo sta a sinistra, insomma. Quanto alla collezione di standard jazzistici (una trentina di varianti di Night and day e quasi altrettante di What a difference a day makes, incluso una bandistica e una gospel), pensa che sia il sintomo di un atteggiamento artisticamente rinunciatario, mero postmodernismo musicale. Continua a leggere

Poesia senza confini

Non esiste un’egemonia, un centro della poesia, né una periferia. La poesia ha messo in atto una sua globalizzazione in cui non esiste un nord contro sud, non ci sono superpotenze né piccoli paesi. Esplode come i funghi che spuntano dappertutto, persino sulla sabbia.

Mahmud Darwish, poeta e patriota palestinese scomparso il 9 agosto all’età di 67 anni.

Un riflesso condizionato

 

 

Michelangelo Pistoletto – Divisione e moltiplicazione dello specchio (1975-79)

 

 

Due di Potenza

di

Gero Mannella

Carteggio

 

Potenza, 14 giugno 2004

 

Caro Lucio,

ti scrivo poche righe, frutto di un’aspra tenzone interiore.

Da quando ci presentarono, due settimane or sono, non faccio che pensarti.

Ti sei insediato al vertice dei miei pensieri, sfrattando con una poderosa ramazzata il mio ponderoso gravame neuronale.

Credo trattarsi di innamoramento.

Hai pregiudizi verso una relazione omosessuale?

 

Vittorio

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Dall’Arancia Meccanica alla Nuova Epica Italiana – di Danilo PINTO


(Giovanni Cossu, Girella morta, 2008)

 

Danilo Pinto – Dall’Arancia Meccanica alla Nuova Epica Italiana

A Clockwork Orange. Nella parola work
un progresso che diventa destino.
Un solo marciare da Metropolis, come
in pillole un cagnetto sentenziava.
E un altro tizio, che si faceva
chiamare come un eroe di Moby
(non certo il dj pelato, jeez) sparava
a raffica il suo nostalgico, balalaico
“morte al Grande Ripieno.”
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Piccolo valzer viennese

di Loris Pattuelli

“La vera poesia è simile a certi quadri di cui si ignora il proprietario e che solo qualche iniziato conosce. Comunque la poesia non vive solo nei libri e nelle antologie scolastiche. Il poeta ignora e spesso ignorerà sempre il suo vero destinatario. Faccio un piccolo esempio personale. Negli archivi dei giornali italiani si trovano necrologi di uomini tuttora viventi e operanti. Si chiamano coccodrilli. Pochi anni fa al Corriere della Sera io scopersi il mio coccodrillo firmato da Taulero Zulberti, critico, traduttore e poliglotta. Egli affermava che il grande poeta Majakovskij avendo letto una o più mie poesie tradotte in lingua russa avrebbe detto: “Ecco un poeta che mi piace. Vorrei poterlo leggere in italiano”. L’episodio non è inverosimile. I miei primi versi cominciarono a circolare nel 1925 e Majakovskij (che viaggiò anche in America e altrove) morì suicida nel 1930. Majakovskij era un poeta al pantografo, al megafono. Se ha pronunziate tali parole posso dire che quelle mie poesie avevano trovato, per vie distorte e imprevedibili, il loro destinatario”.
Eugenio Montale, discorso tenuto all’Accademia di Svezia, 12 dicembre 1975.

Sempre “per vie distorte e imprevedibili”, qualche anno fa anche il Piccolo valzer viennese di Federico Garcia Lorca è riuscito a trovare “il suo vero destinatario”. Per saperne di più, mettete sul giradischi I’m your man di Leonard Cohen. Tradotto in inglese, il Piccolo valzer viennese è diventato Take this waltz, ed è qualcosa, credetemi, di veramente speciale, direi quasi il miracolo della traduzione perfetta che diventa la canzone perfetta.

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