Archivio mensile:Febbraio 2018

Purgatorio

[youtube=https://youtu.be/OIr0-MKInTA]

da qui

Molti non credono in Dio, figuriamoci nel purgatorio, che per giunta ha un nome sgradevole, un’eco dell’olio di ricino o del bicarbonato. Io nel purgatorio ci credo. Per quanto facciamo, siamo fragili sotto tanti aspetti. Mio padre diceva che ci manca sempre un soldo per apparare una lira. In quest’epoca pazza per l’ecologia, si dovrebbe provare meno resistenza di fronte a metodi disinquinanti. Certo, nel purgatorio si soffre, a quanto pare: si tratta di staccarsi da abitudini che ci hanno accompagnato per decenni, ed è come asportare qualcosa: un dente, un’ernia, un’appendice. Ma se fossimo più generosi, noi credenti, faremmo di tutto per saltare a piè pari questa fase purgante – ecco riapparire il guttalax, le tisane, l’olio di fegato di merluzzo – non tanto per sfuggire al dolore, quanto per l’ansia d’incontrare il Cristo, di vederlo finalmente negli occhi, di stringergli la mano. Di sentire in petto il famoso cuore nuovo. Viva l’ecologia, dunque, ma la cardiologia è tutta un’altra cosa.

La concessione del lavoro

foto

La concessione del lavoro sorse
con il tavolo di crisi con il sisma
dell’Articolo Uno con l’inverno
presente con quello venturo
con lo smantellamento
e il presidio delle ore nove
con la campagna elettorale
con la scoperta della neve
con le sinistre e le destre
le glaciazioni e il crinale
sul quale vive questo paese
la concessione del lavoro venne
come una promessa calata
dall’alto una brioche della regina
un gesto un sorriso un’increspatura
nel bilancio una vetta uno slancio
un gancio un tozzo di pane una
medicina uno sputo un imbuto
“non lasceremo nessuno a casa”
prima mi licenzi e poi mi salvi
e forse attendi che ti ringrazi

Max Ponte

(incatenamento durante le proteste contro gli esuberi – poi rientrati – dei lavoratori dei musei civici torinesi, dicembre 2017)

Dipendere

Testo e immagine di Francesca Boschetti

 

 

 

 

Dipendere

Pendo due volte

All’esterno
E all’esterno

L’interno fa solo da avvio
Il resto dipende da te
Chiunque tu sia

Sbilancio il mio peso
Baricentro sfasato
Mi appoggio nel vuoto dell’altro

Dipendere

Pendenza alternata
Tra me e chissà chi

Fidarsi
Ma senza ragione

Cercare affannato di appoggio

Fidarsi a occhi chiusi
E aprirli in ritardo
Dipendere
Ingaggio una danza
Continui squilibri
Il fiato sospeso nel nulla

La meta è un miraggio
Ingannevole mito
Invano vagare

Polonord di contatto profondo

 

Non dipendere più

Promessa

Intenzione

Tensione di voglio negati

Miraggio
di nuovo

Dipendere
NO

Il contrario di-pendere:
immobile
fuori-con-tatto
midollo ingessato
respiro bloccato
desideri contratti
non-sento-non-voglio

Polosud:
stesso gelo
la testa all’ingiù

Illusione di quiete
L’inquietudine è molto all’interno
Dappertutto l’inverno

Di-pendo
Travasata all’esterno

Oppure

Non-pendo-mai-più
Paralisi dentro

L’opposto reale

È nel vero contatto

Dipende da noi
L’opposto reale

È nel rischio pensato

Mi fido a occhi aperti
Li chiudo più tardi

L’opposto reale
alterna
toccarsi e voltarsi
sorrisi e fronti sgualcite

Perfetto per-sempre
Esiste soltanto nei sogni

Coi piedi per terra
è
fatica e riposo
riposo e fatica

Nel buio
sostengo l’attesa
credendo che passi

La luce
la godo
sapendo del buio

Equatore:
la strada è più lunga
scenari che mutano
piogge e poi sole che arde la pelle

