Archivi categoria: Scritture

Scaletta sì, scaletta no

di Riccardo Ferrazzi

Qualche mese fa, poco dopo l’uscita del romanzo “Modus in rebus”, un lettore mi ha scritto per chiedermi: “Lei quando scrive un romanzo fa prima una scaletta?”. 

Ho risposto: “Generalmente no” e non mi sono addentrato in una spiegazione. In realtà, la scaletta bisognerebbe farla per dare una risposta esaustiva a questa domanda. Ma quel lettore si aspettava probabilmente una risposta ampia e argomentata, e si sarà sentito defraudato. 

Ora: l’ultima cosa che può permettersi uno che scrive e pubblica un romanzo è defraudare i suoi lettori. Sia che non risponda, sia che lo faccia rimasticando qualche chiacchiera da “scuola di scrittura”. Avevo il dovere di spiegare perché “generalmente” non faccio una scaletta, e dovevo farlo senza dare l’idea di disprezzare chi invece la scaletta la fa. Quindi dovevo pensarci su. Continua a leggere

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Alla ricerca del “buon lavoro”: il saggio di Manuela Perrone e Stefano Cuzzilla

Il lavoro, anzi, il “buon lavoro”, è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Quando in passato ho sentito l’esigenza di cambiare, ho inviato il curriculum a tante case editrici, mirato dove avrei voluto. Mi hanno chiamato dopo 4 anni perché si era liberata una posizione, sono stata in prova per 2 anni e adesso posso dire di fare un “buon lavoro”, che è quello che mi piace, per il quale ho studiato e lasciato casa venticinque anni fa.
“Che cos’è, però, oggettivamente, un ‘buon lavoro’?” Una domanda alla quale questo libro risponde con casi di studio, statistiche, dati, interviste ai più importanti imprenditori, manager, responsabili del settore Risorse umane del nostro Paese. Fa il punto su come lo stesso concetto di lavoro sia cambiato dopo il Covid, di quanto la pandemia sia stata uno spartiacque potente sia per l’organizzazione pratica del lavoro che per le aspettative che ognuno ha, pensando all’impiego ideale.

Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane è un saggio che convoglia in un canale altamente affidabile tutto il rumore e i luoghi comuni che ruotano attorno alla questione e ne restituisce la molteplicità di voci e aspetti, attraverso il racconto di esperienze e pratiche reali. Il giovane choosy, gli anziani che non vogliono lasciare il posto di lavoro, l’intelligenza artificiale che incombe, tutto viene rivisto in chiave reale, lontana dalla narrazione non sempre corretta degli ultimi anni, e secondo una nuova filosofia del lavoro che presenta tesi molto interessanti.
I due autori – Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, CIDA e Trenitalia e Manuela Perrone, giornalista de Il Sole 24 Ore e viceresponsabile di Alley Oop – L’altra metà del Sole ? partono da due parole chiave che possono essere considerate i punti cardine del loro percorso di ricerca: benessere e persone. Continua a leggere

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Ancora attorno alla via Canonica

di Antonio Sparzani

In via Canonica (continuando questo passeggiare) c’è naturalmente la farmacia Canonica, che ha la bella abitudine di essere aperta quasi sempre, chiude nelle più buie ore della notte, ma domenica e vacanze non ne conosce, anche oggi, che è il Lunedì dell’Angelo è bellamente aperta, mentre per trovare un bar aperto, per bere il mio gin-seng, devo girare un po’. Il difetto di questa farmacia è che non vogliono i cani, neanche quelli belli come Jim. Un giorno che l’ho portato con me ben legato al guinzaglio, il farmacista grande capo mi ha redarguito e mi ha mostrato sul suo smart il filmino di Jim che faceva pipì su un basso scaffale. Ma, dico io, invece di perder tempo a fare il filmino, non poteva gridarmi allora di stare attento? Mah, non si sa mai con i farmacisti.
E poi c’è l’altro mistero del gin-seng: ormai quasi tutti i bar lo fanno, tranne pochissimi, e tutti hanno ormai l’apposita macchinetta, tipo espresso, ma dedicata solo al gin-seng; la cosa che non capisco io è come mai c’è tutta una varietà di sapori e densità diverse. Ma non è sempre la stessa macchinetta? Naturalmente ora ho una chiara classifica dei bar della zona e ce n’è uno che è il mio preferito, fa il mio gin-seng preferito, e fa anche la relativa tesserina con dieci quadratini così che quando ne hai bevuti dieci, l’undicesimo è gratis. Continua a leggere

