Archivi categoria: Cinema

Frammenti di Cinema # 75

di Pasquale Vitagliano

Nella “zona di interesse” non si vede passare la storia. Dunque, è lo spazio indolore dell’indifferenza. Questa è l’idea che sta alla base de La zona d’interesse (2023) di Jonathan Glazer, vincitore dell’Oscar come migliore film straniero. Svuotata di ogni significato etico, cinematograficamente si tratta di una “trovata”. Di uno spiazzamento. L’etica resta di lato e resta importante. Come si può parlare di orrore senza farlo vedere? Questa è la domanda di partenza. Esclusivamente estetica. Quante volte abbiamo visto le immagini terribili dell’Olocausto? Rischiamo l’assuefazione. Quante volte abbiamo visto le immagini dell’assassinio di JFK ad Atlanta il 1963? Peter Landesman ha inseguito la stessa idea di Glazer? E l’ha, appunto, trovata. In Parkland del 2013 entriamo nel pronto soccorso dell’Ospedale. Partecipiamo al disperato e inutile tentativo di rianimare il presidente degli Stati Uniti. Ma non una volta (ri)vediamo le immagini dell’attentato. Il punto di vista è del tutto fuori campo, nello sguardo involontario di Zapruder sui cui occhiali intravediamo il riflesso di ciò che ha filmato.

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Frammenti di Cinema # 74

I primi alieni nella storia del cinema appaiono ne Il Viaggio sulla luna del 1902 di Georges Méliès. Ma sulla terra arrivano negli anni ’50 con un capolavoro di B-movie. Il primo è Ultimatum alla Terra del 1951 di Robert Wise. A parte il remake del 2008, si tratta del capostipite del filone che immagina una guerra tra mondi.  La guerra dei mondi (2005), infatti, si chiama uno dei film che Steven Spielberg, il regista più attratto di tutti dagli extraterrestri. Independence Day (1996), invece, combina questo genere con il disaster movie, fino all’apoteosi dell’attacco alieno alla Casa Bianca. Gli effetti speciali, tuttavia, non scalfiscono la straordinaria stilizzazione di altri due film degli anni ’50. Plan 9 from Outer Space del 1959 di Edward D. Wood Jr., consacrato da Tim Burton re dei B-movie; e quel cult che è L’invasione degli ultracorpi diretto da Don Siegel nel 1956.  E’ la prova di quanto più potente sia l’immaginazione rispetto alla tecnologia, malgrado l’ingenuità delle forme, e grazie alle paure implicite di un’epoca (gli anni della corsa allo spazio).

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“Perfect days” e l’hic et nunc di Wenders

di Michele Nigro

Quand’è che una vita può essere considerata “perfetta”? Quando soddisfa i parametri valutativi di un sistema videocratico-consumistico basati sull’arrivismo, sul potere dell’influencing e sul successo mediatico o quando rispetta un ecosistema interiore costruito lentamente e con pazienza negli anni? Questo film di Wenders, da più parti e a ragione considerato “poetico”, pone al centro di tutto la contrapposizione tra l’affanno di chi programma la vita futura e il carpe diem di chi sceglie di cogliere l’attimo offerto dal “qui e adesso”, senza preoccuparsi di quel che si dovrà fare domani. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 72

Nel giornalismo ci sono cani da caccia e cani da cuccia. Dedichiamo questo frammento allo scomparso Andrea Purgatori. Prendiamo una battuta dal film Fortapàsc del 2009 di Marco Risi, dedicato alla vicenda di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ucciso dalla Camorra il 23 settembre del 1984. Purgatori, che firmò con altri la sceneggiatura, è stato senza alcun dubbio un cane da caccia del giornalismo italiano. Con un pedigree di grande valore. Un altro film sul giornalismo investigativo, Il muro di gomma del 1991 sempre di Marco Risi racconta le origini della sua attività, quando per il Corriere della Sera mise in dubbio la versione del cedimento strutturale nella strage dei passeggeri del DC-9 Itavia sul mare di Ustica.

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The Old Oak, una recensione del film di Ken Loach

di Giulio Bruno

“The Old Oak” dell’87enne Ken Loach (“Stavolta vi do speranza, poi mi ritiro”). L’integrazione sociale problematica, la gratuità capricciosità del male, l’indifferente egoismo dell’uomo, la disillusione e la desolazione di una vita di fallimenti, da un lato; la fratellanza umana, il discreto affiorare di un fremito di speranza, dall’altro: molti sono i temi che Ken Loach tratta nel suo ultimo film, il piccolo capolavoro ‘The old oak’, con la sua delicata grazia, smisurata e al tempo stesso misurata, quasi sussurrata, mai compiaciuta.

