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La parola ai poeti. Vincenzo di Maro

Ho iniziato a leggere e scrivere poesia abbastanza precocemente, quando ancora non ero adolescente; sopratutto, in modo del tutto inconsapevole. Il mio apprendistato – se di apprendistato si può parlare – si è svolto in modo del tutto particolare: leggevo molti racconti e romanzi; c’era in me l’idea – anche incoraggiata dagli insegnanti – di voler diventare soprattutto scrittore in prosa. L’esercizio del racconto ha in sé qualcosa di egotistico, ha a che fare con lo scrivere storie in uno stile riconoscibile, personale. Raramente portavo a termine i racconti cominciati: mi venivano incipit che consideravo prodigiosi, ben presto però la vena svaniva. Troppo faticoso, per una mente disordinata come era allora la mia, costruire una storia. Di contro, ogni tanto ero folgorato alla lettura di poesie che ritenevo bellissime, avendo oltretutto l’impressione di non comprenderle appieno. Se ci penso, è ancora questo il compito che assegno a una poesia: quello di aprirci a una dimensione che le parole possono solo suggerire, senza chiarire mai del tutto. Bisognerebbe leggere una poesia con la stessa misteriosa gratitudine con cui si percorre un tratto di strada accanto a uno sconosciuto. Continua a leggere

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La parola ai poeti. Giovanni Bracco

La mia idea di poesia

 

   La mia idea di poesia e il mio modo di fare poesia sono centrati sulla parola. Mi innamoro di una parola o di un verso nel quale le parole sono incastonate come note sul pentagramma. Parola e verso sono musica, ritmo, rappresentazione di realtà e anche di verità ulteriori, scaturite da profondità altrimenti insondabili. Se me ne innamoro, procedo con la scrittura, i cui tempi e i cui esiti sono imprevedibili. Non ho idea di dove andrò a parare mentre scrivo, oppure ho un’idea assai vaga e, qualche volta, fallace. 

   Quando mi chiedono che cos’è la poesia, ricorro sempre ai versi di Giuseppe Ungaretti (Commiato), nei quali mi riconosco: «… poesia / è il mondo, l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento. // Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». Continua a leggere

La parola ai poeti. Rossella Pretto

Nell’ultimo capolavoro di Cormac McCarthy, Stella Maris, durante il lungo, affascinante, astruso dialogo in più sedute con il dottor Cohen, suo psichiatra curante, Alicia Western afferma che nell’essere umano è connaturato il senso della giustizia, e che l’idea di giustizia e l’idea di animo sono forme diverse dello stesso pensiero.
Nascendo, il bambino piange e protesta (al contrario dell’animale che soggiace al pericolo e dunque non si espone all’artiglio segnalando la propria posizione). Il bambino protesta per la rottura del patto, di ciò che doveva essere e non è, cerca di articolare dissenso, rabbia, il supplizio, e così facendo sancisce l’opposizione al mondo.
C’è, però, una tenue fiammella di speranza in lui, perché chi protesta e si arrabbia per la cacciata dall’Eden ancora crede che le cose possano essere modificabili altrimenti la rabbia si trasformerebbe in dolore, immobilità, disperazione.
E mutismo.
Tutto ciò che la poesia non è. O non è nello scontro tra spazi, pieni e vuoti. Tentando cade, ma nel cadere lascia traccia: parole sfarinate che testimoniano – ci provano – il passaggio e il farsi anima di chi le scandisce e in quel suo dire crolla. Sonoramente. Continua a leggere

La parola ai poeti. Valerio Vigliaturo


Era un giorno di fine settembre dello scorso anno, quando il buon Centofanti mi invitò così dal nulla a scrivere qualcosa a proposito della mia visione sulla poesia, l’esperienza di scrittura, le vicende umane legate all’ambiente e via dicendo. Ho attraversato nel frattempo un tunnel lunghissimo, non si intravvedeva uno spiraglio di luce, nonostante fossi riuscito ad uscire con il sostegno della mia sola forza interiore (e un viaggio salvifico in Messico) da un tunnel analogo nello stesso periodo dell’anno precedente (non serve averlo già attraversato a corroborare l’idea che “ce lo fatta in passato, ce la farò anche questa volta”). Quando sei dentro tutto appare tremendamente nero, insensato, vuoto, irreversibile.