Frammenti di Cinema # 73

di Pasquale Vitagliano 

Ci sono due colonne di confine del cinema spaziale. 2001: Odissea nello spazio (1968) prodotto e diretto da Stanley Kubrick (con il suo prototipo Ikarie XB 1 diretto nel 1963 dal ceco Jindrich Polák)  e Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij. Ogni altro film ha puntato al loro vertice di qualità senza mai superarlo. Hanno fornito un canone oscillante tra profezia tecnologica e simbolismo etico. Chi lo ha abbandonato è scivolato verso uno scontato e prevedibile prodotto di genere. Il capolavoro russo è stato seguito dal remake di Steven Soderbergh del 2002 con George Clooney, dandone una versione psicanalitica e bergmaniana. Dieci anni, nel 1977, dopo l’Odissea di Kubrick, Peter Hyams ci racconta con Capricorn One la dietrologia del (presunto) falso allunaggio.

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Dal nuovo romanzo

Era il giorno della parasceve. Mi rendo conto che il nostro libro prende sempre più la forma narrante del Vangelo, forse perché è il nostro vangelo, la parola che diventa carne nei fastidi quotidiani, nelle paure sotterranee, nelle contraddizioni che sempre affollano la vita. Forse il Vangelo è vero solo in queste pagine, in questo va e vieni tra il progetto e l’attuazione, tra lo sguardo limpido del Cristo e i nostri occhi assonnati, incapaci di vegliare solo un’ora. Avevamo desiderio della luce, e nello stesso tempo l’ombra ci assediava, come se fosse impossibile vivere se non nell’unione degli opposti, che Cusano ci aveva insegnato nelle sue pagine difficili. Forse la vita è in queste righe che si accavallano e si sommano, nei pensieri che passano per labirinti intricati, perché solo Dio è semplice, come diceva don Mario, e noi siamo discepoli pieni di dubbi e di conflitti da sciogliere nel giardino della risurrezione, nei chiari del bosco di un dono immeritato. Era il giorno della parasceve. La luce che tanto attendevamo sarebbe sorta – ne eravamo sicuri – prima o poi.

 

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Non ho avuto il tempo di finire

Il post che avevo programmato alcuni mesi fa per la giornata di oggi era dedicato alla memoria di Selma Merbaum, giovane poeta ebrea, nata 100 anni fa, il 5.2.1924 e morta a 18 anni, vittima della Shoah. Non è rimasto molto di lei, una foto e cinquantotto poesie che ho tradotto nel 2009 in italiano con il titolo: Non ho avuto il tempo di finire.
Infatti, queste sono le ultime parole che Selma, all’indomani della deportazione, scrive nel suo album di poesie prima di consegnarlo a una amica.

Non ho avuto il tempo di finire.
Nella luce della violenza inaudita che si scatena contro la popolazione civile palestinese in questi mesi e che si sta intensificando di giorno in giorno, le parole di Selma si caricano di un significato che trascende il suo destino individuale.
Chiunque non abbia il tempo di finire di lavare i piatti, di dare da mangiare ai bambini, di cucinare la cena è fonte della nostra vergogna. Ieri gli ebrei, gli armeni, i tutsi, i bosniaci e tutte le etnie che sono state perseguitate e uccise sotto gli occhi di chi ha preferito far finta di niente per indifferenza o interesse.
Se pretendiamo di aver imparato qualcosa dalla storia, la commemorazione delle vittime della Shoah ci costringe di stare, a prescindere, dalla parte di tutte le vittime di pulizia etnica di tutti i tempi. Hanno bisogno di noi i morti e i vivi affinché loro non diventino i dimenticati di domani.
Chi non ha il tempo di finire ha il diritto dell’incondizionata solidarietà da parte di chi, invece, ce l’ha.
Tacere davanti ad un crimine contro l’umanità come viene commesso in questo momento da parte del governo Netanyahu equivale all’identificazione con la logica utilitaristica dei governanti che considerano l’essere umano nient’altro che una pedina nell’eterno gioco per soldi e potere.