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Frammenti di Cinema # 71

Killers of the flower moon (2023), l’ultimo film di Martin Scorsese, ci insegna qualcosa di drammatico sulle guerre che sono riesplose in tempi recenti. Certo, è terribile. Ma se i nativi non fossero stati piegati, anche l’America oggi sarebbe ancora in fiamme. Il finale sembra alludere all’ascolto giovanile del regista del racconto radiofonico della storia della tribù degli Osage. Questo ricordo sentimentale addolcisce appena il senso di colpa di una nazione che viene ancora una volta evocato. Sono passati 53 anni da Soldato blu (1970) di Ralph Nelson. Questo film ha spezzato la narrazione tradizionale degli indiani cattivi, assegnando loro il giusto e autentico posto di vittime della colonizzazione, come quella che si stava tentando in forme nuove in Viet-Nam in quegli stessi anni. È curioso notare che anche nel mio immaginario giovanile, quello che più plasma la nostra identità futura, gli indiani hanno occupato un ruolo importante.

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Frammenti di Cinema # 70

di Pasquale Vitagliano

Quello che sta succedendo in questi giorni in Palestina, Israele e la Striscia di Gaza può farcelo capire persino Hollywoood. Basterebbe recuperare Exodus, film di Otto Preminger del 1960 con Paul Newman. Da quel momento abbiamo assistito ad una escalation che ha visto prima l’Occidente, ora complice indiretto del disastro, ora testimone impotente. Una curiosità: la nave che trasporta i profughi ebrei in Palestina, che nella realtà si chiamava President Warfield, era salpata nel 1947 dal porto di La Spezia.

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Frammenti di Cinema # 69

 

Accanto al cinema trash c’è il cinema folle. Il capolavoro del genere è Hellzapoppin’ (1941), diretto da H. C. Potter. La sua stravaganza è esplicita, persino dichiarata dalla coppia di protagonisti Ole Olsen e Chic Johnson, i quali ammettono che il pubblico farà fatica a definire film quello che stanno vedendo.  L’ambientazione è teatrale, infatti, si ispirava una omonima rivista di successo in quegli anni a Broadway. Folle ma con un tono tutt’altro che comico, anzi gotico e cupo, è Freaks diretto da Tod Browning nel 1932, dedicato ai fenomeni da barraccone e ai freak-shows. È curioso che entrambi furono riscoperti dal magnifico Fuori Orario televisivo di Enrico Ghezzi. Bizzarro e surreale già nel titolo è Animal Crackers – biscotti a forma di animale (?) di Victor Heerman con i fratelli Marx, geni del nonsense. Ma qui rientriamo nel canone più tradizionale, anche se la comicità linguistica e demenziale è irraggiungibile. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 68

Qual è il film più brutto nella storia del cinema? Rispondere non è più facile di individuare quello più bello. Secondo alcuni il più brutto film italiano sarebbe Alex l’ariete (2020) con un improponibile Alberto Tomba, campione mondiale di sci nel ruolo di un carabiniere dei GIS. Incredibile è che il regista sia stato uno del calibro di Damiano Damiani. A questo punto, mi sono fatto aiutare da un giovane storico del cinema, esperto di B-Movies. Tra i titoli indicatimi da Alessandro Barile, c’è Avanzers – Italian Superheroes (2023), una commedia fantasy diretta da Cosimo Bosco, con Maurizio Mattioli e Ciro Villano (?). A questo affianca Titanic II (2010) diretto da Shane Van Dyke: non è il seguito, come si potrebbe pensare, ma un mockbuster, una specie di brutta copia destinato al circuito home-video. Esiste, poi, una parodia di Avatar. Ancora una volta sono gli italiani a distinguersi per fantasia, con Lorenzo Dante Zanoni, in arte Alan Smithee, che ha diretto Anatar (2023), con delle anatre come protagonisti.