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La parola ai poeti. Stefania Giammillaro

«Il poeta è un minatore, è poeta colui che riesce a calarsi  più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las secretas galerías del alma. E lì attingere quei nodi di luce che sotto gli strati superficiali , diversissimi  tra individuo ed individuo, sono comuni a tutti, anche se pochi ne hanno coscienza»

Quando Fabrizio mi ha chiesto di condividere fraternamente la mia idea di poesia, peraltro nell’ambito di un’iniziativa ad ampio raggio che abbraccia un coro di tante belle e luminose voci poetiche, non ho avuto dubbi su dove mutuare la citazione in apertura, quale sublime esordio ad effetto: il breve saggio Sulla poesia di Giorgio Caproni (Italo Svevo ed. 2016, p. 27). Ed esattamente come lui, uno dei miei “maestri spirituali”, ritengo che la poesia non possa definirsi, ma si possa parlare della poesia, della sua forza, della sua potenza, debolezza, della sua universalità. Sì, la poesia è universale, o, comunque, si propone di esserlo, attraverso un metodo induttivo del tutto peculiare e soggettivo che chiede a chi si approccia alla poesia, di trasformare una propria sensazione, in un pozzo, un lago, un mare dal quale tutti possono attingere e sul quale tutti possono specchiarsi: solo così un fenomeno individuale diventa mezzo di fratellanza universale. E credo non sia un caso che Fabrizio, abbia usato l’avverbio “fraternamente” nel parlare di “condivisione sull’idea della poesia”. Continua a leggere

La parola ai poeti. Evaristo Seghetta Andreoli

La poesia, questa sensazione strana che si veste di parole, me la porto dietro come una malattia, o forse è per me la cura stessa per vivere. Mi risuonano sempre in mente molti dei versi imparati a memoria da bambino, scandivano i miei giorni e le mie stagioni, mi facevano compagnia soprattutto di notte, prima di dormire, dopo le preghiere, quando quel risuonare delle rime mi apriva spazi di musicalità e di fantasia. Già la musica, le litanie, i canti gregoriani, i salmi non potevano che incidere sulla corteccia della sensibilità. Mi piaceva la poesia che mi veniva felicemente imposta a scuola. Continua a leggere

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La parola ai poeti. Marco Plebani

Che sappiamo noi oggi della morte
nostra, privata, poeta?
			 Poeta è una parola che non uso
di solito, ma occorre questa volta perché
respinti tutti i tipi di preti a consolarci non è ai poeti che tocca dichiararsi
sulla nostra morte, ora, della morte illuminarci? 

(da E. Pagliarani "Oggetti e argomenti per una disperazione",1961)

Care lettrici e cari lettori del blog “La Poesia e lo Spirito”.
Mi chiamo Marco Plebani e ho pubblicato una silloge intitolata “DECIMO DAN” (Ed. La Gru) (2022).
Ho scelto questo incipit di Elio Pagliarani, ben noto ai contemporaneisti, ma per me, fino a poco fa,  completamente sconosciuto e l’ho fatto per cercare di motivare ciò che penso accomuni diacronicamente le poesie, sia quelle antiche che quelle contemporanee.
Le poesia, secondo me, può essere figlia dei cataclismi storici e sociali, può includere la morte e può persino cantare le spesa del supermercato, essa annuncia il baratro del suicidio, dà corpo alle alienazioni, al vuoto che si ripete fantasmatico, ma rappresenta, più spesso, lo spero, una scaturigine di “luce orfica”. Un’opalescenza di rispecchiamento.
La poesia brilla, soprattutto quando le grandi narrazioni delle ideologie e della fede vacillano. 
Che la poesia diventi quel viatico laico di comunanza perché i versi ci fanno percepire come  assolutamente fratelli in ogni angolo del mondo.
Con un rinnovato saluto chiudo questa parentesi.
Ringrazio Fabrizio Centofanti per avermi concesso questo spazio di “riflessione”, è proprio il caso di dire…

