Archivi categoria: I grandi

Albert Einstein, un ateo religioso?

di Alida Airaghi

Si è discusso a lungo se Albert Einstein (1879-1955) fosse o meno credente, riportando spesso a sproposito la sua nota affermazione “Dio non gioca a dadi con l’universo”, che ribadiva al collega Max Born la granitica convinzione di un ordine armonico del cosmo strettamente determinato dai principi fisici di causa ed effetto.  Continua a leggere

Claudio Magris: Mark Axelrod «smonta» i maestri – Il gioco del Lego in letteratura

Articolo di Claudio Magris

Mark Axelrod «smonta» i maestri – Il gioco del Lego in letteratura

Balzac’s Coffee, DaVinci’s Ristorante dello studioso americano è un libro 
bizzarro e inclassificabile che prende di mira, e supera, il post-postmoderno

«Gioco di costruzioni in plastica costituito da piccoli pezzi di forma geometrica a incastro tali da permettere una grande quantità di combinazioni». Così lo Zingarelli, il grande vocabolario della lingua italiana, definisce il gioco del Lego, che per generazioni di bambini è stato scuola di arte combinatoria e costruttivistica, castelli che smontati e riaggregati diversamente diventano mostri o navi. D’altronde Dante, rimescolando le lettere dell’alfabeto, è riuscito a rappresentare Dio e tutte le passioni umane.

Mark Axelrod insegna Letteratura comparata alla Chapman University di Orange, in California. Per 16 anni è stato il direttore del John Fowles Center for Creative Writing.

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Laura Guglielmi, “Lady Constance Lloyd”

Laura Guglielmi, “Lady Constance Lloyd – L’importanza di chiamarsi Wilde” (Morellini Editore, 2021)

Comunicato stampa e sinossi

Colta, ironica e attraente, Lady Constance Lloyd (Dublino, 1858 – Genova, 1898), scrittrice, giornalista e attivista, è una figura femminile che deve ancora trovare la sua giusta collocazione nella Storia. Oscurata dalla fama e dal processo del marito, dal quale ebbe due figli Cyril e Vyvyan, Constance è una donna che merita di essere riscoperta. Femminista e progressista, è stata paladina di una rivoluzione culturale che voleva migliori condizioni di vita e istruzione per tutte le fasce “deboli” della società inglese, a partire proprio dalle donne. Ai suoi tempi era conosciuta quasi quanto Wilde per il suo impegno nella rigida, e spesso ipocrita, società vittoriana. Erano la coppia più in vista della scena londinese. Continua a leggere

Nel giardino dell’amore

di Costanza Lunardi

Enrico Salfi, Cantico dei Cantici, 1900-30 ca


[La mia cara amica d’infanzia Costanza Lunardi, da tempo pubblicava sull’edizione bresciana del Corriere dei deliziosi quadretti letterari attorno al mondo delle piante, adesso quella rubrica è stata chiusa per ragioni economiche; io sono felice di averla convinta a passarmene qualcuno di nuovo da pubblicare qui. a.s.]

“Io sono un fior di campo/ sono il giglio delle convalli….Come un giglio tra i rovi,/ così l’amica mia tra le fanciulle./”

Cantico dei cantici (2, 1-2). Il canto altissimo. Il canto del giardino. Dove l’amore chiamando a raccolta il creato, definisce, grazie al dialogo continuato tra i due amanti, un confine intorno alla bellezza, che la tensione travalica con la pienezza del desiderio, oltre colline e deserti. Le analogie del canto biblico, attribuito al IV secolo a.C., variando nel ritmo della natura, fioriture e frutti, sapori e profumi, addensano una sensuale polifonia cosmica intorno alle figure dei due amanti. Giardino nel giardino, forse richiamo all’Eden perduto quello cui viene paragonata l’amata, “sei un orto conchiuso/ bella mia/ una sorgente sigillata, occulta..” (4, 12), che nutre melograni, nardo, croco, aloe, e “tentanti balsami”. Luogo sacro da proteggere e da cui l’amante teme di essere escluso. Il giardino dell’amore è un richiamo al bisogno di nutrimento, tra linfe che scorrono nella natura, baciati sorrisi tra labbra e guance di melagrana, albe a scoprire se fioriscono i meli, notti per fuggire come cervi “sui monti profumati” (2, 17).

[la traduzione del Cantino dei Cantici è quella di Cesare Angelini, che appare nell’edizione Einaudi, Torino 1973.]

