Archivio mensile:Gennaio 2024
Sabbie mobili
Sui poeti caduti, di Prisco De Vivo
Fin dall’adolescenza, mi appassionai ai poeti e agli scrittori caduti in Disgrazia di Dio, che mi erano vicini come fantasmi di anime in pena. Li ho tradotti in immagini e rappresentati con un’inspiegabile trasporto. Ma ho anche scritto e tanto scritto di poesia.
Negli anni ho cercato, anche, di spiegarmi la mia particolare vicinanza ad alcune sensibilità atee ed eretiche, a queste figure oscure e maledette del pensiero e dell’arte.
Questa mia volontà forse nasceva da un desiderio di redenzione, era come vano tentativo di salvare questi personalità dalla caduta e dal quel precipizio che costava loro l’eternità felice. Così cercavo di bloccare quei figli perduti della memoria per riportarli a Dio.
Prisco De Vivo, 3 Sentieri sul lago
(Omaggio ad Ingeborg Bachmann) 2008
La parte opposta
La parola ai poeti. Prisco De Vivo
Dare la parola ai poeti
Poeti animali parlanti
sciagurano in bellezza versi
profumati – nessuno li legge,
nessuno li ascolta. Gridano
nel deserto la loro legge di gravità.
Dario Bellezza
«Dare la parola ai poeti è come darla ai vagabondi, ai santi, ai profeti, ai pazzi, ai fragili, ai dissidenti, ai santi». Me lo disse un anziano poeta del Nord Italia, di cui adesso non ricordo più il nome, tempo fa, in una stazione ferroviaria desolata, fuori una nebbia fitta.
Più recentemente, mi è capitato di scrivere un testo, Dello scrivere di me stesso e dei poeti:
I poeti feriscono e sono feriti, quindi sono in pericolo. Essi sono chiamati
alla salvezza solo quando fanno poesia. La poesia in fondo non esiste,
esistono solo i poeti: quindi salviamo i poeti. Ma da chi e da che cosa?
Ancora non so da chi… o da che cosa. Ma a ragione, William Blake diceva che «eterno corpo dell’uomo è l’immaginazione», e poeta è chi si eterna attraverso la propria immaginazione. Anche a me, sin da bambino, compagna e sorella, di cui ne ho amorosamente coltivato la radice. Perché radice delle cose è l’immaginazione. Continua a leggere
Il discepolo che amava
La parola ai poeti. Alfonso Maria Petrosino
La Musa entra senza bussare
e ti amputa il cuore
e al posto del cuore
trapianta una corda vocale.
Ars poetica, II
La poesia perfetta:
la Musa
ti usa
e ti getta.
Ars poetica, III
La Musa ti seduce
con dei sottili incanti
e ti riduce a sé
(e il sesso, oh sì, è sublime);
fate al più presto il test
(o forse, meglio, il testo)
di gravidanza e se
lei è rimasta incinta
e poi viene alla luce
la prole di parole
(fantastico anche questo),
di immagini e di rime,
non datevene vanto:
mater semper certa est,
il padre mica tanto.
Circolazione
Quattro poesie di Roland Orcsik
Quattro poesie di Roland Orcsik
Traduzione dalla versione inglese di Giovanni Agnoloni
Roland Orcsik, di cui qui sotto potete trovare quattro poesie da me tradotte, tratte da una silloge in lingua inglese, croata e ungherese, è nato a Becse (Serbia) nel 1975. Dal 1992 vive a Szeged (Ungheria). Insegna all’Università di Szeged presso l’Istituto di Studi di Slavistica. Fa parte della redazione del mensile letterario ungherese Tiszatáj. Scrive poesia e critica letteraria e traduce in ungherese da diverse lingue dell’area ex-jugoslava. La sua ricerca accademica si concentra appunto sulle connessioni tra la cultura magiara e quella dell’ex-Jugoslavia.