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La parola ai poeti. Riccardo Benzina

[…] perché infine ciò che la frase scrive è la propria lontananza dall’origine […]

Aldo Giorgio Gargani

Per sovvertire un pensiero bisogna sovvertire il linguaggio che lo ha generato. E la poesia mi sembra il mezzo più adatto a cogliere questa possibilità, cioè quella di portare avanti un lavoro sulla coscienza, in definitiva: che ha per ultimo oggetto la coscienza. E la parola è un dono di linguaggio e il linguaggio non è immateriale (Lacan), dunque il confronto con la parola non si risolve una lotta corpo a senza corpo, bensì in qualcosa di molto più cruento e brutale e feroce, che io conosco. Le parole altro non sono che una forma antichissima di tecnologia, che è tecnologia vivente e abita uno stato di mutevolezza proprio ineludibile, quel metamorfico esserci delle parole, continuamente morenti e nascenti, risuscitanti. Recalcitranti. Quasi incredibile che riescano a contenere un così vasto arsenale di possibilità così diverse l’una dall’altra, e che queste possibilità si facciano reali o rimangano quiescenti o si esauriscano – e tutto questo brilla e vibra così sensibilmente dentro le parole, attraverso le parole. Ora, è importantissimo conoscere una tecnologia perché funzioni, ma in questo caso ci vuole anche qualcosa di più: bisogna fare in modo che funzioni ancora. Non soltanto conoscere ma anche saper distruggere la parola, perché funzioni, ricomporla perché funzioni, e soprattutto immaginarla altra perché funzioni (perché funzioni ancora). Così l’intelligenza del poeta si adopera nella riproduzione di un attrito fra le parole, con la speranza di accendere una scintilla. Continua non soltanto a sfregare le sue pietre focaie, ma prova ad escogitare maniere nuove di accendere il fuoco. Questi meccanismi, a dire il vero, mi risultano alquanto misteriosi. È la parola stessa, a monte, a risultare misteriosa. Il suo gioco di scomporre il mondo in parti, di approssimarlo infinitamente. Il suo qui-pro-quo che si eleva a potenza, che assurge a sistema. La parola è un gioco di vertigine; la vertigine che danno le parole è qualcosa a cui forse ci siamo abituati. La loro valanga ci travolge da secoli, e quasi non ce ne accorgiamo più. Le parole, onnipresenti sin da prima della nascita, e noi esposti senza tregua a questo mondo altro, delle parole, a questo strano organismo che sopravvive e ci sopravvive e ci ferisce e ci illude e ci condanna e ci (tras)forma… non riesco a dire molto altro, se non che il loro fondamento irradia una luce, ma non si riesce bene a vederne la fonte – e ci si può provare certo – oppure l’origine si può perdere, può essere persa, anche. Continua a leggere

La parola ai poeti. Salvatore Ritrovato

La poesia, no

«Così è; a meno che non si decidano, un giorno,
/ ad occuparsi solo dei canarini, o della luna,
ad abbandonare le leggi per la contemplazione, / ad
avere un amore disinteressato per il mondo; / ma
anche questo, diciamoci la verità, a cosa porta?» (Pasolini)

Uno dei migliori poeti della penultima generazione mi confidò un giorno che la poesia ormai non è che un fantasma, ma questo lo sanno in pochi, e quei pochi fanno finta di non saperlo. Qualcuno, addirittura, ritiene che la poesia sia l’ultimo rifugio della specie umana, o almeno di quella parte ancora in grado di adoperare il linguaggio coscientemente.  Continua a leggere

La parola ai poeti. Deborah Mega

La parola ai poeti. Deborah Mega

 Ermes, io lungamente ti ho invocato.
In me è solitudine: tu aiutami,
despota, ché morte da sé non viene;
nulla m’allieta tanto che consoli.
Io voglio morire:
voglio vedere la riva d’Acheronte
fiorita di loto fresca di rugiada.