Non più marionette di ghiaccio

Ma mobile vita da vivere

Preghiera


A che serve la preghiera? Forse, molte volte, è inutile: quella che si fa per fare, per sistemare un conto sempre aperto, di dare e avere, per placare l’angoscia da debito contratto con divinità enigmatiche, che possono punire in caso di mancata prestazione; ma anche la preghiera-chiacchiera, buttata lì come giocando al bar, quando allunghi la briscola sul tavolo con una gran risata; e quella che si recita pensando ad altro, guardando l’orologio, spalmata su un tempo sotto vuoto, come una magra concessione a un Dio noioso.
La preghiera autentica è quella che fa luce negli angoli più bui, nelle cantine in cui si occultano certe mercanzie, nei magazzini polverosi abitati da topi e ragnatele. La preghiera porta ossigeno in stanze dove ormai non si respira, profumo dove regna un odore di stantio. È una preghiera che salva da ogni falsa devozione, da ogni pavida fuga dall’incontro.

Scrittori e nuovi progetti: intervista a Ivano Porpora

Ho ricevuto oggi il Biglietto di commiato a mio padre; un libro, sì, ma non solo. Il Commiato è un progetto molto interessante ideato, promosso e realizzato dallo scrittore Ivano Porpora.
Ivano ha pubblicato con Einaudi, Marsilio, Miraggi, LiberAria e tiene corsi di scrittura. Il Commiato non ha un editore per espressa scelta dell’autore. Alcuni mesi fa ha aperto un crowdfunding per finanziare il suo progetto; nella pagina dove oggi campeggia la scritta CONCLUSO / FINANZIATO lui stesso scrive:
Il 13 novembre 2012, a poche settimane di distanza dalla pubblicazione del mio primo romanzo per Einaudi, moriva mio padre. Un paio di anni dopo, un pomeriggio di luglio, morivo io, e qui spiego per la prima volta cosa è successo, e perché; e perché queste due morti abbiano segnato chi sono, quello che faccio. “Biglietto di commiato a mio padre” è un libro di cento pagine in formato 14×21, fuori dal mercato editoriale per precisa scelta, nel quale parlo di me, di lui, di ciò che sono diventato, di ciò che è realmente successo e di perché quello che è successo mi ha marchiato tanto.

I 244 sostenitori che insieme hanno raccolto il doppio della cifra minima stabilita stanno ricevendo in questi giorni la copia del libro con dedica, disegno, ringraziamento (in base all’entità dell’impegno) e alcuni avranno diritto a una presentazione nel luogo a loro più vicino. Una community di lettori di Ivano che si sono uniti per leggere ancora, aspettando il suo nuovo romanzo, e accogliere un pensiero intimo, privato, profondo che non è solo dello scrittore Porpora ma anche del figlio Ivano.

Parliamo con Ivano Porpora del Commiato e del suo rapporto con la scrittura.
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Vivalascuola. 1968: memoria contro damnatio

(Elaborazione grafica di Francesco Mele)

Nonostante ricorrenze e convegni, il 68 è stato condannato a una sorta di damnatio memoriae: la cancellazione di qualsiasi traccia che lo riguardi, come se non fosse mai esistito. Il 68 è imbarazzante, scomodo, da rimuovere anche per chi vi ha partecipato, sia chi non la pensa più come un tempo e lo ricorda con disappunto sia chi ne è uscito con un senso di sconfitta e ne serba la frustrazione. Eppure molte elaborazioni di quegli anni sono di un’attualità impressionante, in una realtà mutata ma in cui il nocciolo duro delle forme di potere e di oppressione resta lo stesso. Memorie e riflessioni sono perciò necessarie e pongono il problema di come trasmettere quel che è stato alle giovani generazioni. Anche vivalascuola vuole approfittare del 50° anniversario del 68 per fare memoria, convinta, come scrive Ernesto Sabato, che “Senza utopia nessun giovane può vivere in una società orribile“. Cominciamo in questa puntata dando la parola a chi il 68 l’ha fatto, proponendo i testi di Donato Salzarulo e Marilena Salvarezza e il ricordo in poesia di Graziella Tonon; proseguiremo con altre puntate dedicate specificamente alla scuola e all’università, che sono stati tra i territori principali del 68. Chi dei lettori fosse interessato a dare il suo contributo, ce lo comunichi nei commenti e sarà contattato.
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Filautia