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Frammenti di Cinema # 67

Chissà quando la società fluida arriverà a far crollare l’ultimo tabù dell’inclinazione sessuale. L’art 556 del codice penale punisce il reato della poligamia. Ecco, mi domando quando nascerà il primo movimento per l’abolizione. Davvero, già sul piano morale mi domando cosa separi questa pratica, tendenza, natura (?), da tutte le altre che già conosciamo. Chiaramente, mi riferisco anche alla poligamia femminile. Anzi, sul piano culturale sarebbe l’approdo alle colonne d’Ercole della parità di genere. Immaginate una struttura mentale che non associ più la promiscuità femminile al più turpe mercimonio ma, come per i maschi, ad una brillante attrattività di cui vantarsi. Sarei contento di scoprire che esista una Casanova. È curioso, d’altra parte, che proprio questo modello sia in crisi. Ne abbiamo già parlato, non credo sia un caso che Gabriele Salvatores associ la storia di un regista in cerca della propria identità perduta alla figura di Giacomo Casanova. Sul piano collettivo, Federico Fellini (1976) vi associa un passaggio d’epoca collettivo. Eppure, come sappiamo, il modello ha goduto, specie nelle culture mediterranee, di una grande fortuna. Il primo film su Casanova è del 1918 del regista tedesco Alfréd Deésy. Il primo film italiano, invece, è L’avventura di Giacomo Casanova (1938) di Carlo Bassoli. Da notare che il primo arriva alla fine della prima guerra mondiale, mentre l’altro a ridosso della seconda.

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Frammenti di Cinema # 66

L’attenzione per l’identità sessuale e la sua tutela non è esclusiva dei nostri tempi fluidi. Il primo film omosessuale risale addirittura al 1919. È un film tedesco, Anders als die Andern (Diversi dagli altri), diretto da Richard Oswald, che denunciava il cosiddetto paragrafo 175, ovvero l’articolo del codice penale tedesco che dichiarava reato l’omosessualità. Ma già nel 1895 la Edison Studios sperimentava l’invenzione del cinema con la ripresa di due uomini che ballano un valzer in Dickson Experimental Sound Film. Da allora il tema è stato tutt’altro che marginale. L’importante era non trattarne esplicitamente. Durante gli anni d’oro del cinema, tra gli anni ’30 e ’50, sulle icone della omosessualità femminile è stato persino costruito un canone di seduzione. Due nomi spiccano, Marlene Dietrich e Greta Garbo. Indimenticabile è la bellezza androgina di Ninotchka-Garbo (1939) di Ernst Lubitsch. Mentre il primo bacio lesbico nella storia del cinema lo dà la Dietrich in Marocco (1930) di Josef von Sternberg, seppure sotto le mentite spoglie di un uomo. Il film culto, però, resta Johnny Guitar (1954) di Nicholas Ray con Peggy Lee che rivendica la propria identità.

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Frammenti di Cinema # 65

A chi può interessare un film nel quale il regista racconta sé stesso? A pochi, se l’opera si rivelasse un prodotto narcisistico. Eppure, talvolta, abbiamo avuto dei capolavori. È il caso di  (1963) in cui Federico Fellini mette in scena il proprio doppio per realizzare una grande opera sul processo creativo; ma, allo stesso tempo, una memorabile testimonianza di un’epoca e di una comunità. Pretendere queste vette da parte dello spettatore può essere eccessivo. Tuttavia, davvero, si può essere delusi di fronte a risultati inattesi per le aspettative di partenza. È accaduto con Gabriele Salvatores e Il ritorno di Casanova (2023). Più che autoreferenziale, è infantile. Il doppio del regista è un regista in crisi. Tutto il film è tautologico. Ogni domanda che pone contiene già la risposta. Di chi si innamora? Di una donna molto più giovane? Cosa lo ha attratto? Il ritorno alla natura, lei fa la contadina.  Suggestiva è la messa-in-abisso della storia delle riprese di un film ispirato al libro Il ritorno di Casanova di Arthur Schnitzler (Da un suo alto libro, Doppio sogno, Stanley Kubrick trasse Eyes Wide Shut). Ma ci troviamo di nuovo di fronte ad un canone troppo scoperto: la vita vera è in bianco e nero, il cinema (il film su Casanova) è a colori: la finzione è più divertente della realtà.