(Saffo, trad. di Salvatore Quasimodo)

Lessi questo frammento da adolescente, mi sembrò sublime e ne rimasi turbata. Lo trascrissi su un taccuino, lo memorizzai all’istante e nel corso degli anni mi è capitato spesso di ripeterlo a me stessa nei momenti di difficoltà e solitudine. Molto più tardi intrapresi gli studi umanistici, gli unici, oltre a quelli musicali, che avrei potuto perseguire con piacere e intima soddisfazione. Ricordo che fin da ragazza custodivo le antologie, i libri di letteratura e più tardi di critica, nel caso, un giorno, mi fossero tornati utili, se fossi riuscita a diventare un’insegnante. Ho raggiunto gli obiettivi che mi prefiggevo e devo dire che ancora oggi trasmettere ai miei ragazzi l’amore per la poesia e la letteratura ed educarli al bello, è qualcosa di gratificante e meraviglioso. Ogni giorno dunque sono a contatto con testi di grandi autori della letteratura italiana, esercito la memorizzazione e la declamazione di poesie sull’esempio di una zia paterna che conosce a memoria diversi canti della Divina Commedia, dell’Iliade e poesie di autori di tutti i tempi. Non ho avuto però la fortuna e il privilegio di imbattermi in docenti che amassero la poesia al punto da scriverne rispettando la metrica e trasmettendo tale passione a noi discenti. Molti anni dopo, l’incontro con i social mi ha dato modo di conoscere poeti veri, in carne e ossa, e ricordo che all’inizio, frequentare il mondo letterario, poter commentare e recensire testi altrui mi è sembrata un’opportunità straordinaria. Il poeta non era più lo studioso irraggiungibile che viveva nella sua torre d’avorio, la poesia non era più soltanto aulico appannaggio di pochi eletti. Continua a leggere

La parola ai poeti. Marina Massenz

Scrivere poesie è stato il modo in cui, ancora ragazzina, ho scoperto la scrittura; era qualcosa di intimo e insieme rivolto ad altri, un linguaggio elettivo per la sua incisività ed essenzialità. Fu la lettura di alcune poesie di Leopardi che mi aprì questo mondo. Perduto per una certa parte della vita, è tornato poi ad essere necessario dal 1987 in poi; mi ricordo benissimo l’anno, perché coincise con la ripresa da parte mia non solo della scrittura ma anche di un processo di rielaborazione e di recupero di una parte di me, anch’essa in qualche modo perduta. Da allora il “laboratorio poesia” è stato sempre un cantiere aperto, una ricerca che è sfociata in diverse pubblicazioni. Continua a leggere

La parola ai poeti. Alessia Bronico

[Foto: Annalisa De Luca]

È sempre complicato per me dire della poesia, prima di ogni altra cosa per la lunga discussione sull’argomento che mi precede e che mi seguirà, ma soprattutto perché parliamo di trasformazione. Nel mio profilo in Alma Poesia dichiaro: «Quando mi chiedono cosa sia la poesia penso all’istante alla musica, all’azione, alla libertà e concludo che la poesia sia per me un atto di Resistenza. Ma dubito presto, mi ripeto che non riuscirò mai ad afferrarne interamente il significato e ne sono sollevata. La totale comprensione di un evento ne determina l’esaurimento e si spera sempre che i grandi amori siano interminabili. Perché l’amore non soddisfa desideri, li crea, come la Poesia». Lo scrivevo nel 2019 e mi riconosco ancora in queste parole anche se, oggi, dopo qualche anno so bene che il principio della mia scrittura sta tutto nella mancanza d’Amore. Scriveva Bertolucci: «Assenza,/ più acuta presenza». Sono stata una bambina cresciuta in assenza d’Amore e ho trascorso tutto il tempo dopo la mia nascita a cercare di capire di che si trattasse. Il mio vivere si è tradotto nel tentativo di imparare un affetto, un sentimento che non avevo appreso per imitazione o esempio. La scrittura è arrivata in soccorso, così come la musica e non esiste confine per me tra la parola e il suono. La poesia è, nella mia vita, il mezzo che trasforma l’amore in azione tramite le parole, è il suono che mi permette di conoscere l’Amore, attraverso le vibrazioni mi lascia esperire ciò che non sapevo e ora intra-vedo. Molto è cambiato da quando ero piccola, sono stata il minatore suggerito da Caproni, sono calata fino al buio profondo delle «gallerie dell’anima» ma sempre con l’intento di risalire a sciogliere i nodi in luce. Resistenza l’ho scritta qualche anno prima del 2019, eppure rimane la poesia che più mi somiglia, che più si avvicina al nucleo del mio dire, e questo nucleo si trasferisce anche nella mia produzione narrativa. Continua a leggere