“Filautia” la chiamavano i Padri: la propria volontà. È dura a morire, perché spesso pensiamo che gli altri ce la vogliano fare sotto il naso, perché crediamo che paghi essere furbi, perché se non ci penso io a me stesso, chi ci pensa?
Poi arriva uno e dice che la vita viene da lontano, arriva fino a noi col suo soffio potente, e noi siamo chiamati a trasmetterla com’è, con la stessa potenza, senza soffocarla né sfogarla, ma vivendo tutto come dono. Insomma, propone l’onestà, la verità, la coscienza d’essere uniti all’universo, agli altri, a Dio. Ecco, quest’Uno è proprio Lui, Dio: se avesse voluto fare il furbo, si sarebbe guardato dal rischiare la pelle qui da noi. E invece ha accettato la sfida, bontà sua, e ci ha dato l’esempio di come prendere la filautia e lasciarla inchiodare su una croce, un venerdì qualunque che sarebbe diventato santo, per averci svelato questo folle segreto della vita.

Amici come prima


Con Dio abbiamo un rapporto problematico: chiediamo e ce ne andiamo, invochiamo la sua presenza e svicoliamo altrove. Mi chiedo se a volte non s’innervosisca. Poi mi rispondo “no, Lui ci ama davvero, al massimo sorride della nostra allergia congenita alla concentrazione”.
Però questa non dev’essere una scusa. Bisognerà imparare a esserci, anche noi. Mi viene in mente il nome impronunciabile di Dio: Io sono Colui che c’è. Già, Lui c’è, ha il carisma dell’attesa. A volte aspetta secoli, millenni. Poi fa uno sbuffo, e rivolta la terra come un pedalino. Ma ecco, basta poco, e amici come prima.

1915-1918: i fumetti in trincea

1915-1918: i fumetti in trincea

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di Claudio Bertieri

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Quando si stava profilando il centenario del primo conflitto mondiale, un po’ dappertutto sono iniziati ad apparire progetti di mostre, di eventi, rievocazioni, testimonianze, riletture storiche, analisi critiche e via sunteggiando. Molti indubbiamente i testi riuniti assieme, da semplici ricordi personali a più strutturate indagini prospettive, i quali, nel loro insieme, hanno accostato argomenti al massimo disparati. Comunque, recando in ogni caso un utile contributo alla rievocazione di una immane tragedia che l’arte figurativa, il cinematografo, la narrativa, la satira, la cartellonistica, e sicuramente ancora altre forme creative, non hanno ignorato di accostare.

Probabilmente, tra tanto scrivere, parlare, esporre, indagare, un particolare capitolo, senz’altro di variante tensione e mutevole sguardo, non ha goduto di altrettanto interesse. Quindi, di una indagine ampia ed approfondita che ne ponesse in rilievo la non risicata partecipazione al drammatico evento, seppure espressa in maniera contrastante, giacché le atmosfere della sua presenza trapassano -nonostante la diversa nazionalità- dall’acceso entusiasmo alla ferma denuncia, dal patriottismo esaltato alla testimonianza di una realtà amara e sofferta. Per dirlo in stretti termini, dal sorriso che tende ad allentare la tensione al rispetto della verità.

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La guida


Chiediamo sempre, chiediamo troppo, forse: importuniamo Dio e noi stessi, rimestando nei nostri modi d’essere, di pensare, di fare; una fucina sempre attiva, frenetica, stressante.
Dio sorride di questo, non ho dubbi. Lui sa bene quello che serve. Mettersi tranquilli, restare nella pace, lasciare che sia Lui a creare i dinamismi, le strutture interiori: questo, alla fine, è la saggezza.
Quanto ci vuole per arrendersi?
La cosa più difficile al mondo è cedere la guida. Anche se sarà capitato a tutti di sentire, prima o poi, il fatidico grido: ma chi ti ha dato la patente?

Chiediamoci se

 

Screenshot (143)

Chiediamoci se è questa la città che vogliamo,
se è l’odio, la bile, contro un nemico venuto dall’imo
dal fondo del passato, pescando nella torba del torbido
se è la caccia agli spettri nella curva del tifoso versato.

Chiediamoci se è questo il paese che vogliamo,
diviso come nell’eterne guerre civili, degli italiani
contro gli italiani come i padri e come i nonni come chi
di due fratelli uno era fascista e l’altro era partigiano.

Chiediamoci se è questa la vita che vogliamo
a disseppelire, ora, tutti borghesi e dimentichi,
gli scheletri lustrati ad arte, per polarizzare il vuoto
televisivo, a rastrellare l’ultimo voto lacrimogeno.