Dante, Forese e Bonagiunta

di Antonio Sparzani

UNSPECIFIED – CIRCA 2002: The meeting between Dante and the poet Forese Donati (1250-1296), scene from Canto XXIII of Purgatory from The Divine Comedy, by Dante Alighieri (1265-1321), inscription from the Archbishop of Milan, miniature, manuscript plut 40 pp 176,15th century. Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana (Laurenziana Library) (Photo by DeAgostini/Getty Images)


Qui vi avevo proposto la seconda parte della tenzone con Forese Donati, cominciata qui su Nazione Indiana: avevo preannunciato che Dante avrebbe riincontrato Forese nel Purgatorio e infatti ciò accade nel XXIII canto (vedi qui) e prosegue nel XXIV, che qui vi presento. Dante è affettuosamente amico di Forese, malgrado le (apparenti, ma rituali) ingiurie che si scambiarono nella tenzone, e tiene a parlare con lui del “nuovo stile” di poetare, trovandone l’occasione nel personaggio di Bonagiunta da Lucca, che pure sta lì tra i golosi. Di lui non si sa molto, se non che fu una specie di mediatore tra la poesia siciliana (ricordate il contrasto di Cielo d’Alcamo, Jacopo da Lentini e tutti gli altri?) e la nuova scuola toscana dello stil novo appunto. Come vedrete leggendo questi versi, Dante approfitta di Forese anche per chiedergli notizie della sorella Piccarda, che già sta in Paradiso per i suoi molti meriti, mentre non osa chiedergli del fratello Corso, il molto intraprendente capo dei Guelfi Neri a Firenze, responsabile della rovina della città e della cacciata definitiva di Dante da Firenze; Continua a leggere

Dante incontra Bertran del Born

di Antonio Sparzani


Dal canto II dell’Inferno, di cui ho parlato qui, salto al XXVIII: che Dante ben conoscesse la letteratura che l’aveva di poco preceduto non v’è dubbio. Ho già accennato alla sua frequentazione di Arnaut Daniel e oggi vorrei scrivere invece di un altro trovatore in lingua d’oc, Bertran del Born, che Dante colloca all’Inferno, e non in una bella situazione. E ciò presenta qualche stranezza perché in due delle sue opere cosiddette “minori” il poeta ne parla bene. Continua a leggere

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Dante: il pane nel Convivio e “lo naturale amore alla propria loquela”

di Antonio Sparzani

una spiga d’orzo


Dante morì stanotte, settecento anni fa, della malaria contratta sulla strada che percorse andando a Venezia. Con la testarda idea di ricordarlo sempre e comunque, voglio oggi ricordare che dopo le molteplici e multiformi rime di cui ci siamo occupati (l’ultima qui) egli si dedica, secondo quanto egli stesso afferma, a cose leggermente più serie. Il Convivio è un vero convito, nel quale l’autore dibatte un tema che gli sta sommamente a cuore: quello della lingua. Come vedrete se avrete la pazienza di leggere i brani che ho scelto dal trattato primo dell’opera, si parla molto di pane, ovvero del cibo di quel convito, che non è il pane raffinato bianco di puro frumento (noi diremmo di farina doppio zero), perché quello rimane il latino, la lingua dei dotti, di quelli che se lo possono permettere, non della gente comune, della maggioranza delle persone che non se lo possono invece permettere, ma è “quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene” (guardate la fine del capitolo XIII). Continua a leggere

Giorgio Camillo Galli, “I romanzi smarriti sui treni”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Giorgio Camillo Galli, I romanzi smarriti sui treni, Algra Editore, 2021

I romanzi smarriti sui treni, tanto per cominciare, è un titolo bellissimo. Ispirato alla vicenda del manoscritto perso su un vagone ferroviario dallo scrittore russo – ubriaco – Venedikt (Viktor) Erofeev, protagonista di uno dei racconti di questa originalissima raccolta di Giorgio Camillo Galli, fotografa alla perfezione lo stato d’animo che li attraversa trasversalmente tutti: quello delle occasioni perdute, ma poi, in qualche modo, recuperate, magari da qualcun altro, e consegnate alla storia e all’attenzione di occhi e orecchie dotati della sensibilità necessaria per apprezzarle. Continua a leggere

Dante e Forese Donati

Come spiegato ieri su Nazione Indiana, riportando la prima parte di questa cosiddetta tenzone, si tratta di uno scambio di sei sonetti, tre a testa, nei quali Dante e il suo compagno di poesia Forese Donati si scambiano insulti e insinuazioni varie. La tenzone finisce con l’ultima risposta di Forese, così che alcuni dicono che questi ha in qualche modo “vinto”. In realtà, da quel che risulta dalle conoscenze che abbiamo dell’atmosfera che all’epoca regnava tra giovani fiorentini, poeti o comunque uomini in vista della scena politica — e Dante lo era assai — si trattava di schermaglie e di alterchi abbastanza comuni e che non nascondevano alcuna vera ostilità. Tanto che, quando Dante troverà Forese nel XXIII e XXIV del Purgatorio, i loro rapporti saranno ben diversamente affettuosi.