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Frammenti di Cinema # 64

Il cinema quantistico si è occupato anche dell’Aldilà. Uno degli esempi meglio riusciti è Storia di un fantasma – A ghost story (2017) di David Lowery. Qui è il fantasma che lentamente prende consapevolezza di essere dentro un loop circolare. Esiste un punto in cui incrocia sé stesso nel suo pellegrinaggio circolare. L’idea geniale del film è raffigurarlo secondo l’iconografia tradizionale, con lenzuolo bianco e fori neri, senza far perdere di credibilità e commozione alla storia. L’intuizione che sta dietro questo nuovo filone è mettersi dal punto di vista del fantasma. E se fosse lui a spaventarsi per la nostra presenza? Ad inaugurarlo è il capolavoro di Manoj Night Syamalan, Il sesto senso (1999) (interessante è anche The Visit del 2015). Ci resta il dubbio che il dottor Crowe, lo psicologo che indaga sulla capacità del piccolo Cole di sentire la presenza di fantasmi, sia egli stesso uno spettro. Proprio questa è la terribile scoperta della signora Grace (Nicole Kidman) in The Others (2001) di Alejandro Amenàbar.

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Frammenti di Cinema # 62

Al cinema si può mostrare l’orrore perché lo rende commestibile. L’aggettivo è calzante se ad essere mostrato è l’orrore del cannibalismo. Come si fa ad accettarlo? Intanto, è necessario un vero e proprio apprendistato. Personalmente, la prima esperienza è stata fatta di fronte all’urgente necessità della sopravvivenza. Il primo film che mi ha messo di fronte a questa realtà è stato I sopravvissuti delle Ande, film messicano di Renè Cardona del 1976 sul disastro aereo che coinvolse nel 1972 la squadra universitaria di rugby dell’Uruguay. Grazie a Ron Howard scopriamo nel 2015 con Hearth of the Sea che anche il naufragio della baleniera Essex, da cui Herman Melville trasse ispirazione per il suo monumentale Moby Dick, costrinse i superstiti a praticare il cannibalismo.

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Frammenti di Cinema # 61

Nel 2022 è uscito Living di Oliver Hermanus. È la storia di un impiegato che riscopre il senso della vita all’annuncio della malattia. Anche lo scenario collettivo nel quale si muove è malato, la guerra. Il film è un remake del capolavoro di Akira Kurosawa (1952), Vivere. A sua volta, l’idea centrale sembrerebbe derivare dal racconto La morte di Ivan Ilic di Lev Tolstoj. Mr. Williams e San Watanabe ci ricordano anche il sig. Umberto Domenico Ferrari di Vittorio De Sica. Ad interpretata l’umile impiegato Umberto D. (1952), dedicato alla memoria di suo padre, il regista chiama un attore non protagonista. Si chiama Carlo Battisti, insegna glottologia all’Università di Firenze. Chissà, allora i docenti universitari non erano ancora saliti al rango di baroni. Anche Totò ha vestito i panni del travet in una esilarante versione del racconto Morte di un impiegato di Anton Cechov. Il titolo del film Totò e i re di Roma (1951) cita la domanda che viene fatta al povero archivista durante l’esame tardivo per la licenza elementare. Con la regia di Steno e Mario Monicelli, è l’unico film in cui Alberto Sordi, che rischia il famoso “palliatone”, recita con Totò. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 60

Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975) di Chantal Akerman è il film più bello nella storia del cinema. Lo ha decretato la rivista Sight and Sound, pubblicata dal British Film Institute. Attenzione, però. La scelta si rinnova ogni decennio. Il primo film che ha ricevuto questo riconoscimento nel 1952 è Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica. Dieci anni dopo, nel 1962 in cima fu messo Quarto Potere – Citizen Kane (1941) di Orson Wells, e vi è rimasto per un periodo molto lungo. Infatti, solo nel 2012 viene scavalcato in classifica – restando comunque secondo – da La donna che visse due volte – Vertigo (1952) di Alfred Hitchcock.

Il film della Akerman è inconsueto. Riprende in tempo (quasi) reale la vita quotidiana di una casalinga, madre di un giovane studente, nel corso di tre giorni. Con un particolare, scandito con naturalezza, nella giornata ordinaria: Jeanne si prostituisce. Oltre ad essere considerato cinematograficamente un capolavoro, è un film fondamentale per la cultura femminista.