Chiediamoci se è questo il male endogeno
da debellare, nel paese pavido fra poteri viscidi
e se invece il nemico non sia altrove e la tensione
suicida vada tolta dai cavi cavedi catodi
fra servi stolidi in battaglie tardo-adolescenziali

Max Ponte
Torino, 23 febbraio 2018

(Un’immagine da video dagli scontri cittadini del 22/02)

Inediti di Paolo Fichera

Paolo Fichera ha progettato e diretto, dal 2004 al 2009, il quadrimestrale “PaginaZero-Letterature di frontiera”. Per la poesia: suoi testi sono apparsi in antologie, su siti e riviste nazionali e internazionali ed è stato tradotto in inglese, francese, spagnolo, arabo, serbo-croato, albanese. Ha vinto la XXVI edizione del Premio Lorenzo Montano. Sue raccolte di versi sono: Lo speziale (LietoColle, 2005); Innesti (Quaderni di Cantarena, 2007); La strada della cenere (FaraEditore, 2007); nel respiro (L’arcolaio, 2009), Bosco (Anterem Edizioni, 2013).
Le poesie che proponiamo sono parte di un libro, Figura, suddiviso in 21 sezioni. Figura è stato scritto, almeno in questa sua prima parte, dal 2011 al 2017. Le poesie sono inedite come inedito è il libro.
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Sei stata il mio bosco
tue le rocce, le cortecce, il muschio
tuo l’albero più antico
alla fonte del fiume,
tuo l’occhio fluente e secco
che ha guardato i tronchi caduti.
Lo Spirito, se c’era, scioglieva le nevi
tramortiva la ferita, trascinandola
su foglie così mortali, in ogni
tempo del mondo vissuto oltre il sogno.
Uno strappo, la foresta attende
tra la bocca e occhi e musica
là la parola, qua la terra
tua è la mia lontananza

(sezione Iconografia)

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su un ponte. un bambino getta pane all’acqua.
una ragnatela di pesci cigola nei segni.
l’abbazia riflessa nell’acqua distorta dalla fame dei pesci.

(sezione Mappa) Continua a leggere

Ho sete


“E disse al vecchio dammi il pane,/ ho poco tempo e tanta fame./ E disse al vecchio dammi il vino, / ho sete e sono un assassino”. Chi non conosce queste parole della canzone di De André, “Il pescatore”? La versione con la PFM, per me, è un capolavoro. Eppure c’è chi se ne serve per far dormire i figli. È difficile sintonizzarsi su gusti ed esigenze, le sensibilità sono diverse e a volte incompatibili.
Ma la sete è sete, la fame è fame. Cristo sulla croce ha detto: ho sete. A che si riferiva? Certamente a una sete fisica, perché moriva dissanguato. Ma anche a una sete interiore, simbolica, forse più drammatica. Aveva sete di noi, e ne ha tuttora. Siamo l’oggetto del suo desiderio, anzi, i soggetti del suo amore. Pascal diceva che Gesù rimane in croce fino agli ultimi tempi. Non so se sia vero. Ma so che ha una sete terribile di noi, e chissà che comprenderlo, un giorno, non ci salvi.

Barcelona Gipsy balKan Orchestra

Barcelona Gypsy Balkan Orchestra

La poesia della world music

Intervista a cura di Guido Michelone

(parla Mattia Schirosa)

 

Ci vuoi anzitutto raccontare il primo ricordo della Barcelona Gipsy Balkan Orchestra?

Il mio primo ricordo risale all’estate del 2005, durante uno degli ultimi tour della Barcelona Gipsy Klezmer Orchestra. Con il nostro furgone attraversammo Francia, Italia, Grecia, e Serbia per poi ritrovarci a piedi in Romania con il motore in avare e 100 g di bagagli. Eravamo diretti a Bacau per una nuova data ed eravamo solo a metà del tour. In quei momenti il tuo istinto di sopravvivenza può arrivare a sorprenderti e sei capace di risolvere problemi che, normalmente, sembrano insormontabili solo a nominarli. Dopo essere riusciti ad attraversare la Romania ed arrivare in tempo a Bacau, troviamo un passaggio per Varna, Bulgaria. Continua a leggere

