Mi trovo costretto a fare cumulativamente gli auguri per l’anno che sta per cominciare, non essendo in grado di inviarli e rispondere singolarmente. Voglio farne, però, un atto di scelta profonda e di piena libertà.
Il virus mi ha messo davanti all’essenziale, e sempre più mi convinco che si tratti di un’occasione preziosa non solo per me, ma anche per quelli che incontro nel cammino. L’effetto del Covid è quello di darmi il tempo di tornare alle radici, là dove ho incrociato la vita per la prima volta. Per me è stato l’incontro con don Mario, che mi ha fatto scoprire l’uomo alla maniera di Cristo: che crede, ama, spera; ha fiducia nel prossimo, è mite, umile, scopre l’amore per la vita, fa esperienza della croce; è libero e uno con lo Spirito, puntando alla verità; prega, è figlio di Dio (cioè docile, obbediente, coerente, perseverante), porta vita e gioia ed è misericordioso. Quanto sia stato lungo e contraddittorio il mio cammino, rispetto a un simile orizzonte, tutti lo sanno.
Il coronavirus, oggi, mi mette ancora davanti a questa luce intramontabile, alla mia vera identità. E mi spinge ad augurare a ciascuno di voi di poter ritrovare, a sua volta, le radici autentiche della propria vita, perché la tempesta che ci sta sconvolgendo non passi inutilmente.
Perdonatemi se non rispondo ai messaggi, ma mi è fisicamente impossibile.
Gesù vorrebbe che raggiungessimo tutti col Suo sorriso, con la Sua voce amabile. Ciò dà un’idea del cammino che ci aspetta. L’importante è non scoraggiarsi, di fronte alla salita.
“Ciò che mi opprime non si può curare; è la mia croce e devo portarla da solo, …ma Dio sa quanto si è incurvata la mia schiena per lo sforzo”
(S. Freud)
“Ecco l’uomo” è un libro di Fabrizio Centofanti, Effatà , 2011, – dedicato a Don Mario Torregrossa, l’uomo del fuoco, del sole, l’uomo dell’insonnia, la faccia chiara del mondo, la goccia d’inchiostro di sangue e di miele, colui che non è più tra noi , e tuttavia continua ad essere freccia conficcata nell’altare, vetrata luminosa, croce di pietra e legno con nomi incisi tutt’intorno, memoria di memoria che si inventa una storia, cento, mille storie di mani tese , di voci e di gridi.
Non ti vedo sul tavolo del Grassi, avvolto nel lenzuolo come un beduino. Neanche sulla sedia a rotelle, che annunciava la partenza col trillo inconfondibile. E nemmeno in via Prassilla, in quel su e giù interminabile delle nostre chiacchierate.
Ti vedo nella gloria, vicino al Cristo che hai amato, a Maria, che hai pregato ogni giorno, a Giuseppe, che hai invocato nei tempi della provvidenza. Per questo sei qui, nella povera stanza del Divino Amore, dal tuo amico di sempre: che ancora sente il trillo, ancora ti accarezza, nel lenzuolo del Grassi, che ancora passeggia accanto a te, parlando di giovani e crescita, annuncio e formazione, di fede, speranza e carità. Sei poesia e verità, il mistero dell’amore che mette tutto insieme, per miracolo.
Gesù vuole che parliamo con Lui. Può sembrare strano, perché materialmente non risponde. Ma facendo attenzione, ci accorgiamo che qualcosa percepiamo, nel profondo, una voce di silenzio sottile, inconfondibile.
