Archivi categoria: Racconti

La signora Flaminia

di Kika Bohr

Un’apparizione nel corridoio piuttosto buio del nostro terzo piano di via Cirillo: la nostra vicina Flaminia. Il suono strascicato delle pantofole e i movimenti lenti di una persona molto robusta che camminava a fatica aiutandosi con un bastone. E improvvisamente nella luce del pianerottolo un viso tondeggiante con un sorrisetto un po’ malizioso dietro occhiali neri assai spessi. Poi, dopo essersi fermata per un istante, ci salutava con la voce roca e con un bel sorriso in gran parte sdentato. Le sue passeggiate giornaliere si erano ridotte a quel corridoio che portava da casa sua al servizio igienico comune dove vuotava il suo pitale. Le mie figlie all’inizio ne avevano una gran paura e anche anni dopo non riuscirono mai a entrare completamente in confidenza con lei, sembrava troppo una strega, molto di più della signora Adele che a volte portava foulard e chignon di capelli bianchi. Lei i capelli, li portava corti, ricci e nerissimi. Sicuramente era abbastanza anziana: aveva una figlia che veniva spesso a prendere il the con lei e un nipote già al lavoro. I componenti di quella famiglia erano allegri, ogni tanto sentivo belle risate venire dal loro bilocale in fondo al corridoio. Usavano metafore popolari come “vado a fare una telefonata” per dire che andavano ai servizi. Continua a leggere

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Dal prossimo romanzo


C’era il problema di una goccia che cadeva con regolarità dallo sciacquone: prima lentamente, poi sempre più veloce. Avevo chiesto più volte all’operaio del Santuario se potesse intervenire, ma diceva di essere occupato in lavori straordinari. Così quella goccia diventava una compagna quotidiana, come stesse lì per ricordare qualcosa: il tempo che scorreva sempre più veloce verso lo scioglimento di ogni nodo, la catastrofe preparata a goccia a goccia, giorno dopo giorno, con la menzogna ripetuta, le giustificazioni inaffidabili, le mille deviazioni possibili dalla Via che è Cristo. Capivo come fosse un segnale necessario per il mondo, e mi adeguavo volentieri al fatto che l’operaio trovasse ogni volta una scusa fantasiosa. Quando Dio vuole parlarti, è un richiamo costante, regolare. Se fa ancora un tentativo, prima dell’apocalisse, non teme di rompere il silenzio. Non si addormenta, non prende sonno il Custode d’Israele.




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Ottavo piano, Ematologia

di Alida Airaghi

Parcheggio la Polo cercando di intuire alla meglio dove si trovino le strisce bianche per terra.
È scuro, ormai, da più di un’ora, e l’aria brumosa della bassa confonde le poche luci dei lampioni coi fanali delle auto. Scendo dalla macchina per controllare se le ruote siano entro i limiti prescritti.
«Ciao» mi fa la voce del tunisino che ogni volta sbuca dal niente a offrirmi i suoi accendini.
«Buon Natale» sorride con tutti i suoi candidissimi denti, scuote il berretto di lana rosso.
«Anche a te» rispondo, e mi cerco nella tasca del cappotto le solite mille lire.
«Non torni a casa per Natale?» gli chiedo, e mi sento subito cretina; chissà se festeggia il Natale in Tunisia e lui, cosa mai dovrebbe festeggiare, poi…
«Dove casa? Dove casa?» ripete sorridendo.
Gli faccio un cenno, che vorrebbe essere di scusa, non solo per la mia stupidità, ma per tutto.
Capisce, sembra voglia suggerirmi che anch’io, forse, non sto tanto meglio di lui.
Passo davanti alla cabina telefonica dove di notte va a dormire: a fianco, per terra, c’è la sua borsa e una coperta.
Attraverso il piazzale deserto, poche sono le automobili in sosta; è una sera particolare, molti malati, quelli meno gravi, sono stati dimessi.
L’atrio dell’ospedale è un po’ più animato: una zingara s’è seduta proprio davanti al presepe e alla cassetta delle offerte, quasi a raddoppiare l’imbarazzo di chi volesse rendere omaggio alla Natività.
Ha anche lei il suo Gesù Bambino in braccio, biondo come nei quadri delle chiese, sporco e addormentato. Continua a leggere

