Archivio mensile:Marzo 2024

Il segreto del tempo

di Giampaolo Centofanti

Poesie nelle quali faccio cantare tante persone, in una persino Gesù. Spesso parla direttamente il protagonista, anche dove non è citato un nome. Sono storie inventate, nate però dalla vita di un prete che vive, cresce, in mezzo alla gente e ne sente il canto. “Maria da parte sua custodiva tutti questi fatti-parole lasciandoli condiscendere nel suo cuore” (Lc 2, 19).

Il segreto del tempo

Sparsi villaggi per i colli
specchiano qua e là raggi
del tramonto. Come fitte
lancinanti di luce o grida
di perché rivolte al cielo.
E velano e rivelano il segreto
del tempo, di ogni sentimento
umano che parla nel silenzio
e attende la risposta di qualcuno
chiedendola all’eterno. Continua a leggere

8
0

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro

Pasqua 2024

«È, e nessuno sa cosa. È qui, è là, è lontano, è vicino, è profondo, è alto! Ma no! Ho mentito: no, non è né questo né quello» diceva un mistico tedesco.

«Voce di silenzio sottile» [1Re 19,12] Quando tutti gli schemi saltano, resta solo una “voce di silenzio sottile”. Dio rivela se stesso senza togliere il velo e lasciando che ancora ognuno tenda l’orecchio per percepire la voce di silenzio sottile. 

Evento notturno, la Resurrezione. Senza testimoni oculari. Nel nascondimento della non-luce.

L’inutilità di una tomba vuota, l’assenza di un corpo noto e amato da coccolare un’ultima volta con profumi e unguenti. E adesso? Che sarà di noi? Che sarà della nostra memoria, così cara?

In greco, “memoria” e “tomba” hanno la stessa radice. Sarà la nostra memoria svuotata come la tomba vuota?

Che cosa conserveremo? Come ricorderemo? Dov’è, adesso, colui che era noto, il cui volto credevamo di conoscere?

« Non è qui».

Continua a leggere

10
2

Edoardo Sant’Elia. Filosofia delle narrazioni contemporanee. La Bellezza 3

Duemila. La tribù delle storie

La Bellezza 3.   Fuori e dentro

  Un pennarello traccia consecutivamente dal basso in alto piccoli segmenti rettilinei. No, in realtà i segmenti, rossi, separati da uno spazio altrettanto piccolo, procedono dall’alto in basso; e procedono in uno spazio che separa due corpi, due manichini. No, non sono manichini perché una mano si contrae, sembra un fremito nervoso. Appare un volto di donna, scultoreo, ed un pennarello traccia altri piccoli segni, a delimitare due seni ben torniti. Di plastica? Può darsi, a giudicare dai torsi femminili posti in fila, ciascuno nella propria scatola. Altri volti, algidi, immobili, ma ecco che due orbite si spalancano rivelando occhi celesti, egualmente algidi. Ed ora uno sfondo, palazzi, palme, in primo piano sempre un corpo; la lenta carrellata si conclude con un nuovo volto plastificato sul cui collo risalgono, dal basso verso il mento, i piccoli segni rettilinei.  Continua a leggere

8
1

20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Con chi dialoga Vito Davoli in Carne e Sangue, raccolta pubblicata nella collana Poeti della Vallisa, Tabula Fati, 2022? Dio, un amore, un doppio, la poesia stessa? “È vero che quel tu può anche non essere sempre riferito all’oggetto amato, ma anche a sé stesso, come in una conversazione intima”, scrive Daniele Giancane nella prefazione. In effetti, lo specchio è molto presente nel testo. Anche se la riflessione quasi mai è fissa e fedele. Invece, è mobile e deformante. Davoli ci rende testimoni dei movimenti di una persona che, alla maniera di Ingmar Bergman, deve ricomporre i frammenti che essa stessa ha materializzato. Cocci di specchi barbagliano di luce/ petali rossi e magenta con me/ come su tomba etrusca. La scrittura di Davoli trasmette una sensazione di formazione permanente. Ci trattiene sulla soglia di un evento che ci cambierà la vita. Anzi, è in bilico su questa linea.

Continua a leggere

10

La distanza

Parlare di santità, oggi, fa ridere. Cos’è rimasto di una realtà che sembra ridotta a fantasia, a delirio di menti arretrate? È qui che si tocca con mano la lontananza da noi stessi, la distanza da Dio. Lui è ancora lì, a scrutare una strada deserta, in attesa del ritorno possibile, testardamente sognato.

12
1

L’arte dello scrivere, di Gualberto Alvino

Poesia non è sfogo, confessione o specchio di “lacerazione esistenziale”, ma grafico d’un’esistenza seconda: trasfigurazione, non verbale; distacco dal sé, non autocontemplazione (ma beninteso: l’io non è necessariamente vitando se flatus vocis, personaggio, correlativo oggettivo); impostura, nascondimento, non già trionfo e squadernamento dei contenuti-significati. Solo così può farsi macchina di moltiplicazione del senso.