Non ho avuto il tempo di finire, scrive Selma, riassumendo in poche parole scarne la tragedia di chi perde la vita in mezzo alla vita. Tutto ciò che succede ti riguarda, recita un verso del poeta tedesco Günter Eich. A noi che oggi, speriamo di poter finire quello che abbiamo iniziato, ci riguarda ogni pasto cotto a metà, ogni frase interrotta, ogni gatto che questa sera non mangerà e ogni poesia senza fine. Se non comprendiamo questo, siamo persi. O ci salviamo tutti, o non si salva nessuno.

Stefanie Golisch, 3.2.2024

Selma Meerbaum-Eisinger: Non ho avuto il tempo di finire. Poesie sopravvissute alla Shoa. A cura di Adelmina Albini e Stefanie Golisch, Milano, 2009. (Mimesis Edizioni)

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Si mise a servirli
(le preposizioni della Libertà)

[Mc 1,29-39]

 

?Durante la pandemia da COVID, abbiamo toccato con mano quanto fosse importante la sensazione di libertà deturpata che si stava percependo intorno a noi e, in qualche modo, dentro di noi.

Sembrava come se, fino a quel momento, non ci avessimo fatto caso, ma, tutto insieme, ci apparve  lo spettro della malattia incurabile. Non era solo un’ ipotesi, si trattava di una vera e propria espropriazione di sé. La minaccia della malattia minava i rapporti amicali e perfino quelli familiari. Continua a leggere

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Dal blog AUT | OUT

Sono venuta a conoscenza di questo blog, AUT|OUT dove un trentenne scrittore autistico posta alcuni suoi pensieri e riflessioni, dato che la comunicazione vocale gli è difficile.

I suoi scritti sono piccoli tuffi in mondi nuovi resi accessibili da una bella prosa. Vi invito a seguirlo postando un testo dal titolo:

A gente che ha paura di me.

Vorrei dirvi che mi trovo bene in questo angolo e amo quello che sto facendo. Scrivere diventa sempre di più il mio progetto attuale di vita. Scrivere forte per accendere quelle luci, per aprire le porte e per far parte della vita. Scrivere forte per aprire ad altri un mondo che fa paura e che sembra strano, incomprensibile o malato. Ma io non sono malato, né incomprensibile se abbiamo un linguaggio condivisibile, se abbiamo fiducia reciproca, se abbiamo un qualcosa da condividere. Scrivere per raccontarvi la mia vita alla finestra. Perché alla finestra? Perché io guardo, osservo e non sempre posso condividere la vita di tutti. A volte mi sento in gabbia, altre volte mi sento affacciato ad un balcone, altre volte dietro i vetri chiusi. Posso cercare un perché. Ma io lo so il perché. Un perché difficile? Sì, spesso sì, molto. Difficile farsi capire. Poi difficile doversi sempre giustificare.
Continua a leggere qui.

Incontro – coda….

Nessuna immagine

di William Waring Cuney (USA, 1906-1976)

Non sa
di essere bella,
pensa che il suo corpo scuro
non abbia gloria.

Se potesse danzare
nuda
sotto le palme
e vedere la sua immagine nel fiume
potrebbe scoprirlo.

Ma non ci sono delle palme
sulla strada
e l’acqua dei piatti non rispecchia
alcuna immagine.

Noi

di Stefanie Golisch (Germania, 1961)

In tuta da casa grigia, c’è un buco nella
gamba destra, il colore dello smalto è
blu, vedo le sue mani quando fuma sul
balcone. Non so cosa fa quando non fuma
sul balcone, forse la stessa cosa che faccio
io dall’altra parte del muro: non scrivere
poesia. Il colore del mio smalto è rosso,
so che lei lo sa
No images

She does not know
her beauty,
she thinks her brown body
has no glory.