4. Forese a Dante (LXXVI)

Va’ rivesti San Gal prima che dichi
parole o motti d’altrui povertate,
ché troppo n’è venuta gran pietate
in questo verno a tutti suoi amichi.
E anco, se tu ci hai per sì mendichi,
perché pur mandi a·nnoi per caritate?
Dal castello Altrafonte ha’ ta’ grembiate,
ch’io saccio ben che tu te ne nutrichi.
Ma ben ti lecerà il lavorare,
se Dio ti salvi la Tana e ’l Francesco,
che col Belluzzo tu non stia in brigata.
Allo spedale a Pinti ha’ riparare;
e già mi par vedere stare a desco,
ed in terzo, Alighier co·lla farsata.

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Francesco Biamonti: venti anni senza

Recensione di Francesco Improta

In quel non esser lì che da sempre ti abitava; nel chiarore dello sguardo intriso d’innocenza implacabile come lo è la verità; nella pietà silente del sorriso… ti sei sparìu. 

Con queste parole Luigi Bonalumi, intellettuale, letterato e amico di vecchia data, salutava la scomparsa prematura (17 ottobre 2001) di Francesco Biamonti. Sono trascorsi venti anni da quel giorno e il vuoto per la sua dipartita si avverte sempre di più. Il mondo appare depauperato d’intelligenza, di sensibilità, di poesia e persino della sua voce, una voce bassa e velata, capace di affascinare l’uditorio e tenerlo inchiodato alle poltrone.

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Un altro tempo. Wystan Hugh Auden ?

traduzione Nicola Gardini

ed. Corriere della Sera

a cura di Barbara Pesaresi

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Appoggia, amore, il tuo capo assonnato…

Appoggia, amore, il tuo capo assonnato

umano sul mio braccio senza fede;

in cenere riducono le febbri

e il tempo la bellezza individuale

dei bambini pensosi, e la tomba

mostra quanto sia effimero il bambino:

ma fino all’alba dentro le mie braccia

che la viva creatura s’abbandoni,

colpevole, mortale, ma per me

quella che sola ha intera ogni bellezza.

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Gocce di coscienza

Articolo di Giovanni Agnoloni

Questo è un mio vecchio articolo, che ho scoperto per caso facendo pulizia nel mio studio per cercare un manoscritto (rigorosamente vergato a mano, come sempre nelle mie prime stesure) necessario per comporre un libro a cui sto lavorando adesso. Siccome non credo nel caso, ma nelle sincronicità, e mi ci riconosco ancora appieno, ecco che lo pubblico qua. Credo di averlo buttato giù al tempo in cui lavoravo a Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori (Galaad Edizioni). Dopo dieci anni e passa dedicati pressoché soltanto alla narrativa (e, ultimamente, alla poesia), questa ricognizione nel passato mi permette di fare una sorta di riepilogo interiore, che spero possa giovare anche ai lettori di questo blog.

Nel pubblicarlo, mi piace ripensare all’amico e maestro di pensiero e intuitività Giuseppe Panella, recentemente scomparso ma ancora spiritualmente con noi, con il quale ho spesso discusso di questi e altri temi consonanti.

Malin Head, Irlanda (foto di Giovanni Agnoloni)

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La rosa è senza perché. Silesio nuovo fiammante

cherubini

 Silesio, o Angelus Silesius (l’Angelo, il Messaggero della Slesia), o Johannes Scheffler, è un vertiginoso autore di aforismi. Il suo capolavoro si intitola Il pellegrino cherubico, e i cherubini sono gli angeli fiammeggianti. Dal 1674 Il pellegrino cherubico non era certo invecchiato, ma a riproporlo nuovo è ora Francesco Roat, con un corposo saggio e un’inedita traduzione di 200 aforismi scelti dal poema mistico (ovvero filosofico, sapienziale, poetico) che porta al culmine una antecedente ricca tradizione.
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FORMA E VITA IN SICILIA (di Leonardo Sciascia)

[ dal n. 5/1960 della rivista letteraria “Le ragioni narrative”, periodico letterario pubblicato a Napoli dall’editore R. Pironti e Figli in via Mezzocannone 75, tra i cui redattori troviamo i nomi di Domenico Rea, Mario Pomilio, Michele Prisco (direttore responsabile), Luigi Compagnone, Gian Franco Venè, Lugi Incoronato, ed al quale collaboravano, fra gli altri, Giovan Battista Angioletti, Bruno Maier, Francesco Flora, Leone Pacini Savoj, Carlo Salinari, Leonardo Sciascia, Giovanni Titta Rosa, Diego Valeri ] – E.D.L.