Finora ha pubblicato cinque volumi di poesia, e il suo libro Mahler downloaded è stato pubblicato anche in serbo. Il suo primo romanzo è uscito nel 2016 col titolo di Phantomcommando (pubblicato anche in rumeno nel 2018 e in serbo nel 2019). Ha vinto prestigiosi premi letterari per le sue opere, che sono state tradotte in ceco, inglese, francese, croato, tedesco, greco, rumeno, sloveno, francese e serbo. Suona in una band di punk psichedelico di nome Lajka.
Una nota personale. Ho conosciuto Roland e la sua famiglia nel 2014 durante una residenza letteraria in Croazia, presso Zvona i Nari. Nel giugno 2023, poi, al termine di un’altra mia residenza letteraria in Ungheria (a Pécs, tramite lo Hungarian Writers’ Residence Program), ci siamo ritrovati nella sua città, Szeged, dove abbiamo tenuto un reading da lui organizzato in un bel caffè letterario, con la partecipazione della poetessa Orsolya Bencsik.
Seguono le quattro poesie.
Una storia d’amore
Massimo Morasso, Frammenti di nobili cose
di Francesco Macciò
Massimo Morasso, Frammenti di nobili cose, Passigli, Firenze 2023, pp. 120, 14,50 euro.
L’opera poetica di Morasso si configura in un corpus ampio e complesso, articolato sostanzialmente in due cicli, due facce che si rispecchiano l’una nell’altra, dove la voce dell’autore si sfrangia in altre voci di cui essa si fa mediatrice, come indica il titolo Il Portavoce assegnato complessivamente a questo primo ciclo (1995-2006), per ricomporsi in unità, dopo il necessario attraversamento nell’altro che è al contempo percorso di ricerca, dilatazione degli spazi poematici e affinamento dei mezzi espressivi, con la messinscena del proprio io, della propria voce.
È quanto possiamo cogliere, a conclusione di questo lungo processo di rispecchiamento e a certificazione di una irrinunciabile caccia spirituale, nel libro L’opera in rosso (Passigli 2016), che introduce l’io – lirico ed empirico – ridestandolo e ridefinendolo fin dall’incipit nella sua centralità (dopo la cesura del quinario e in punta all’endecasillabo allineati come membri di un verso composto): “Davanti al Mac, io sono un amanuense medievale”. Qui, già marcatamente in questo verso proemiale e più diffusamente nella raccolta che precede e in qualche modo prepara la stesura di Frammenti di nobili cose, si annunciano, investiti di responsabilità, alcuni decisivi aspetti della poetica attuale di Morasso. Anzitutto, il consegnarsi alla scrittura: l’efficace cortocircuito che antifrasticamente mescola la sofisticata tecnologia del computer – anche come indicazione di una presenza hic et nunc del poeta alla realtà odierna – a una cura artigianale della parola; e poi, significativamente, l’anelito a un’oltranza nell’effetto alone che l’estensione semantica del termine “amanuense” reca con sé. Continua a leggere
20 righe (per niente) facili
di Pasquale Vitagliano
Inizio a leggere La comunità dei viventi (Editrice Clinamen, 2023) di Idolo Hoxhvogli e mi trovo di fronte ad un mistero? Cosa sto leggendo? Non è una raccolta di poesia, per la precisione, di poesia in prosa; non è una raccolta di aforismi; non è un saggio filosofico, anche se si avvicina alla struttura pascaliana dei Pensieri. Cos’è allora? Il potere per conquistare l’uomo legge di fronte a lui un testo. Il punto decisivo del testo è la nascita del potere, scrive Idolo al numero 14. Ecco, una possibile rotta. Questo libro è un protocollo di esercizi contro il potere. E’ un dispositivo che persegue il disegno di proporre a noi viventi “un compito infinito chiamato libertà”. Per costruire questa comunità bisogna destrutturare i segni e compiere atti di forza. La libertà combatte contro l’organizzazione linguistica del sacro, quale paradigma del dominio. La salvezza è in esilio dal nome. La libertà non è mai un diritto acquisito ma un atto di forza contro la formattazione securitaria.
