La caccia alle streghe cominciava. Le due fazioni preannunciate dalla Emmerich si delineavano con chiarezza maggiore, mentre solo i buonisti più incalliti avrebbero potuto ignorare la gravità e delicatezza del momento. A scontrarsi erano visioni del mondo contrapposte: il pensiero classico dell’essere, proprio della tradizione della Chiesa, e le derive nichiliste che fluivano nei mille rivoli del relativismo dilagante. Non avevo mai guardato con tanta simpatia alle pagine del catechismo, a quei numeri che parevano tronchi provvidenzialmente apparsi agli occhi spiritati del naufrago: 1650, 1651…
Per ora non restava che pregare, in attesa degli eventi che avrebbero cambiato il mondo, non con parole avventate e prive di qualsiasi fondamento, ma in base all’evidenza dei fatti. Seguivamo assiduamente i messaggi mariani che convergevano nella stessa direzione, e avevano mostrato di recente un inasprirsi dei toni, un incupirsi del clima di fondo, come se i ben noti scenari fossero alle porte.
Personalmente, ricordavo il primo impatto con la profezia: l’apparire dell’uomo col mio stesso nome, nato nel mio stesso giorno, arrivato al decimo piano dell’ospedale Sant’Eugenio raccomandandomi di stare sereno, perché don Mario, vittima di un terribile attentato, ce l’avrebbe fatta anche stavolta. Da allora in poi, il contatto col carisma profetico mi aveva attraversato come un fenomeno carsico, fino a riemergere con irrefrenabile violenza in quei tempi di grande confusione, in cui persino le guide spirituali più autorevoli davano la netta impressione d’aver perso il filo.