If she could dance
naked
under palm trees
and see her image in the river,
she would know.

But there are no palm trees
on the street,
and dish water gives back
no images.

Traduzione Stefanie Golisch
Il quadro è di Xenia Hausner

Il tempo, i giorni e gli anni

Karl Krolow (Germania 1915-1999): Tre poesie

Tempo

Tempo: qualcosa
che sporca le tasche
di sangue.
Piove vita
dai corpi aperti.
I giorni
e le sue silenziose imprese
con gli uomini
che si perdono.
Nella sabbia
un mese dipinge
la propria immagine per consegnarla
al prossimo, senza nesso
con quello che verrà.
Il bel tempo
non cambia il carcinoma.
Le carte belle in ordine
bruciano anno dopo anno. Continua a leggere

Incontri XXXIII

Paolo Leminski

Scontrarii

Ho detto alla parola di rimare
ma lei non m’ha ubbidito.
Parlava di mare, di cielo, di rosa,
in greco, in silenzio, in prosa.
Sembrava fuori di sé,
la sillaba silenziosa.
Ho detto alla frase di sognare
e s’è persa in un labirinto.
Fare poesia, mi sa, questo e basta.
Dare ordini a un esercito
per conquistare un impero estinto.

William Carlos Williams

Solo per dirti

Ho mangiato
le prugne
che erano
nel frigorifero

e che
probabilmente
hai conservate
per colazione

Scusami
erano deliziose
così dolci
e così fredde

Desencontrários

Mandei a palavra rimar,
ela não me obedeceu.
Falou em mar, em céu, em rosa,
em grego, em silêncio, em prosa.
Parecia fora de si,
a sílaba silenciosa.
Mandei a frase sonhar,
e ela se foi num labirinto.
Fazer poesia, eu sinto, apenas isso.
Dar ordens a um exército,
para conquistar um império extinto

This is just to say

I have eaten
the plums
that were in
the icebox

and which
you were probably
saving
for breakfast

Forgive me
they were delicious
so sweet
and so cold.

Traduzioni di Massimiliano Damaggio e Stefanie Golisch.

Paolo Leminski: Distraídos venceremos/ Distratti vinceremo, a cura di Massimiliano Damaggio, L’arcolaio editore, 2021.

Un presepe africano

di Kika Bohr

Anche a luglio, come durante tutto l’anno, il lunedì e giovedì, sotto casa nostra abbiamo uno storico mercatino di frutta e verdura. Negli anni si sono aggiunte alcune bancarelle di vestiti nuovi ed usati, prodotti per la casa, libri e due bancarelle di bric-à-brac, che mi incuriosiscono sempre. Ma l’ultima bancarella arrivata in ordine cronologico, proprio sotto la nostra finestra, è quella di un venditore africano che vende soprattutto ceste, bellissime ceste di ogni grandezza, con coperchio o senza, di paglia di colori meravigliosi. A volte espone anche stoffe del Mali e statuette in legno di animali. Mi è stato impossibile resistere al fascino di alcune di queste e così ho cominciato col comprare prima una pantera con un orecchio difettoso ma dalla forma molto sinuosa assieme a un lepre seduto, dall’aspetto serio, poi una giraffa con lo sguardo dolce rivolto all’indietro. Qualche mese dopo non ho resistito a un rinoceronte rugoso e scuro. Infine un bufalo africano rossiccio e panciuto, anche lui con le orecchie poco ortodosse. Avevo già in casa due “ombre”, magrissime figure in legno di donne africane stilizzate con un bambino sulla schiena, acquistate davanti alla Statale quando ero ancora studentessa, una testa scura di ragazza con le treccine, comprata dieci anni fa per due euro da Emmaus (mi sono vergognata di averla pagata così poco) e un “albero della vita” con cinque figure umane che si arrampicano, piccolo prodigio di scultura artigianale – meraviglia di stilizzazione e di equilibrio tra pieni e vuoti – comprata da un robivecchi egiziano (anche lì, cinque euro!). Continua a leggere