La Signora Adele

di Kika Bohr
Questa mattina, camminando al parco tra le foglie secche, guardando le meravigliose chiome gialle dei tigli e rosse degli aceri e i rami spogli che spuntano sopra il fogliame, mi sono sentita propensa ad evocare ricordi belli. E improvvisamente mi è venuta in mente la Signora Adele: “Adeladle” come la chiamava la bambina del primo piano. La nostra vicina di pianerottolo Salvagni Adele come stava scritto sulla casella delle lettere. Sulla sua porta in fondo al ballatoio invece non c’era scritto nulla, non c’era il campanello, le persiane sempre chiuse erano foderate con carta di giornale. Per salutarla quand’era in casa si doveva bussare forte perché era un po’ sorda. Ma non era spesso in casa perché andava al parco con la sua borsetta nera, un po’ di rossetto rosa e un cappello di lana a turbante grigio, e si sedeva a guardare la gente che passava. Continua a leggere

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“Breve amore”, un racconto di Károly Méhes

Károly Méhes (1965) è nato a Pécs, nella parte meridionale dell’Ungheria. La sua carriera letteraria è iniziata nel 1991 in campo poetico, mentre in seguito è passato ai racconti e ai romanzi. Fino ad oggi ha pubblicato ventuno libri, parallelamente al suo secondo lavoro come giornalista e autore esperto di Formula 1.

Nel 2007, insieme a sua moglie Enik? Kulcsár, ha fondato il “Pécs Writers Program”, oggi parte dello “Hungarian Residence Program”.

Breve amore

di Károly Méhes

(traduzione dall’inglese di Giovanni Agnoloni)

Domenica mattina, il direttore del villaggio turistico venne al nostro tavolo indossando una giacca a quadri e una cravatta, nonostante il caldo soffocante. Su cinque delle sue nove dita luccicavano anelli con pietre di varie dimensioni. Torcendosi le mani, si rivolse a noi – be’, devo correggermi: ad Anyuka – in tono rispettosissimo, chiedendoci se potesse far accomodare in nostra compagnia altri due ospiti che erano inaspettatamente arrivati in quel momento.

Anyuka mi guardò leggermente spaventata, ma io evitai di ricambiare la sua occhiata, per poi ascoltarla mentre rispondeva di sì a bassa voce. Credo che non riuscisse mai a contraddire un uomo in giacca e cravatta. Apuka si vestiva sempre in quel modo. Anche quando guardava le partite di calcio, lui era costantemente “in servizio”, perché un uomo, a suo giudizio, doveva essere sempre pronto per eventuali chiamate, se voleva raggiungere dei risultati. Con quell’atteggiamento, finiva che Apuka veniva ininterrottamente sballottato qua e là dagli altri.

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Clinicamente vivo     

di Riccardo Ferrazzi

Pomiciarono anche alla stazione, incapaci di staccarsi uno dall’altra. Sul treno mostrarono i documenti ai doganieri continuando a guardarsi in viso, come se si scoprissero in ogni momento per la prima volta. Erano universitari che rientravano da una vacanza clandestina.
“Confessa: non ti sei mai divertito tanto.”
Baci, mani sotto le felpe, brevi pause per calmare i bollori. Tra Arnhem e Francoforte lei gli chiese sottovoce:
“Piaciuta l’erba? Valeva la spesa, no?”
Lui scosse la testa. Lei gli mostrò la lingua.
“Va’ là che tra dieci anni sarai uno stimato professionista.”
Lo pizzicò sulle maniglie dell’amore.
“E sarai ancora più grasso.”
A Basilea lui voleva comprare un hot dog. Scoprì di non avere neanche un quattrino. Era convinto di averne ancora, ma il portafogli era vuoto. Tornarono nello scompartimento e non si baciarono più. Continua a leggere

Il fiume e il tempo


di Marcello Comitini

Ricordo tutto della strada percorsa. Ma non ricordo come sia finito sulla sponda di questo fiume in un territorio assolutamente verde. Un verde che luccica di foglie e erbe, tanto fitte le une, tanto alte le altre, insieme a formare una stanza sconfinata con un grande balcone spalancato su un orizzonte verde che ondeggia al fiato dolce del vento. Continua a leggere

Diario di un avvocato di provincia

 

Ius est ars boni et aequi

                                                                                      (Celso, II secolo d.C.)

