Archivio mensile:Febbraio 2024

La parola ai poeti. Nadia Chiaverini

Gent.mo Fabrizio

ti invio alcune  poesie dal mio ultimo libro “Sull’orlo della gioia” Terra d’ulivi edizioni 2022 ed un paio inedite.

Ho incontrato la poesia già da adulta,  nell’età di mezzo, (che è stato il titolo della mia prima silloge, pubblicata nel 2004) , mi ci sono affacciata  in punta di piedi,  poi tutto è stato una scoperta, uno studio, una necessità , trovare nel linguaggio poetico un altro sguardo su noi stessi e sul mondo. Una poesia “onesta”, che affronta un percorso  interiore in verticale,  profondo, sulla psiche, sull’ombra per arrivare ad una consapevolezza di sé, ma  anche un ponte di ascolto e incontro con l’altro. E’ una ricerca non priva di lacerazioni, di mancanze, in questo percorso labirintico intriso di memorie ancestrali, contaminazioni,  perché “il buio è necessario e il nulla non esiste”  Continua a leggere

La parola ai poeti. Tommaso Meozzi

Cos’è la poesia, per me, ormai non lo so più. Ricordo però cos’era, o meglio, ricordo i primi versi che ho scritto: “meravigliosa assenza/ ecco, io ti prenderò per mano, e poi sarò ricordo./ Come un fiore non colto/ e il prodigio presso quel fiore”. Aveva dunque a che fare con un’assenza. Avevo sedici anni, e io sentivo questa assenza che apriva in me un vuoto, e anche un senso di infinito. Era lo stupore, di fronte all’infinito del desiderio che in me scoprivo? Era il tendere verso una mano paterna, rassicurante? Era la linea del viso di mia madre, come nelle scene iniziali di Persona di Bergman?
E insomma io scrivevo i miei versi su fogli bianchi, poi sul computer, e sognavo di distribuire questi fogli agli amici, ai vicini di casa – un po’ lo facevo anche – inondando tutti con la luce della mia “meravigliosa assenza”.>Mi sembrava che tutti dovessero ascoltarmi, che io fossi il profeta dell’assenza/essenza, mentre gli altri si affaccendavano con cose inutili perché non vedevano. Ricordo che una volta mia nonna aveva una badante che casualmente venne a sapere delle prime poesie che avevo pubblicato, probabilmente La superficie del giorno (2010). Le chiesi se lei scriveva mai poesie. Era una persona dolce, e allo stesso tempo composta, forte. Mi rispose: “No, sai, la vita ha più a che fare con la prosa.“ Questa frase allora mi sembrò l’ennesima conferma della mia superiorità emotiva e intellettuale, anche se in quella voce c’erano una forza e una tranquillità che toccarono qualcosa dentro di me. Continua a leggere

La parola ai poeti. Marina Gogu Grigorivna

[Il testo non è stato sottoposto a revisione]

idea di poesia per qualsivoglia giornale o intervista 

“All passports”: non so se avete mai indugiato di fronte a delle scritte doganali, ma ecco io certune li ho proprio interrogate; se dovessi dire qualcosa di fermo sulla mia poetica – ecco, ciò che succede in quel instante: “tutti passaporti alcuni passaporti…” la narrativa del incasellamento, l’ho si è dovuto subire é il numerare degli eventi e nell’ momenti instabili delle loro ipotetiche varianti; si direbbe elencare andandosene a capo piuttosto che viverle, cioè risolvere(?!); tuttavia nel mio caso l’insofferenza al designato ortografico- (e sintomatico del come esso) non ha resistito al reale, spiace ma le pressioni consumistiche/capitalistiche ha smashiato il tempo di dedica implicito. Vedere di conseguenza il riformista nei miei versi scritti in Italiano(?), e percepire come incomprensibili è normale e il classico atteggiamento di fronte all’ ibrido; poiché questo considerò sia il corpus linguistico che vengo ad adoperare.  Continua a leggere

L’arte che insegna

Ama il prossimo tuo come te stesso: non è facile, anche perché Gesù ci ricorda che nel prossimo c’è Lui. Il passaggio decisivo è in questa fede nell’Altro, che si fa altro per amore. L’arte che insegna è una vista più profonda, che vede la bellezza oltre i guasti del tempo e dell’incuria.

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La parola ai poeti. Giulio Mazzali

“Cos’è la poesia, e come nasce un tuo testo?”. Mi è capitato spesso, durante incontri e presentazioni, di ascoltare domande simili. Risposta? Ammessa l’impossibilità di proporre una definizione univoca di cosa sia poesia, l’autore di turno chiarisce di poter parlare solo di “sé”, della sua esperienza compositiva, di cosa la poesia abbia rappresentato e continui a rappresentare per la sua storia personale. Dramma della “lirica” direbbero i più esperti, e certamente non nuovo. 