(in una foto di Giuseppe Leone,  Leonardo Sciascia tra Vincenzo Consolo, a sinistra, e Gesualdo Bufalino, a destra

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« Preme di più intendere e valutare la realtà siciliana che cercare ’cause’ e antecedenti che, nel migliore dei casi, non conterebbero a paragone delle azioni e delle opere che, univocamente, denominiamo siciliane perché così le vediamo e le sentiamo. Tale realtà appare dal momento in cui gli abitanti dell’isola di Sicilia si comportano come siciliani ossia rivelano in fatti di durevole significato le loro preferenze e capacità… ».
Abbiamo adattato alla Sicilia questa essenziale proposizione da cui Américo Castro muove il suo vasto ricchissimo e suggestivo studio su La realidad historica de Espana (ed. italiana: La Spagna nella sua realtà storica, Firenze, Sansoni, 1956). E frequentemente faremo riferimento a cose spagnole per una essenziale e fondamentale considerazione: che se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo.
Indubbiamente gli abitanti dell’isola di Sicilia cominciano a comportarsi da siciliani dopo la conquista araba (come d’altra parte gli abitanti della Spagna): in un tipo di vita che Castro direbbe narrabile; non ancora, cioè, storicizzabile e non più descrivibile soltanto. Com’è, o dovrebbe essere, noto, Américo Castro assume e divide il passato umano in tre diversi stadi di realtà che corrispondono a tre diverse categorie espressive : 1) una vita che si svolge dentro un mero spazio vitale, che è soltanto spazio vitale; e chiama questo tipo di vita descrivibile (per noi, quello della Sicilia prima degli arabi); 2) una vita di tipo narrabile, fatta di aspetti suggestivi e interessanti, di eventi degni di essere narrati ma che appartengono alla «eventografia » piuttosto che alla storiografia (che per la Sicilia sarebbe il lungo periodo che va dalla dominazione araba alla formazione del Regno d’Italia): 3) una vita di tipo propriamente storico, che irradia virtù creative, che è costruzione originale, compiuta forma di realtà umana (per noi, la Sicilia del 1860 ad oggi). A questo terzo stadio di vita, a questa vita di tipo storicizzabile, la Sicilia si appartiene con « virtù creative » incerte e disarticolate, anche se originali, per quanto riguarda la vera e propria azione storica, gli avvenimenti civili (che, svolgendosi dentro uno Stato a carattere unitario, e poi totalitario, si possono paragonare, per originalità e portata, a quelli della regione basca dentro lo Stato spagnolo); ma con « virtù creative » sicure originalissime univocamente definibili come siciliane, per quanto riguarda le opere letterarie: opere che esprimono una vita « storica ». una particolare e compiuta forma di realtà umana.
Gli avvenimenti civili che la Sicilia esprime nel periodo che va dall’unità d’Italia ad oggi sono il movimento dei Fasci dei Lavoratori e il movimento indipendentista-autonomista: movimenti che si iscrivono in una precisa continuità storica; continuità che bisogna vedere nelle istanze del popolo più che nelle dichiarazioni dei cacicchi (e del cacicchismo avremo modo di parlare più avanti). Continua a leggere

Per Bernardo Bertolucci, 1941-2018

di Paola Renzetti

Bertolucci


(Immagine: Bernardo Bertolucci con il padre Attilio durante le riprese di
Novecento, girato nel 1975 nelle campagne emiliane)

– Ci racconti il seguito
del Grifasino – fa
Bernardo, e rivolto a Giuseppe
che in silenzio l’interroga: – Il Grifasino
è un asino con le ali, vive nelle grotte
del Groppo Soprano, agli ordini
del Mago Sabino, protettore
dei bambini buoni.
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Guido Ceronetti, 1927-2018

Ceronetti_Ti saluto

 

Solo stamattina ho saputo che due giorni fa – il 13 settembre – è morto Guido Ceronetti, “filosofo ignoto”, traduttore di Giobbe e di Isaia, dei Salmi e del Cantico dei Cantici, scrittore (vertiginoso-divagante, onnisciente-onnivoro), poeta (aspro e diseguale), aforista (ineguagliabile), stilista e stilita, polemista, giornalista, marionettista, uomo di teatro, vegetariano, apocalittico amico di Cioran, innamorato delle donne (purché non indossino pantaloni), profeta in pectore e molto altro ancora. Continua a leggere