La parola ai poeti. Evaristo Seghetta Andreoli

La poesia, questa sensazione strana che si veste di parole, me la porto dietro come una malattia, o forse è per me la cura stessa per vivere. Mi risuonano sempre in mente molti dei versi imparati a memoria da bambino, scandivano i miei giorni e le mie stagioni, mi facevano compagnia soprattutto di notte, prima di dormire, dopo le preghiere, quando quel risuonare delle rime mi apriva spazi di musicalità e di fantasia. Già la musica, le litanie, i canti gregoriani, i salmi non potevano che incidere sulla corteccia della sensibilità. Mi piaceva la poesia che mi veniva felicemente imposta a scuola.

Vennero poi gli anni in cui scrivevo biglietti d’amore che avevano nella forma un’implicita complicità lirica. Le ragazze mi guardavano come un esser un po’ “sui generis”, a volte non collocabile, non definibile, e anche io avevo come quesito permanente il perché di questa mentalità che mi spingeva a ricercare parole perfette per descrivere i miei stati d’animo e faticavo a collocarmi in un posto ben definito, insomma l’ “ubi consistam”. La poesia che non dava risposte era la disciplina più affine alla mia impostazione mentale. Era il porto sicuro, era la veste ideale per i miei sentimenti. Il lavoro produsse lo iato, la crepa insanabile tra la parte razionale, connaturale all’esigenza del mio ruolo di bancario e quella della fantasia che si orientava verso la poesia più che verso la prosa. Questo dualismo, vissuto sulla mia pelle, mi portò a ricercare un punto d’equilibrio in modo di mantenere intatta la mia salute mentale. Così, a fine giornata, stanco di bilanci da analizzare, di problemi di solidità aziendali, di rating e valutazioni statistiche, ecco che a margine delle circolari di servizio, scrivevo versi catartici per quel momento del mio vivere, un’astrazione salutare che un “daimon” mi suggeriva all’orecchio. E ancora oggi inizia così l’attività di captazione dei ritmi che si affacciano magicamente alla coscienza prima che questi vengano affidati alla semantica.  Le mie letture copiosissime, un guazzabuglio non programmato, nulla di organico e strutturale per uno studio proficuo, proseguivano inarrestabili e la sete di poesia cresceva e oggi ancora non si esaurisce.In questo felice marasma, cominciavo a prendere atto delle benefiche reazioni scaturenti dai miei punti di riferimento. Il quesito di fondo, ovvero perché io scriva, o cosa mi spinga a scrivere, non trova comunque risposta. Ma io mi riconosco in quei versi e in essi altri si riconoscono So bene che scrivere poesia è un atto da pazzi, ma nel contempo nobile e civilmente edificante. Infatti una persona che si pone in condizione di scrivere cose non necessariamente legate a un movente, ad un fine sia da apprezzare e ascoltare.  Ritengo che la poesia, in questo inizio di terzo millennio, sia un gesto, un atto di composizione, di fantasia che non ha e non deve avere alcuno scopo, insomma che sia del tutto gratuito. Il mio è un credo utopico,  forse il tentativo di lasciare il segno, di oltrepassare i limiti spazio-temporali, è l’“exegi monumentum aere perennius” oraziano, o  “La gioia di scrivere . Il potere di perpetuare. La vendetta d’una mano mortale” della grande Wis?awa Szymborska. Ed ora sono ancora qui, che affido ai messaggi in bottiglia i miei velleitari tentativi di ontologia.

Ho innaffiato le rose gialle, il pesco
e la siepe ormai poco verde della
mia fantasia con acqua fresca
attinta dal pozzo scavato nella
roccia viva che non si sfalda. Troppa
bellezza stordisce, non siamo pronti
per l’impatto con l’assoluto
scivoliamo nella strettoia della
limitatezza. Un petalo di rosa
e una carezza è ciò che resiste,
fragile stelo della poesia.

(da Il geranio sopra la cantina – Puntoacapo Editrice 2023)

Evaristo Seghetta Andreoli è nato a Montegabbione (TR) dove vive. Già bancario. Fa parte di varie associazioni culturali e collabora con riviste letterarie, è membro di più giurie di premi di poesia. Testi e recensioni delle sue opere sono comparse su quotidiani e riviste letterarie, tra cui più volte su La lettura del Corriere della Sera e sul blog Treccani. Pubblicazioni : I semi del poeta (prefazione di Patrizia Fazzi, Polistampa Editore, Firenze 2013);  Inquietudine da imperfezione (presentazione di Franco Manescalchi e prefazione di Giuseppe Panella, Passigli Editore, Firenze 2015) – Premio Firenze Mario Conti Fiorino D’Oro (2015); Premio Internazionale “Mario Luzi” (2016/2017) – Roma; Morfologia del dolore (presentazione di Carlo Fini, Interlinea Editore, Novara, 2015) Premio Tulliola-Renato Filippelli – Formia (2023); Paradigma di esse (presentazione di Franco Manescalchi e prefazione di Carlo Fini, Passigli Editore, Firenze 2017) – Premio Certamen Pontificia Università di Roma (2018); Premio Città di Sassari (2018); In tono minore (prefazione di Sauro Albisani e postfazione di Flavia Baldi, Passigli Editore Firenze 2020); Premio Cecco d’ Ascoli (2021) Ascoli Piceno; Premio Arturo Giovannitti (2021) Oratino-Campobasso; Premio Alda Merini Imola (2023); Il geranio sopra la cantina (prefazione di Francesco Ricci, Puntoacapo Editrice, Alessandria, 2023), Premio Etruria, Arezzo (2023).

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