(A Lola,

mia amorevole compagna di vita)

Introduzione

*   *   *

Eravamo riuniti nella sala curatori del Tribunale … Eh va bè, lo so, ricorda l’inizio di Madame Bovary, ma che ci posso fare, eravamo riuniti lì …  Dicevo, eravamo riuniti nella sala curatori del Tribunale. C’era il Presidente della sezione, in piedi accanto al cancelliere che sedeva alla sua scrivania, davanti al computer. Era un martedì, giornata di ricevimento dei magistrati. Fu un incontro spontaneo, improvvisato, nato da una discussione intorno a una delle ultime, indesiderate riforme legislative. Anch’io ero lì, nascosto, incerto, quale giovane curatore beneficiato di alcuni incarichi minori, per farmi le ossa, nella speranza un giorno di entrare a far parte del gotha dei curatori fallimentari, di quelli cioè destinatari di liquidazioni a cinque zeri. I colleghi avvocati, e i commercialisti, si accalcavano nella stanza: il Presidente aveva preso la parola e bisognava farsi notare. Io invece mi nascondevo sempre di più, timoroso di incrociare gli sguardi degli altri giudici delegati, nel frattempo intervenuti, e di essere coinvolto in una discussione che aveva raggiunto il livello di un convegno, di un corso di alta formazione professionale; il che mi avrebbe creato molto imbarazzo e avrebbe turbato la mia serenità, già minacciata da quell’evento inatteso.

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La signora delle mosche

Il diario di una convivenza inaspettata
Di Monica Mazzitelli

1.
Agosto 2022

Da quando siamo tornati dalle vacanze ci sono tre mosche in casa. Abbiamo provato in vari modi a farle uscire – come sempre facciamo con gli insetti intrappolati tra le nostre mura – ma stavolta non c’è stato verso anzi: non appena apriamo le finestre, loro si rincantucciano qualche metro distante.
Sono tre. Due di grandezza normale e una di taglia piccola. All’inizio pensavo che La Piccola sarebbe cresciuta e diventata come le altre due, nella mia assoluta ignoranza di entomologia, ma poi ho capito che quella era la sua misura, e che sarebbe rimasta tale. La Piccola abita nella nostra cucina, insieme alla Grande Uno. Pensavo fossero mamma e figlia, finché non ho capito che anche La Piccola era adulta. Spesso sono vicine, non paiono essere in competizione. Continua a leggere

“Le partenze” di Mauro Germani

Le partenze

di Mauro Germani

C’è una stazione dove i treni, quando partono, partono a sorpresa. Gli orari sono rigorosamente segreti e le tabelle di marcia vengono compilate secondo criteri sconosciuti e che, nella maggior parte dei casi, sfuggono al normale buon senso.

Le autorità preposte svolgono una vigilanza assai severa affinché nulla venga fatto trapelare.

Gli studi clandestini, che sono stati di volta in volta intrapresi per tentare di comprendere gli oscuri principi che regolano le partenze, non hanno avuto – sino ad oggi – esito alcuno. Proprio per questa ragione, c’è chi afferma che in realtà tutto dipende dal caso e che ogni giorno verrebbero sorteggiati dei bigliettini coi numeri dei treni e i nomi delle rispettive destinazioni.

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Su “Sogni del fiume” di Chandra Candiani

Il fantastico poetico nei Sogni del fiume di Chandra Candiani
di Giorgio Morale

Sogni del fiume è il titolo della raccolta di quindici racconti di Chandra Candiani appena pubblicata da Einaudi, con una bellissima copertina e bellissimi disegni di Rossana Bossù. Per chi conosce la poesia di Chandra Candiani (Io con vestito leggero, Campanotto 2005; La bambina pugile, Einaudi 2014; Bevendo il tè con i morti, Interlinea 2015; Fatti vivo, Einaudi 2017; Vista dalla luna, Salani 2019; La domanda della sete, Einaudi 2020), questi racconti presentano attraverso figure e azioni le stesse emozioni e lo stesso mondo della sua poesia. Continua a leggere

“Libertà” di Beatrice Fiaschi

Un racconto di Beatrice Fiaschi.