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La parola ai poeti. Anna Maria Farabbi

La poesia, per me, è biologicamente radicale: scaraventa la nostra esistenza fisica, psichica, spirituale, creativa, all’origine, cioè prima del nostro io, prima della nostra singolarità biografica, nel passato ancestrale primitivo, proprio del canto, nell’oralità preistorica. Atterro sul foglio con in mano una penna o una matita o un tasto del pc ma sono in connessione con quel buio materico e con il divenire di me. 

La poesia è radicata dentro il mio corpo perché mi declina dal palmo dei piedi alla fontanella cranica, mi impone un processo di auscultazione del profondo (mi riferisco a quel buio prima citato), del mio profondo, del ritmo cardiaco che mi sonorizza quotidianamente nell’oscillazione pendolare del respiro. 

Già in questa estrema sintesi, spalanco il significato dell’esperienza della poesia per me. Ben al di là del mondo letterario con tutte le sue giostre luccicanti e le relative posizioni di mercato. L’atto della scrittura è un ponte di transito il cui attraversamento è esperienza. 

Nella mia vita ho intensificato vertiginosamente tutto questo, entrando con approccio poetico tra gli ultimi, come li definisce aldo capitini, gli irrecuperabili: sordi, ciechi, carcerati fine pena mai, ospiti di casa di cura, tossicodipendenti, persone con grave handicap psichico, persone affette da disturbi alimentari, malati oncologici.

Cantare è esperire. Ricevere e ridistribuire. 

La parola ai poeti. Nino Iacovella

Nel mio caso la poesia ha rappresentato l’ultima fattiva possibilità di esprimermi creativamente: figlio di una famiglia d’arte non ho saputo educare le mie mani per creare opere materiali, e così la mia attitudine creativa non ha trovato che un’unica strada, la strada nella quale mi sentivo di tornare ogni volta a casa: la parola, la poesia, la potenza delle sue immagini e dei suoi suoni che rinascono dalle ceneri del buio e del silenzio. 

Bene, questo è un modo di dire la poesia attraverso la poesia. Ma a essere più prosaici la poesia, la scrittura e la lettura (l’arte letteraria insomma) sicuramente per me rappresentano una delle più efficaci vie di fuga dallo scacco della finitudine esistenziale. Siamo mortali e l’artificio letterario ci dà la possibilità di poter vivere, attraverso la sospensione dell’incredulità, le vite degli altri o le vite che avremmo potuto vivere.  Continua a leggere

La parola ai poeti. Nicola Vitale

Premetto che in genere non scrivo sulla poesia, ma solo poesie. Ma la schietta iniziativa e il gentile invito di Fabrizio Centofanti, mi hanno fatto venire la voglia, per cui lo ringrazio.

E’ un momento molto interessante, per la poesia e non solo. Si tratta di una grande metamorfosi della civiltà. Preferisco infatti vedere la poesia all’interno di questo cambiamento generale, in quanto solo in questo orizzonte più vasto si spiegano certe cose, e credo che, siccome le arti anticipano i tempi, occorre osservare la grande metamorfosi in atto proprio nei mondi dell’arte. La poesia come disciplina ha un modo tutto suo di vivere questa crisi e trasformazione.  Ma la cosa più interessante è che questi capovolgimenti non avvengono per la volontà di qualcuno che pilota la cosa ideologicamente, anzi proprio il contrario, le varie volontà operano cercando di incrementare il vecchio clima o regime, ma così facendo, siccome non ci sono più i presupposti, ottengono l’effetto contrario. Per cui il cambiamento è repentino e inevitabile.  Continua a leggere

