Questa lettera immaginaria scritta da Ulrich ad Agathe fa parte di un volume virtuale che ne raccoglie altre, non meno immaginarie, tra i personaggi di altri romanzi che sono particolarmente cari al loro ardito e grato estensore, come L’Eugenio Oneghin di Alexander Puskin, La montagna incantata di Thomas Mann, L’idiota di Fedor Dostoevskij, Guerra e pace di Lev Tolstoj. Questa che segue è liberamente ispirata ai due personaggi de L’uomo senza qualità di Robert Musil e dà anche il titolo al libro che, proprio come queste lettere, almeno per il momento è rigorosamente immateriale (Gustavo Micheletti).
Accanto, dentro un dado d’argento di Gustavo Micheletti
(Su l’impossibile amore di un “uomo senza qualità”).
Quando Ulrich scrisse ad Agathe questa lettera, erano trascorsi pochi mesi dalla fine del romanzo e della loro convivenza. Nulla le lasciava presagire una sua simile iniziativa, sebbene l’avesse fantasticata. Forse fu proprio per aver avvertito a distanza il sommesso desiderio che tale fantasticheria rivelava che lui decise, una notte all’improvviso, di scriverla di getto, senza tuttavia mai giungere in seguito al convincimento che fosse necessario, o in qualche modo opportuno, l’inviargliela.
Spero che questa mia lettera non ti sembri fuori luogo come a me in questo momento lo scriverla, che non ti appaia come il maldestro tentativo di gettare un qualche raggio ordinatore sulle nostre vite. Qualsiasi tipo di ordine interiore è conseguibile solo al prezzo del massimo disordine e della quiete irreversibile che porta con sé, per cui sarebbe un’impresa del tutto vana cercare di realizzarne uno di tipo superiore utilizzando quel che ne rimane nel ricordo, dopo che quella quiete è svanita e la vita ha ripreso il suo corso artificioso. Inoltre, il buon esito di un simile proposito potrebbe scaturire solo da un certo esercizio dell’intelligenza, ma poiché l’intelligenza stessa non è intelligente se non serve anche ad amare se stessi, sarebbe inutile produrre un tentativo estremo e tardivo per realizzare ciò di cui ho intravisto la possibilità solo dopo averti ritrovata senza averne colta l’occasione a tempo debito.
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