Prefazione di Marco Ercolani alle poesie di Maria Novaro racconlte in Kairòs, nella collana “Nuvole” (10000eunanotte Edizioni, 2020)
«Ottenere che dopo la morte / le parole scritte // per altri non fossero morte / sarebbe come rinascere / spogliati della paura di morte»: questi cinque versi, che traggo dalla recente raccolta Kairòs, di Maria Novaro, mi attraggono come se vi leggessi la felice epigrafe che ogni scrittore vorrebbe leggere in calce alla sua opera, la piccola resurrezione/rinascita che ogni poeta esige dalle parole è racchiusa proprio in questi versi. Kairòs(in greco “momento opportuno”)è unaraccolta poetica scritta da Maria fra il 1976 e il 1988 e per anni conservata nel proprio archivio personale. Oggi viene pubblicata, nel momento che l’autrice giudica “opportuno”, perché resti una traccia tangibile del suo costante amore per la poesia. Il libro ci suggerisce almeno due riflessioni.
vi scrivo da questa malattia che mi ha colpito nel cuore delle feste natalizie, come se il Signore volesse regalarmi una nascita nuova; e nel cuore di una pandemia che sta scuotendo il mondo, come volesse capovolgerlo. Il significato, secondo me, è questo: la vita va letta all’incontrario. Finché il Cristo non diventa il Signore assoluto della nostra storia, siamo esposti a ogni pericolo, soprattutto quello di ignorare la scala corretta dei valori. Attraversando il contagio, mi è chiaro il significato finale del discorso di Gesù sul monte: ciò che conta è appoggiarsi sulla roccia, perché basta poco per crollare, vedendo vanificati gli sforzi di una vita. Abbiamo bisogno di trovare qualcosa che resista alla mancanza di respiro: e che cosa può essere, se non il Respiro per antonomasia, il Pneuma, la Ruach, lo Spirito Santo, ciò che veramente in noi respira? La mia esperienza, in questi giorni, è guardare a ciò che resta oltre tutte le apparenze del mondo: sì, il mondo è apparenza; l’unica verità è il Cristo, che vive al di sotto della superficie colorata e inconsistente. Ma essendo Colui per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, è in grado di dare consistenza, valore e colore ai dettagli più insignificanti, a ogni gesto, a ogni parola, al saturimetro che è finito vicino al Crocifisso, all’antibiotico che mi fa alzare con il mal di testa, al giaccone invernale che non tolgo da giorni, pur stando rinchiuso in una stanza. Tutto prende senso dallo sguardo che incrocio qui, davanti a me, lo sguardo della Roccia su cui voglio fondare la mia vita, il Pneuma che mi fa respirare, la certezza che al di là di qualunque evento resta l’evento del Suo amore. Vi ringrazio per la massa immensa dei messaggi. In questo momento ho bisogno di una cosa: quella qôl demamah daqqah che certamente ricordate, la voce di silenzio sottile in cui il Signore, finalmente, parla.
Un abbraccio da lontano, ma anche da vicino, a tutti e a ciascuno
Gesù ci attende, ma noi siamo distratti. Il canale della comunicazione non è libero, non troviamo sempre un punto di contatto. Il filtro giusto è la triade verità, bontà e bellezza: finché la lunghezza d’onda sarà un’altra, comunicare diventa problematico.
Marco Candida, “Donne, pizzi e nuovi merletti” – Introduzione al volume A Woman Celebration, Collana Paper Club 1978, Volume One (ed. AIMagazinebOOks)
Nel Medio Evo le donne venivano considerate streghe e bruciate sul rogo. Oggi, invece, per rimpinguare le casse degli studi legali o per vendere più copie di giornali alle donne vengono riconosciuti diritti di ogni sorta: possono lasciarlo in mutande, un maschietto, se ne hanno voglia. Insomma, dal Medio Evo a oggi non è cambiato molto della concezione femminile: la donna non è ancora considerata persona. Di là era una strega. Oggi ha nel battiscopa mille stampelle e ha mille paracadute sul groppone. Certo, meglio oggi di ieri, ma un pezzetto di strada, forse, va ancora fatto. Dagli uomini, in particolare. I quali detengono ancora il potere. Sono gli uomini che manipolano la vita femminile, anche oggi, nel 2020. Una donna non è ancora libera di esprimere la sua femminilità come desidera se per caso ha delle ambizioni: perché è all’uomo di potere (il capetto, il sergentino, il boss, il comandante in capo) che deve piacere. Il sistema che offre stampelle e paracadute alle donne, poi, è dominato da una concezione vetero-maschilista della donna. Non sono ancora vere stampelle e non sono ancora veri paracadute. Bisogna fare ancora un bel pezzetto di strada.