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La parola ai poeti. Maria Elena Danelli

Non saprei da dove iniziare a raccontarmi, se non che la prima poesia che scrissi fu quando avevo 6 anni.
Nacque da un sogno o propriamente da un incubo e non trovai modo migliore per scrivere ciò che mi accadde nel mio sgomento di bambina, e questo fatto osmotico di realtà-sogno mi accompagna da allora, non solo nella poesia ma anche nelle mie espressioni artistiche (le mie visioni mi accompagnano lucide, dando allo sguardo l’aspetto finale di ciò che mi visita nell’intuizione). A volte mi sembra di aver già vissuto più volte.
Nel mio sentire non mi spaventa l’idea della Morte, perchè penso che essa ci accompagni costantemente legata al senso della Vita, che sento come un fermento pulviscolare inesauribile, in cui la fiducia e l’abbandono a qualcosa di più grande mi pervade.
Questo senso armonico mi concede di sentirmi uno strumento affinchè le parole mi visitino e diventino inchiostro, una forma di contemplazione.
L’idea che la Vita si sviluppi in tutte le sue molteplici sfaccettature, abitando forme e sensibilità insospettate, e che esista una poesia che cerca di avvicinarsi alla meraviglia, all’incanto, all’effimero e caduco, mi ammutolisce.
Come può l’essere umano scegliere costantemente i conflitti, la distruzione, quando basta un potente teleobiettivo per vedere i crateri della Luna, o gli anelli di Saturno?
Le orbite dei pianeti attorno al Sole – che viaggia nello Spazio – e che per forza di attrazione lo circondano seguendo la sua traiettoria, descrivono un ipotetico fiore gravitazionale, ciascuno secondo la propria natura, e l’inconsapevole bellezza della conchiglia che ripete la successione di Fibonacci o il canto degli alberi che nel loro mutismo – alle nostre orecchie – cantano il mistero del Tutto, a volte mi riempie di una sensazione indescrivibile che si traduce in una fitta al cuore.
Parte di questo sentire diventa la mia scrittura. Che affiora e si traduce anche nel dialetto dei miei genitori, il Milanese, uno scavare in ciò che si è sedimentato negli anni, dato che ormai mi sono madre e figlia.

Qui una piccola scelta tra i miei inediti. Continua a leggere

La parola ai poeti. Adriano Engelbrecht

Grato a Fabrizio Centofanti per l’invito e la sollecitazione rivoltami, provo una possibile riflessione sull’agire poetico afferente al mio percorso artistico.
Sappiamo: non esiste una risposta univoca alla domanda “cosa è la poesia”.

La “voce” che aggiungo – del tutto personale – è solo un breve contrappunto alla complessa polifonia dell’interrogazione contemporanea. La poesia è moto, scaturigine, è irruzione al mondo. È l’emergere da l’oscuro e, al contempo, il suo stesso dissiparsi. Perpetuo, ciclico. La poesia è respiro che si avvia al canto; parola vivente, parola corpo, parola che si dice, parola che si ascolta. Come la voce, si origina da un profondo di cavità ventre, umidore, fiato, sterno, battito, gola, varco. Dietro, all’indietro: misteriosa architettura di equilibri fonetici, il più delle volte enigmatici. In questa accezione è per me un atto fisico, in moto, vibrante e dunque ri-sonante. Il suo manifestarsi, rendersi udibile, o il suo scriversi, de-porsi, è sosta: un fermo temporaneo che si attua, si cristallizza, per poi riprendere la sua erranza, il suo cammino, nel suo mistero.
Non ho mai relegato la parola poetica al solo atto intimistico della lettura: per quanto fondamentale sia questo passaggio, ritengo di necessaria importanza l’ascolto dei versi, il loro sentirli e, di conseguenza, dirli, cantarli.
“Im spätrot schlafen die Namen” (Paul Celan).
Mi piace pensare che nel “rosso tardo” celaniano dormono i Nomi, in attesa della loro nominazione: una chiamata, forse un “far cantare l’appartato circostante”. Non tanto un invisibile, quanto piuttosto ciò che semplicemente non si rende sempre manifestamente visibile ai nostri occhi. O udibile. Nel frastuono dell’odierno, nell’abitudinarietà di un inquinamento acustico che ci sovrasta, bisogna acuminare l’orecchio e percepire ciò che molto spesso è sommerso, nascosto o distrattamente sfuggito. L’inascoltato. Prestare attenzione. E, ancora una volta, è il magistero di Celan che viene in soccorso quando afferma che la poesia è “un meridiano: una linea ad un tempo verissima e inesistente che indica una direzione attraverso molti territori. Su questa linea a ciascuno è data la possibilità di tracciare il proprio cammino verso quel sapere e quel sentire che appaiono sempre più lontani da chi è assediato dalla civiltà del rumore e del fatuo, e in essa si perde”.