      “La poesia è poesia quando porta con sé un segreto”, confessa in un’intervista del 1961 Giuseppe Ungaretti, che messo alle strette sui meccanismi soliti di composizione, ammette sospirando che “si fa poesia non pensandoci, perché occorre farla”; un’idea giunta inaspettata ci tormenta, spinge a un lavoro di scrittura e riscrittura che varia da caso a caso in base a logiche ora di suono ora di significato. Ma anche Ungaretti sull’origine dell’atto poetico è chiaro: se la poesia (intesa come lirica) è sforzo compiuto dal soggetto per esprimere i propri sentimenti, essa dipende dalla “fantasia” e dal “momento storico” di composizione. Scrivere poesia è fare esperienza di sé, relazionarsi al mondo consapevoli che il rapporto con la realtà (fortemente connotata da eventi di diversa natura) non consente solo una conoscenza “oggettiva”, ma permette di scoprire qualcosa di più profondo e altrimenti sconosciuto.  Continua a leggere

Gesti

Ci sono cose che a Gesù fanno piacere. La vita si arricchisce di piccoli atti di assoluta gratuità, fatti solo per questo. L’amore cresce con gesti che sembrano superflui, eppure riempiono il cuore.

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Intervista a Nadia Scappini

di Luca Pizzolitto

1) “sul fianco del mattino” è un’autoantologia di poesie che hai scritto negli ultimi vent’anni, tra il 2003 e il 2023. La tua scrittura, immagino che in questo tempo sia cambiata: come trovi si sia evoluta la tua voce poetica nel tempo?

Gli ultimi vent’anni che sono anche i primi, però. Scherzando, ma nemmeno tanto, sono solita dire che sono una primipara attempata, perché ho iniziato a scrivere dopo i cinquant’anni. La pulsione di qualcosa attinente a una zona misteriosa della coscienza ha sempre covato dentro di me, ma sembrava essersi esaurita tra le pagine di un elegante quaderno, foderato di tessuto blu a fiorellini, che custodiva una serie di poesie cariche di emozioni adolescenziali e di interrogativi sulla vita.  La svolta, nei primi anni del duemila, quando un fiume in piena che premeva da tempo ruppe gli argini e, per alcuni giorni di seguito, all’ombra delle robinie e accompagnata dal canto delle cicale, mi costrinse a scrivere versi in una sorta di trance. Era giugno, mi trovavo in campagna, nella casa dei nonni paterni, dove sono le radici della mia famiglia che improvvisamente e in modo perentorio diventarono anche mie… Compresi così che “non si colmano i vuoti del tempo, illuminarli però fa bene”, come ebbe a scrivere la grandissima filologa, critica letteraria e semiologa Maria Corti. E, in qualche modo, mi sentii liberata da tanti lacciuoli sperimentando la felicità del comporre (Leopardi docet). Sì, la mia voce ha attraversato diverse fasi: vicina al parlato all’inizio, testimoniava la gioia della neofita; decisamente ermetica nel secondo libro; essenziale e più distesa in seguito, fino a diventare canto/narrazione con i dovuti filtri ma anche con il coraggio dell’autobiografia, laddove questa poteva configurarsi come esperienza condivisibile. La poetica, invece, è rimasta la stessa: poesia, preghiera e profezia sono sorelle che ritrovo fedeli complici e compagne nel silenzio e nella solitudine. Perciò, quando scrivo, credo e prego insieme, insomma faccio un atto di fede nella vita.  Continua a leggere

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro

La Visione e l’Ascolto

[Gn 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Mc 9,2-10]

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
All’uomo che ha operato la conversione, che ha riorientato il suo cammino, che si sente parte di una alleanza, viene chiesto di più.
Non basta aver compiuto una scelta, accettato un patto. Ora viene chiesto di esserne all’altezza.
La Legatura di Isacco, come la chiama la tradizione ebraica, o il Sacrificio, come la chiama quella cristiana è l’oltre verso cui siamo chiamati. Continua a leggere

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Ghiannis Ritsos, L’altra città

L’altra città

Esistono molte solitudini intersecate – dice – sopra e sotto ed altre in mezzo; diverse o simili, ineluttabili, imposte

o come scelte, come libere intersecate sempre.

Ma nel profondo, in centro, esiste l’unica solitudine – dice;

una città sorda, quasi sferica, senza alcuna

insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette,

con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta

da bagliori di segnali sconosciuti. In questa città

da anni dimorano i poeti. Camminano senza far rumore, con le mani conserte,

ricordano vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi,

questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati

dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle, inseguiti dalle loro stesse parole, dette o non dette.