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Frammenti di Cinema # 59

Ci sono i remake e i sequel. Poi, sono arrivati i prequel, gli spin-off e i reboot. Infine, più modestamente, ci sono i film fotocopia, ovvero che hanno la stessa trama. Ma senza intenzione alcuna, almeno in apparenza. Clamoroso è il caso che riguarda Checco Zalone e Aldo Baglio. Nel 2020 il primo fa di nuovo il botto con Tolo Tolo. Il film parla di migrazioni e varia disumanità. Questa volta gli spettatori scoprono che la trama, come si dice in questi casi, fa riflettere. Infatti, escono dal cinema delusi. Un anno prima, Aldo, di Aldo, Giovanni e Giacomo, esordisce da solista in Scappo di casa di Enrico Lando. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 58

Chi avrebbe mai pensato di utilizzare un film su Babbo Natale per un seminario sui rapporti tra Diritto e Letteratura? Mi è capitato di farlo (grazie al saggio di Bruno Cavallone, La Borsetta di Mrs Flite) abbinando Miracolo nella 34^ Strada (1947) di George Seaton al thema probandum nel processo.  Kris Kringle (Christ-Kindl) sostiene di essere davvero Babbo Natale. Dopo una colluttazione con lo psicologo del Grande Magazzino, dove veste i panni di Santa Claus per la meraviglia dei piccoli, viene arrestato. Le Poste, prendendo spunto da una lettera inviata in Tribunale, decidono di indirizzarle tutte presso il Palazzo di Giustizia. La corte, dunque, sentenzia: non dovendo provare se esista o meno Babbo Natale, risulta invece provato che la città di New York riconosce nel signor Kris Kringle Babbo Natale, a conferma che una sentenza non certifica la Verità ma una verità intersoggettivamente riconosciuta. Nel 1994 Les Mayfield ne ha fatto un remake con Richard Attenborough nel ruolo di Kingle, ma il risultato non è stato lo stesso. In Fatman di Ian e Eshom Nelms, Cris Cringle (Mel Gibson) subisce, dopo molti anni, la vendetta di un bambino viziato che aveva ricevuto un pezzo di carbone. Mandante e killer non hanno, però, fatto i conti col vizio inerente al piano criminale: Babbo Natale è immortale. L’idea di trasformare la leggenda di Santa Claus in una dark-story è suggestiva, benché il film sia stato dichiarato (a torto) il peggior film di Natale del 2020. Quest’anno è uscito Una notte violenta e silenziosa (Violent night) di Tommy Wirkola che utilizza lo stesso ribaltamento.

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Frammenti di Cinema # 57

L’antropocene al cinema si declina in catastrofi o fantascienza. Impressionante è vedere il letto del Tevere completamente prosciugato nell’ultimo film di Paolo Virzì, Siccità (2022). La trama è meno inedita. L’aridità è quella dei sentimenti. Quando riscopriremo la nostra umanità comincerà a piovere (ma può essere il contrario, comincerà a piovere quando ritroveremo la nostra anima autentica). Ridley Scott gioca con una suggestione opposta in Blade Runner (1982). Nel suo futuro piove sempre. Nel sequel, invece, Blade Runner 2049 (2017) di Denis Villeneuve, sopravviene la neve a ricoprire ogni residua traccia del nostro passaggio. Il mondo di Waterworld (1995) di Kevin Reynolds, poi, sembra un contrappasso:  le guerre di oggi hanno l’acqua quale oggetto del contendere (Le guerre dell’acqua, Vandana Shiva, 2003). Il film, come si sa, fu un flop, ma non impedì allo sceneggiatore David Twohy di ritornare sulle catastrofi climatiche, questa volta da regista di The Arrival (1996). Con un particolare non secondario: il riscaldamento globale è stato provocato dagli alieni.

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Frammenti di Cinema # 56

In letteratura si è discusso in passato sul perché non sia sorta in Italia una tradizione del genere giallo. Poi, dagli anni ’90 del secolo scorso sono arrivati i magistrati, ed è nato il giallo italiano. Nel cinema, analogamente, ci si chiedeva come mai, pur avendo una storia nazionale ricca di spunti avventurosi, dal brigantaggio alla criminalità organizzata, non fosse nato un genere proprio di action movie, come il western nel cinema americano. Chiaramente gli spaghetti western non possono entrare in questa considerazione, perché lo scenario storico resta immutato, essendo stati solo riprodotto e riadattato con mezzi e stili italiani. Forse, l’unico regista italiano che ha tentato di costruire un’epica cinematografica con la nostra storia è stato Pasquale Scimeca (I briganti di Zabut, 1997).

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