LIBERTÀ

Nel nero della notte, a una a una, si accendono sette piccole luci.
Il mio respiro è il loro interruttore: click e un globo caldo, mulinando nelle tenebre, ricava la sua nicchia di fulgore e illumina la notte sin dentro le sue più segrete viscere oniriche.
Quei piccoli globi potrebbero essere lucciole, almeno basandomi su quel vago ricordo che ne conservo di quando ero bambina e mi era concesso attraversare prati e cieli sterrati solo con lo sguardo, dal lucernario della mansarda, sdraiata sul letto della mia cameretta.
La mia fantasia aveva finito con l’assumere la forma squadrata del finestrone, la direzione obliqua del sottotetto e la voce insopportabile della solitudine. Tuttavia è stata l’unica strada attraverso la quale ho da sempre potuto accedere a quella porzione di cielo sopra di me, un mistero che solo con le parole avrei potuto dirimere: le stelle – all’apparenza vicine al punto da poterci scrivere una storia d’amore – erano in realtà distanti anni luce tra loro. Eppure creavano figure, frasi, disegni. Continua a leggere

Chandra Candiani a Milano con i “Sogni del fiume”

Il 15 settembre alle ore 21 nel cortile interno di Palazzo Reale a Milano lettura di fiabe da Sogni del fiume (Einaudi 2022, con illustrazioni di Rossana Bassù) di Chandra Candiani in dialogo con i canti di Francesco Occhetto. Continua a leggere

Chandra Candiani, Sogni del fiume

E’ in libreria da oggi Sogni del fiume di Chandra Candiani. Quindici storie che formano un’educazione sentimentale e ci parlano di solitudine e fame d’amore. Di vita che scorre incessante. Con illustrazioni di Rossana Bossù. In attesa di parlarne diffusamente, propongo un brano dall’Introduzione dell’autrice e auguro buon viaggio a questi Sogni! Continua a leggere

Lo spazio perfetto, di Raffaela Fazio

Dopo il lavoro, il venerdì, Francis non si univa mai ai colleghi. Aveva un’unica voglia: far girare la chiave nella serratura e chiudersi la porta alle spalle.

Anche quella sera. Entrò in casa, si spogliò, portò la posta nello studio. Con le dita tamburellò sulla parete, per sentirne la diversa risonanza. Dietro al muro c’era un’intercapedine che lo faceva suonare a vuoto in alcuni punti. Lui e suo fratello, da piccoli, si inventavano storie sulle anime che sarebbero rimaste prigioniere in quell’interstizio e non sarebbero più uscite. “Promettimi che non mi lascerai mai da solo se un giorno mi dovessi perdere nel vuoto tra i muri!” gli aveva detto ridendo Dorian. Continua a leggere

Ritratti femminili

di Kika Bohr

Ritratti femminili

Questa galleria di ritratti di ragazze e di donne che sono state assunte a servizio da mio nonno Paul a Ginevra, è il frutto di racconti che mi sono stati fatti da mia madre Chris. Per chiarezza vi dirò che la famiglia era così composta: Nonno Paul (separato, molto occupato col suo negozio, una parafarmacia), J.P. il figlio maggiore (fino alla maturità messo a studiare in collegio, poi diventato farmacista), mia zia Mo (poi diventata fisioterapista) e Chris. Mia nonna Al non era con loro perché separata, e in quegli anni le donne che avevano “abbandonato il tetto coniugale” non avevano pressoché nessun diritto. Ma torniamo a ricordare questa serie di persone che per quasi due decenni hanno svolto il ruolo di governanti, cuoche, donne-tutto-fare, a volte di sorelle maggiori. Come nella bella canzone di Stromae, Santé, in cui il famoso cantante belga brinda a tutte le persone che non possono farlo, io qui vorrei ringraziarle tutte e immaginarle con dei quadri che fanno parte del nostro immaginario collettivo.

ÉMILIE era giovane e robusta. Quando, carponi, stendeva la cera sul pavimento, permetteva alle bambine di salirle in groppa. (La possiamo immaginare come una bellezza alla Renoir). Continua a leggere

Il 2021 edulcorato

di Abramo Matteoli

Plop!

Stappo una bottiglia, me ne verso un po’. Mentre le bollicine chiare iniziano a percorrere il calice penso che è proprio una bella occasione. Poi, tutto sommato, me lo merito proprio.

