Di Arianna Orelli
Oggi, Domenica 20 Settembre 1999, ho 16 anni e sto lavando i piatti.
La casa è piena di un silenzio strano: i miei si stanno preparando per uscire, mia madre fin nel più piccolo dettaglio, mio padre, già pronto, aspetta come un orso in poltrona e mia sorella, nella nostra camera a pois, è persa in qualche inconsistente occupazione.
Io sento di odiare l’acqua fredda, l’argento metallico delle forchette e dello scolapiatti mi deprime come al solito, ma oggi ho un buon motivo per sollevarmi dal torpore pre-autunnale: fra poco arriva Aldo, è tutto organizzato.
Loro saranno fuori, mia sorella ci lascerà in pace e noi avremo qualche ora solo per noi, da trascorrere fra il rosa/fucsia dei baci prolungati e i fiori del divano.
Da parte mia fingo calma domestica e domenicale. Infatti ho le pantofole.
Questo piccolo particolare, utile più che altro a depistare i miei, mi procura uno stato di agitazione, come se sottraessi verità alle mie azioni, una specie di ladra, di clandestina in casa.
A parte le ciabatte, funzionali, ho scelto tutto con trepidazione: i miei jeans preferiti e la maglietta grigia con gli inserti azzurri, così mi risaltano gli occhi.
Trucco quasi niente, sempre per non destar sospetti.
Fra poco arriva Aldo, e loro non lo sanno.
Fra poco arriva Aldo e mia sorella, che è l’unica a sapere, mi guarda con disagio, poi scompare.
All’improvviso si materializzano i miei, tutti e due sulla porta, una sorta di foto lunga e stretta della coppia genitoriale, mi destano bruscamente dal sogno colorato dei baci e del divano.
“Noi andiamo, mi raccomando ai piatti”.
Infatti, quando arriva Aldo, sono ancora lì a lavare, facendo più in fretta che posso, mentre lui è seduto in salotto, da solo.
Finalmente riesco a raggiungerlo, in genere sono lenta a spolverare, sciacquare, insomma a ramazzare, ma stavolta ho messo il turbo e, tolto il grembiule, volo anch’io sul divano, farfalle nella pancia ed occhi a cuore, come ogni adolescente che si rispetti.
Lo contemplo a distanza ravvicinata: lo sguardo eschimese, i capelli scuri come una notte senza fine e il naso, leggermente schiacciato. In pratica un nativo americano, ma di Talenti, quartiere romano mai sentito prima di conoscere lui, per me un’altra galassia, e che distanza siderale aveva percorso, in motorino, per venirmi a trovare! Continua a leggere→