L’anno che verrà è il più atteso, forse, nella storia dell’umanità. Un Anno Mille inverso. Nel senso che non c’è da attendere la fine del mondo (ovvero di un mondo); per la semplice ragione che questa, in qualche maniera, è già arrivata. Adesso vorremmo mettercela alle spalle. Un prezioso viatico di passaggio verso una stagione più serena di umanità potrebbe essere l’Agenda per il 2021 della Biblioteca Apostolica Vaticana, con le immagini dei tesori in essa custoditi e le notizie storiche sulla Biblioteca e i suoi fondi. Le parole di Papa Francesco sulle donne annunciano il tema di quest’anno, la donna, nelle molteplici rappresentazioni di gesti, sguardi, sentimenti; e poi testi di figure femminili che hanno segnato la storia, l’arte, la letteratura, o la semplice vita quotidiana. Nomi di donne molto note o appena conosciute. E se consideriamo il pesante e doloroso tributo pagato proprie dalle donne in questo (anche) violento lockdown, si può dire che questa Agenda sarà la strenna più augurale (e non solo per le donne) per i prossimi giorni a venire; un vero e proprio “arbor felix” (la parola strenna deriva, appunto, dal dono di un ramoscello preso nel bosco sacro della dea Strenia) di buon augurio.
Gesù può sentirsi abbandonato? A giudicare da quanti non lo cercano, si direbbe di sì. È bello pensare che, prestandogli attenzione, amandolo, alleviamo la sua misteriosa solitudine.
Erigerò in tuo ricordo un tempio di silenzio
ovunque andrò su questa terra: silenzio
che a volte appare quale alberi spogli
e a volte acqua sorgiva
tempio alla cui porta si incontrano le creature del silenzio.
Parlerò solo alla luce. Il vento di quanto
dico potrebbe rubare
un tappeto di desideri e il sole entrarvi
in una foresta in cui ombra e luce si uniscono
erigerò in tuo ricordo un tempio di silenzio
proclamerò quel che avevo ripetuto:
il mio corpo è un altro tempio
per il tempio del silenzio.
“Dell’altra moltitudine che abbiamo di versi, quasi infinita, ha scelto ciò che gli è riuscito o più elegante, o più poetico, o anche più filosofico, e infine, più bello […]” ( Tratto dalla Prefazione alla crestomazia italiana de’ poeti di Giacomo Leopardi)
Il problema è uscire da se stessi. Tutto ciò che conta è nel profondo. I sogni, non a caso, arrivano da lì. E il Re del castello attende, per svelarci i suoi segreti.
Sorridere non costa nulla: è l’amore gratuito che sboccia da un cuore liberato. Non il sorriso stampato di certe aggregazioni sociali o religiose, che nasconde ben altri sentimenti, ma quello che forse non si vede, ma si svela nei fatti. Il sorriso di Dio trapela attraverso le gioie e i dolori della vita, segnale di pace più che umana.
Anna Belozorovich è nata a Mosca nel 1983. Ha scritto in russo, in portoghese, in italiano. Ha concluso un dottorato di ricerca in Scienze del testo presso ‘Sapienza’ Università di Roma, dove attualmente è ricercatrice e docente di lingua russa. Ha curato la rubrica “poesia dal mondo” per la fanzine online “Versante ripido”. È autrice di diverse pubblicazioni in prosa e in versi, tra cui il poema L’uomo alla finestra (Besa, 2007), il romanzo 24 scatti (Besa, 2015), le raccolte poetiche Qualcosa mi attende (LietoColle, 2013) Il pesce rosso (Il seme bianco 2017), Il debito (LietoColle, 2017). Ha tradotto dal russo e curato i volumi Poesia (Lithos, 2015) di Kazimir Malevi?, Asja (Croce, 2018) di Ivan Turgenev, Il ragazzo di guttaperca (Croce 2020) di Dmitrij Grigorovi?. Nel 2019 è uscita la sua monografia Dal ventesimo meridiano: Migrazione, violenza e scrittura femminile, tra Est e Ovest europeo (Lithos).
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