«Per cosa beviamo?» chiede, giustamente, la voce fuori campo.

«All’anno nuovo. Brindiamo all’anno nuovo» rispondo io; potrei sembrare in ritardo, ma non lo sono per niente. Gennaio è un mese di uggiosa nostalgia, troppa per esser considerato incipit di un nuovo tempo. Gennaio è la pagina bianca che si frappone tra i capitoli di un libro, quella che ci permette di respirare, mentre sbagliamo a scrivere la data e ci permettiamo una finestra di distrazione. Si, gennaio è proprio affollato, c’è troppo su cui riflettere, troppo da promettersi, un freddo cane, e il calciomercato – come se non bastasse.

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Cari maestri, cari professori. Ricordi di scuola di un insegnante. [Puntata 2/2]

Cari maestri, cari professori. Ricordi di scuola di un insegnante. [Puntata 2/2]

di Gustavo Micheletti

Al liceo

A liceo-ginnasio Niccolò Machiavelli di Lucca il primo ricordo va alla professoressa Ragone, che era simpatica, tutta ingioiellata e con bel sorriso sfolgorante di rossetto. Con il mio compagno di banco, proprio davanti a lei, in prima fila, parlavamo spesso di politica e d’imminenti rivoluzioni. Lei era abbastanza comprensiva e ogni tanto pareva ci ascoltasse anche mentre spiegava. Poi all’improvviso ci diceva un po’ spazientita di smettere, ma non sembrava troppo convinta, e infatti dopo un po’ si continuava.

Sempre al ginnasio un incontro importante fu quello con Don Mattioli, un vero teologo, profondo e dialogico, una persona di grande temperamento e con uno sguardo giovane e vivace, nonostante avesse già una certa età. Aveva fama d’essere stato molto bello e d’aver fatto innamorare in gioventù diverse ragazze. Un giorno ci spiegò che l’essere prete non era in contrasto con l’essere uomo e che anzi aveva un senso proprio in quanto uno non smetteva di essere uomo. Un’altra volta ci confessò che si commuoveva ascoltando le arie di Puccini. Aveva una voce calda e gesticolava bene, lanciando occhiate acute e remote verso la luce che entrava dalle finestre, e ogni tanto si rimaneva a parlare di Dio e del male fuori della scuola. Sapeva ascoltare. Un giorno, nell’atrio, durante la ricreazione, mi chiese all’improvviso perché sembrassi un ragazzo più grande della mia età, e non seppi rispondere, ma mi sentii più vecchio del solito.

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Cari maestri, cari professori. Ricordi di scuola di un insegnante. [Puntata 1/2]

Cari maestri, cari professori. Ricordi di scuola di un insegnante 

di Gustavo Micheletti

Arriva l’1 lungo e secco, poi il 2 con le ciabatte, sembra il 3 un bel gobbetto, e il 4 una seggiolina, pare il 5 un’orecchietta, e il 6 ha un gran pancione… così recitava il sussidiario, e cosi appresi a scuola i primi numeri. Probabilmente tutti abbiamo dei ricordi della scuola: ricordi radi e irregolari, nitidi o vaghi, gioiosi e dolorosi. E tra questi ricordi ci sono quelli degli insegnanti, dato che certe impressioni legate ai più significativi ci accompagnano poi per tutta la vita.

Quel tipo di scuola che io ricordo non esiste più. In quella scuola erano davvero importanti poche cose, che solo in piccola parte si potevano insegnare: l’avere a cuore i propri studenti e amare le proprie discipline, non stancarsi di voler conoscere sempre meglio entrambi e il desiderio di riuscire a trasmettere ai primi il proprio amore per le seconde. Ma ancora oggi, nonostante i molti cambiamenti, tra le persone decisive che si possono incontrare nella vita ci sono i propri insegnanti. A volte maestri di vita, altre volte figure che turbano ancora i nostri sogni, educatori illuminanti o sadici diseducatori, talora ombre fluttuanti e sbiadite, non esiste probabilmente vita che non risenta più o meno marcatamente della loro influenza. Parlare di quelli che hanno inciso sulla nostra esistenza in maniera positiva è un modo di ricordarli, un modo per manifestare loro, anche a distanza di molti anni, una sincera gratitudine, e non parlare di altri una forma di pietà.

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