Tutto ciò che succede ti riguarda

di Stefanie Golisch

Lo stato delle cose.
A un certo punto, le cose sono andate come non dovevano andare, ma qual è quel certo punto? Quando ha cominciato che la difesa della pace e del principio della non-violenza sono stati buttati ufficialmente nella spazzatura della storia?
Sarebbe ipocrita ignorare il fatto che le due guerre in corso, che vengono utilizzate dai mass-media per dividere il mondo in buoni e cattivi, facciano parte di una catena ininterrotta di conflitti armati che raramente concedono una tregua. Si sa, ma è nella natura dell’uomo escludere dal proprio campo visivo ciò che non gli tocca direttamente. L’idea che tutto ciò che esiste è collegato e che le nostre azioni e i nostri pensieri risuonino nel mondo e perfino nell’universo, è per la maggior parte un’astrazione, se non una assurdità a prescindere.
Eppure l’esperienza vissuta insegna che è proprio così. Tutto ciò che succede ti riguarda recita un verso del poeta tedesco Günter Eich: il bene, il male e i vasti paesaggi di ombre e ambiguità che sono il teatro del nostro maldestro vivere. Ogni volta che una persona muore violentemente, tutta l’umanità si macchia di sangue. Il peso della responsabilità non è mai soltanto di chi è direttamente coinvolto, ma di ogni uomo. Continua a leggere

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Incontri XXXI

Franz Kafka (1883-1924)
da: Bambini sulla strada di campagna

Andai verso quella città, della quale si diceva nel nostro paese:
“Lì c’è gente, pensate, che non dorme!”
“E perché non dormono?”
“Perché non hanno mai sonno.”
“E perché non hanno mai sonno?”
“Perché sono matti.”
“Ma i matti non hanno sonno?”
“Come fanno i matti aver sonno?”

Rachel Wetzsteon (USA, 1967-2009)

Blue Octavo Haiku

dopo Kafka

Indolenza e impazienza
sedute su grosse poltrone,
pianificando la mia rovina.

Una gabbia malvagia
volava lungo l’orizzonte
alla ricerca di un uccello.

Bruciavo d’amore,
in stanze vuote voltavo
coltelli contro di me.

“Guarda il cancello luminoso”,
disse il guardiano. “Ora vado
a chiuderlo. “

Appena avevano pulito la strada,
cadevano nuovi mucchi
di foglie secche.

Ma nulla uccide la fede
come una ghigliottina,
tanto pesante, tanto leggera.

Felicità? Trovare
il tuo nucleo indistruttibile
e abbandonarlo a sé.

Nel cielo
volava senza fiato
una legione di corvi impossibili. Continua a leggere

Incontri XXX

Reiner Kunze (Germania, 1933)

sotto gli alberi che stanno morendo

Abbiamo offeso la terra, si prende
indietro i suoi miracoli

Noi, di questi miracoli
uno

Stefanie Golisch (Germania, 1961)

Sotto un cielo cadente

Io non sono fatta per te e tu non sei fatto
per me, siamo fatto per renderci liberi
l’uno dell’altro

r.m.drake

essere umani è
essere rotti e
rotti è un modo
proprio di essere belli Continua a leggere

Incontri XXIX

E.E.Cummings (1894-1962)

Ma questa sera vengo con un sogno negli occhi.
Con una rosa busso alla porta del tuo cuore senza speranza –
Aprimi!
Perché ti voglio mostrare posti nessuno conosce.
E se vuoi,
posti perfetti per dormire.

Bert Brecht (1898-1956)

Dove state andando? Da nessuna parte. Da chi state scappando? – Da tutti.
Vi chiedete, da quando sono insieme?
Da poco. – E quando si lasceranno? – Presto. Continua a leggere

La Signora Adele

di Kika Bohr
Questa mattina, camminando al parco tra le foglie secche, guardando le meravigliose chiome gialle dei tigli e rosse degli aceri e i rami spogli che spuntano sopra il fogliame, mi sono sentita propensa ad evocare ricordi belli. E improvvisamente mi è venuta in mente la Signora Adele: “Adeladle” come la chiamava la bambina del primo piano. La nostra vicina di pianerottolo Salvagni Adele come stava scritto sulla casella delle lettere. Sulla sua porta in fondo al ballatoio invece non c’era scritto nulla, non c’era il campanello, le persiane sempre chiuse erano foderate con carta di giornale. Per salutarla quand’era in casa si doveva bussare forte perché era un po’ sorda. Ma non era spesso in casa perché andava al parco con la sua borsetta nera, un po’ di rossetto rosa e un cappello di lana a turbante grigio, e si sedeva a guardare la gente che passava. Continua a leggere