Scadenze


Gesù si dà per sempre. Non è come noi, così bravi a concederci a metà, e a tempo sempre più determinato. Recentemente, si è proposto un matrimonio valido per sette anni, legato forse all’idea della famosa crisi. Si insegue la prassi del divorzio breve: separazioni rapide, abbandoni istantanei e via fuggendo.
È triste vedere come l’impegno sia sempre meno accetto. Vogliamo la certezza di evitare i problemi, di non scomodarci più di tanto.
In un momento della storia, e in un certo contesto, un’autorità spirituale riteneva lecito lasciare la moglie per un piatto non riuscito.
Mi viene in mente un detto: o mangi questa minestra, o ti butti dalla finestra. C’è più saggezza nei proverbi che in leggi che cancellano l’umano.

Il tuo nemico di Michele Vaccari

Ci sono romanzi scritti bene, anzi benissimo, che sovrastano con la loro perfezione al punto di far dimenticare la storia, elemento fondamentale della narrazione.
Ho comprato Il tuo nemico di Michele Vaccari quando era appena uscito con Frassinelli (aprile 2017) ma ho deciso di rimandarne la lettura a un periodo più libero da impegni e lavoro in modo da dedicargli la massima attenzione: era un libro che in qualche modo mi spaventava.

Sento che lo stile di Michele Vaccari è tanto frutto di un lavoro impeccabile tecnicamente che di un percorso artistico interiore. Credo sia grazie a quest’ultimo che lui abbia ottenuto quella voce che gli editor cercano sempre in un autore, in un romanzo; quella nota unica che lo rende riconoscibile fra tutti. Il romanzo è un continuo andare avanti e indietro nel tempo e nelle precarie esistenze dei personaggi. Una struttura costruita ad arte permette al lettore di perdersi dentro confini ben delimitati, non rimanere mai disorientato, non soffrire di vertigini in questa veloce giostra temporale. Il merito è della grande maturità stilistica dell’autore che gli permette di sperimentare, spostandosi velocemente da un punto all’altro del suo racconto in piena libertà senza mai perdere la direzione. Continua a leggere

Fughe


Ci lamentiamo della solitudine. Ogni pretesto è buono per pensare: quello ce l’ha con me, non mi ha salutato, sorriso, rinnovato gli auguri. È come se avessimo un’antenna pronta a captare ogni assenza di riguardo, ogni segnale diverso da ciò che ci aspettiamo, e a volte pretendiamo.
Odiamo essere soli. Ma potremmo chiederci se non siamo noi a lasciare solo il Cristo. Lui, come il Padre, scruta una strada deserta, per vedere di lontano se abbiamo il desiderio di tornare. È pronto a correrci incontro, a gettarcisi al collo per baciarci. Noi no, ci ostiniamo nel lamento, ci ribelliamo a un abbandono, a un’assenza procurata da noi stessi, con l’antica abitudine alla fuga.

SUL TAMBURO n.66: Franco Manescalchi, “Riviste di poesia del secondo Novecento a Firenze”

Franco Manescalchi, Riviste di poesia del secondo Novecento a Firenze nella memoria di Franco Manescalchi, Firenze, Polistanpa, 2017

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di Giuseppe Panella

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Quale è stato il ruolo di Franco Manescalchi nella cultura poetica del secondo Novecento a Firenze?

In che modo questo ruolo è stato centrale non cos’altro che a livello di testimonianza?

Il libro, attraverso la memoria evocata e ancora viva dei fatti, cerca di dare una risposta a questa domanda. Le riviste le cui vicende vengono riproposte ed evocate nel nucleo centrale del libro sono state parte importante della ricostruzione culturale del paese all’alba della caduta del fascismo e in vista della fondazione di una nuova coscienza morale e politica per l’Italia repubblicana appena nata. Nel primo dopoguerra, infatti, insieme alla continuazione di riviste già consolidate e nate in periodo fascista (L’Approdo di Carlo Betocchi, Letteratura di Alessandro Bonsanti, ecc.), sorgono e vivono, spesso come meteore, espressioni di gruppi ristretti di intellettuali e di scrittori che si pongono il compito di svecchiare la cultura provinciale fiorentina (e italiana), proponendo giovani autori, rilanciando correnti e personaggi apparentemente dimenticati, creando occasioni d’incontro e di amicizia letteraria.

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