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La parola ai poeti. Eleonora Nitti Capone

Cos’è la poesia? 
La poesia è uno dei modi di far cantare all’anima ciò che di reale esiste nella vita. È il mio cuore  che dall’interno del petto s’affaccia, sente la vita più vera e si domanda: “che cos’è?”, e lui ne canta  ed io ne scrivo. E questo canto è figlio del silenzio, la poesia è il fiore del silenzio. Essa è sincero tentativo, attraverso una tessitura sapiente di parola scritta-parola lettaparola pronunciata-parola ascoltata, di condividere con gli altri un livello più autentico  d’esistenza. Continua a leggere

La parola ai poeti. Nadia Chiaverini

Gent.mo Fabrizio

ti invio alcune  poesie dal mio ultimo libro “Sull’orlo della gioia” Terra d’ulivi edizioni 2022 ed un paio inedite.

Ho incontrato la poesia già da adulta,  nell’età di mezzo, (che è stato il titolo della mia prima silloge, pubblicata nel 2004) , mi ci sono affacciata  in punta di piedi,  poi tutto è stato una scoperta, uno studio, una necessità , trovare nel linguaggio poetico un altro sguardo su noi stessi e sul mondo. Una poesia “onesta”, che affronta un percorso  interiore in verticale,  profondo, sulla psiche, sull’ombra per arrivare ad una consapevolezza di sé, ma  anche un ponte di ascolto e incontro con l’altro. E’ una ricerca non priva di lacerazioni, di mancanze, in questo percorso labirintico intriso di memorie ancestrali, contaminazioni,  perché “il buio è necessario e il nulla non esiste”  Continua a leggere

La parola ai poeti. Tommaso Meozzi

Cos’è la poesia, per me, ormai non lo so più. Ricordo però cos’era, o meglio, ricordo i primi versi che ho scritto: “meravigliosa assenza/ ecco, io ti prenderò per mano, e poi sarò ricordo./ Come un fiore non colto/ e il prodigio presso quel fiore”. Aveva dunque a che fare con un’assenza. Avevo sedici anni, e io sentivo questa assenza che apriva in me un vuoto, e anche un senso di infinito. Era lo stupore, di fronte all’infinito del desiderio che in me scoprivo? Era il tendere verso una mano paterna, rassicurante? Era la linea del viso di mia madre, come nelle scene iniziali di Persona di Bergman?
E insomma io scrivevo i miei versi su fogli bianchi, poi sul computer, e sognavo di distribuire questi fogli agli amici, ai vicini di casa – un po’ lo facevo anche – inondando tutti con la luce della mia “meravigliosa assenza”.>Mi sembrava che tutti dovessero ascoltarmi, che io fossi il profeta dell’assenza/essenza, mentre gli altri si affaccendavano con cose inutili perché non vedevano. Ricordo che una volta mia nonna aveva una badante che casualmente venne a sapere delle prime poesie che avevo pubblicato, probabilmente La superficie del giorno (2010). Le chiesi se lei scriveva mai poesie. Era una persona dolce, e allo stesso tempo composta, forte. Mi rispose: “No, sai, la vita ha più a che fare con la prosa.“ Questa frase allora mi sembrò l’ennesima conferma della mia superiorità emotiva e intellettuale, anche se in quella voce c’erano una forza e una tranquillità che toccarono qualcosa dentro di me. Continua a leggere