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Disinnescare da dentro. La testimonianza di Etty Hillesum

di Raffaela Fazio

Etty Hillesum, giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz nel novembre del 1943, risponde alla guerra, o meglio all’odio che la guerra comporta, con un duplice movimento di disinnesco, interiore ed esteriore: 1) un profondo scavo introspettivo per estirpare dentro di sé le radici delle pulsioni negative (le stesse che si riconoscono negli altri), superando quei sentimenti “a buon mercato” e non risolutivi come il rancore e il desiderio di vendetta, e mantenendo vivo il senso di gratitudine, di fiducia e di accettazione, accettazione che non è rassegnazione o fatalismo, ma capacità di trasformare la prova in forza, in energia costruttiva e benevola; 2) un’appassionata, quotidiana dedizione agli altri, nella consapevolezza di ciò che ogni scelta implica e nell’incrollabile amore per l’umanità, nonostante le aberrazioni e le atrocità del suo tempo. 

Etty guarda in faccia il dolore e non si tira indietro. Vuole esserci. Vuole essere là, per condividere il destino della sua gente, alleviandone come può la sofferenza e testimoniando fino in fondo che “la vita è bella e ricca di significato” e che “ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale”.

A mio parere, il messaggio di Etty non solo è sempre attuale, ma è anche sempre attuabile se si coglie il suo fulcro: non preoccupiamoci di cambiare il mondo, ma pensiamo a cambiare noi stessi. Cambiare noi stessi è sempre possibile (per quanto richieda un lavoro costante): questa è la nostra vera libertà. Una libertà che nessuno, in nessuna circostanza, potrà mai sottrarci. Il resto poi verrà.

 *

(per Etty Hillesum)

Dentro
mi porto tutto
anche a fatica, col fiato corto.
La vita, una cesta piena
sino alla fine.
E se interrotta
farò il mio meglio
sulla soglia di un’altra stagione
passerò – staffetta –
il testimone.

Raffaela Fazio
da Gli spostamenti del desiderio (Moretti&Vitali, 2023)

Qui, il link a: “Versipelle. Poesie di guerra e di pace. Raffaela Fazio e Etty Hillesum” (15/11/2023)

https://www.youtube.com/live/chvFyl__ZQs?si=lURcPwnnZ25vmJMp

La parola ai poeti. Patrizia Baglione


E c’è che vorrei il cielo elementare azzurro come i mari degli atlanti

la tersità di un indice che indica questa è la terra, il blu che vedi è mare.

Pierluigi Cappello

Questi versi di Cappello cui sono molto legata – mi accompagnano in lunghe passeggiate nelle vie dell’eterno. Versi indelebili. Tatuati fino all’ultimo strato di pelle. In fondo è a questo che serve la poesia: a condurci in luoghi sospesi, senza tempo, nel vuoto più assoluto che si trasforma in pieno. Una linfa che scorre tiepida all’interno, che non brucia, ma fa parte del corpo stesso. Un’amica a cui confidare le cose più tenere e disgraziate. Una compagna fedele negli anni avvenire. Delude poco, se non pochissimo. Ti resta accanto mentre tutto il resto del mondo prova a sbriciolarsi sotto i piedi. La poesia è azzurra. Il mio colore preferito. Celeste, come i mari del poeta. Celeste, come tutta la mia infanzia. Sognare ad occhi aperti, continuare a farlo anche di notte. La poesia è soprattutto sfinimento. Andare a dormire a tarda ora senza far riposare neppure le stelle. Cantare l’alba. Chiedersi – poi in fondo – a cosa porti tutto questo.
A viversi davvero
È dunque la risposta.

Patrizia Baglione Continua a leggere