“Perfect days” e l’hic et nunc di Wenders

di Michele Nigro

Quand’è che una vita può essere considerata “perfetta”? Quando soddisfa i parametri valutativi di un sistema videocratico-consumistico basati sull’arrivismo, sul potere dell’influencing e sul successo mediatico o quando rispetta un ecosistema interiore costruito lentamente e con pazienza negli anni? Questo film di Wenders, da più parti e a ragione considerato “poetico”, pone al centro di tutto la contrapposizione tra l’affanno di chi programma la vita futura e il carpe diem di chi sceglie di cogliere l’attimo offerto dal “qui e adesso”, senza preoccuparsi di quel che si dovrà fare domani. Continua a leggere

20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Quintuplice ferita non rivendica/ il capo incastonato nel carminio/ d’un vivo, enfisematico suo vanto. Chi pensa che la poesia debba essere facile, stia lontano dall’ultima raccolta di Diego Riccobene, Larvae (Arcipelago Itaca, 2023). La deriva della poesia verso le diabetiche sorprese dei cioccolatini qui è del tutto arginata. Anzi, ci troviamo di fronte ad una convinta restaurazione della parola e della sua complessità. Ma subito mi domando, nella mia costante vigilanza dialettica, fino a quale limite questa difficoltà può spingersi? Ammesso che un limite alla difficoltà debba esserci. Rinsaldo con il malleo,/ incorporando a organici convogli/ le maschere deposte sugli avelli,/ contubernali a incàvo come falde/ di albugine divelta.

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La parola ai poeti. Claudio Pagelli

Brevissima riflessione sulla poesia

Cosa sia la Poesia rimane un mistero.

Scintilla divina? Insopprimibile istinto del cuore? Bellissima finzione?

Conosciamo l’etimologia, “Poesia” significa “creare” e già non è poco.

Conosciamo, bene o male, la storia della Poesia, dalle origini ai giorni nostri.

Conosciamo le strutture, le regole, i versi liberi, gli endecasillabi – in buona sostanza: la forma.

Poi c’è la polpa nuda, quello che conta davvero, insomma – la Poesia in gola, nel sangue, negli occhi di chi la legge, nelle mani di chi la scrive.

Molte definizioni sono state tentate – fra tutte scelgo di citare, facendola in qualche modo mia, quella di Wislawa Szymborska

La Poesia – ma cos’è mai la poesia? Più di una risposta incerta è stata già data in proposito. Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo come alla salvezza di un corrimano.

Claudio Pagelli

La parola ai poeti. Antonio Francesco Perozzi

1.

A una definizione ontologica della poesia, che la stabilisce in essenza, platonicamente, una volta per tutte, preferisco una prospettiva intersoggettiva e pratica. Intersoggettiva: la poesia, la scrittura, esiste all’interno di un sistema di relazioni; i suoi codici, la sua tecnica, la sua pregnanza sono continuamente esposti e ridiscussi. Pratica: mi sento più a mio agio in una dimensione che non postula rigidamente le proprie possibilità e che cerca invece di scoprirsi mentre si fa, che agisce contro-intuitivamente e in una zona di interazione (anche conflitto) tra un progetto a priori (che è, o cerca di essere, anche intellettuale) e un’esplorazione in fieri, aperta. Continua a leggere

Gli interessi della massa


Dimenticarsi di sé: strano che nessuno ricordi il principio più essenziale della vita. Forse perché la macchina infernale del commercio subirebbe un colpo mortale. Forse perché l’amore va in direzione ostinata e contraria rispetto agli interessi della massa.

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Frammenti di Cinema # 73

di Pasquale Vitagliano 

Ci sono due colonne di confine del cinema spaziale. 2001: Odissea nello spazio (1968) prodotto e diretto da Stanley Kubrick (con il suo prototipo Ikarie XB 1 diretto nel 1963 dal ceco Jindrich Polák)  e Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij. Ogni altro film ha puntato al loro vertice di qualità senza mai superarlo. Hanno fornito un canone oscillante tra profezia tecnologica e simbolismo etico. Chi lo ha abbandonato è scivolato verso uno scontato e prevedibile prodotto di genere. Il capolavoro russo è stato seguito dal remake di Steven Soderbergh del 2002 con George Clooney, dandone una versione psicanalitica e bergmaniana. Dieci anni, nel 1977, dopo l’Odissea di Kubrick, Peter Hyams ci racconta con Capricorn One la dietrologia del (presunto) falso allunaggio.

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