La sorgente
La parola ai poeti. Grazia Frisina
Il mio scrivere poesia non è un’attività continuativa; attraversa periodi di stasi, di lunghe pause e silenzi. Potrei paragonarlo a un campo lasciato a maggese: quando la terra riposa, tutta in sé concentrata, quasi che fosse sigillata, in una sospensione dal tempo, in una chiostra d’inermità. Là, tra le zolle, cova un abbandono, che in parte è morte ma anche un sedimentare di oscure, microscopiche sostanze in attesa di tramutarsi in qualcosa d’insperato. Nella profondità del campo c’è una sorta di fucina, c’è fermentazione, una spinta che porterà forse, a nascite, a fioriture, a rinascite. Dalla mia mente, da questa terra, a tratti dura, selvatica, aggrovigliata, a tratti molle, cedevole, addomesticata, può succedere, soprattutto nei dormiveglia, che fuoriescano fili d’erba, polloni inattesi, attimi d’un improvviso kairòs. Continua a leggere
La vera bellezza
Luigi Maria Corsanico legge Pablo Neruda. 21
Dal prossimo romanzo
C’era il problema di una goccia che cadeva con regolarità dallo sciacquone: prima lentamente, poi sempre più veloce. Avevo chiesto più volte all’operaio del Santuario se potesse intervenire, ma diceva di essere occupato in lavori straordinari. Così quella goccia diventava una compagna quotidiana, come stesse lì per ricordare qualcosa: il tempo che scorreva sempre più veloce verso lo scioglimento di ogni nodo, la catastrofe preparata a goccia a goccia, giorno dopo giorno, con la menzogna ripetuta, le giustificazioni inaffidabili, le mille deviazioni possibili dalla Via che è Cristo. Capivo come fosse un segnale necessario per il mondo, e mi adeguavo volentieri al fatto che l’operaio trovasse ogni volta una scusa fantasiosa. Quando Dio vuole parlarti, è un richiamo costante, regolare. Se fa ancora un tentativo, prima dell’apocalisse, non teme di rompere il silenzio. Non si addormenta, non prende sonno il Custode d’Israele.
La parola ai poeti. Anila Anxhari
Perché non scrivi dei tuoi primi passi nella letteratura italiana, mi chiedono. Premetto che scrivo poesia da quando avevo nove anni. Il mio primo poemetto, scritto in lingua madre albanese, a quattro mani con un’amica, era una lode al dittatore Enver Hoxha. Poi i miei temi in classe erano emblematici, piacevano più ai miei compagni che agli insegnanti. Scrivi strano, mi dicevano. Di nascosto è capitato di infilarmi nell’esame di stato di letteratura delle amiche, pur avendo meno anni, di svolgere il tema per loro. Il mio era un richiamo primordiale, una vocina interiore che mi faceva dire, mi piace la poesia. I soldi che mi toccavano per un gelato li spendevo in libreria, a comperare libri di poesia. Poesia che non mi piaceva, era “il realismo socialista” e io avevo 10/ 11 anni. Avevo letto tutti i libri della biblioteca della città di Durazzo e tutti i libri delle biblioteche personali, di tutti gli abitanti del palazzo, dove vivevo. Continua a leggere
NEI LAGER DI IERI… E NEI LAGER DI OGGI
NEI LAGER DI IERI… E NEI LAGER DI OGGI
di Fabiano D’Arrigo
Ho avuto la possibilità d’andare in mezzo e attraverso i drammi della storia del Novecento,
percorrendo un lungo itinerario che da Sant’Anna di Stazzema porta al lager della Risiera di San Sabba, al lager di Auschwitz-Birkenau e arriva al gulag delle isole Solovki: i lager di ieri.
L’itinerario potrebbe idealmente proseguire nei lager di oggi: il campo n. 14, la colonia penale IK 3, i centri di detenzione libici.