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Giovedì Santo 2024

Facile abbandonarsi alla nostalgia, al dolore di un ritorno impossibile, verso patrie esistenti solo nel ricordo mistificatore. Troppo facile. E altrettanto inutile e alienante.
Altra cosa è la memoria.
Non rinnega il passato, la memoria, ma lo interroga e lo abita rendendolo abitabile anche da un presente che pretende il protagonismo, ma che si sa inabile, da solo, a dire parole che siano significative.
Stasera è il tempo della memoria.
« Questo giorno sarà per voi un memoriale» [Es. 12,14] « Come ho fatto io, fate anche voi» [Gv 13,1-15] e « Fate questo in memoria di me»[1Cor. 11, 23-26]
Memoria è ri-presentazione del fatto originante. È un rendere presente e vivo ciò che il passato ha inghiottito, ma che non riesce a trattenere per sé. Così, questa riabitazione del passato ci abita e si fa e ci fa in un presente, il nostro, oggi e qui, che spalanca orizzonti di senso. Continua a leggere

11
1

La parola ai poeti. Evaristo Seghetta Andreoli

La poesia, questa sensazione strana che si veste di parole, me la porto dietro come una malattia, o forse è per me la cura stessa per vivere. Mi risuonano sempre in mente molti dei versi imparati a memoria da bambino, scandivano i miei giorni e le mie stagioni, mi facevano compagnia soprattutto di notte, prima di dormire, dopo le preghiere, quando quel risuonare delle rime mi apriva spazi di musicalità e di fantasia. Già la musica, le litanie, i canti gregoriani, i salmi non potevano che incidere sulla corteccia della sensibilità. Mi piaceva la poesia che mi veniva felicemente imposta a scuola. Continua a leggere

11
1

Dire bene

Dio, nonostante tutto, dice bene di noi. Da qualche parte si ricorda che ogni scarafaggio è bello agli occhi di sua madre. Dio è nostro Padre, e nostra Madre. Chiediamo la Sua benedizione; che, nonostante noi, Lui dica bene.

13

Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow

di Riccardo Ferrazzi

Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow, traduzione di Giovanni Agnoloni, Ortica Editrice.

Questo libretto, che il nostro Giovanni Agnoloni – esperto di lingue e letterature nordiche – ha tradotto da par suo, mi ha messo in crisi. 

Sospetto che la storia narrata sia la cosa meno importante. Subodoro che l’accavallarsi delle diverse narrazioni sia solo apparentemente dovuto a una (sedicente?) raccolta di storie originarie dell’isola di Gotland. Ricordo – con tenerezza, ma anche con un vago fastidio – quanto mi dicevano i nonni a proposito delle storie contadine, che venivano raccontate nella stalla, quando tutta la famiglia si raccoglieva lì nelle sere d’inverno (perché non c’era legna da bruciare nel camino e nella stalla il fiato delle vacche spandeva un po’ di tepore). Ecco: erano storie abbastanza brevi, un po’ gotiche, a volte – come le fiabe – con qualche intento educativo: storie nate con la tradizione orale che stravolge i fatti da cui ha avuto origine, storie comunque slegate fra di loro. Continua a leggere

Cerco il tuo volto, poesie di Paola Meroni

Da Cerco il tuo volto, Signore, Prometheus, Milano 2023, di Paola Meroni

 

DONNE SULLA VIA DELLA CROCE

 

«Gesù, voltandosi verso le donne, disse:

“Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me,

ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.”»

(Lc 23, 28)

Donne, tue compagne,

sorelle, amiche,

quante colpite nell’anima e nel corpo,

violate nei sogni più sacri.

Pietre, insulti,

disprezzo, macerie, abbandono,

deserto di solitudine

senza più oasi di preghiera.

Quante in fila ad attraversare

distese e montagne,

fardelli pesanti sulle spalle e sul cuore,

speranze appassite dal sole.

E Tu, Signore, che tardi

a interrogare ancora i farisei,

a fermare la loro mano

dal crimine atroce.

Posa il tuo sguardo sul loro viso,

attendi quei piedi sulla via del Calvario,

lascia la tua traccia sulla sabbia,

che riapra il futuro, curi i peccati.

*

Continua a leggere

12
0

La parola ai poeti. Marco Plebani

Che sappiamo noi oggi della morte
nostra, privata, poeta?
			 Poeta è una parola che non uso
di solito, ma occorre questa volta perché
respinti tutti i tipi di preti a consolarci non è ai poeti che tocca dichiararsi
sulla nostra morte, ora, della morte illuminarci? 

(da E. Pagliarani "Oggetti e argomenti per una disperazione",1961)

Care lettrici e cari lettori del blog “La Poesia e lo Spirito”.
Mi chiamo Marco Plebani e ho pubblicato una silloge intitolata “DECIMO DAN” (Ed. La Gru) (2022).
Ho scelto questo incipit di Elio Pagliarani, ben noto ai contemporaneisti, ma per me, fino a poco fa,  completamente sconosciuto e l’ho fatto per cercare di motivare ciò che penso accomuni diacronicamente le poesie, sia quelle antiche che quelle contemporanee.
Le poesia, secondo me, può essere figlia dei cataclismi storici e sociali, può includere la morte e può persino cantare le spesa del supermercato, essa annuncia il baratro del suicidio, dà corpo alle alienazioni, al vuoto che si ripete fantasmatico, ma rappresenta, più spesso, lo spero, una scaturigine di “luce orfica”. Un’opalescenza di rispecchiamento.
La poesia brilla, soprattutto quando le grandi narrazioni delle ideologie e della fede vacillano. 
Che la poesia diventi quel viatico laico di comunanza perché i versi ci fanno percepire come  assolutamente fratelli in ogni angolo del mondo.
Con un rinnovato saluto chiudo questa parentesi.
Ringrazio Fabrizio Centofanti per avermi concesso questo spazio di “riflessione”, è proprio il caso di dire…

13

La nuvola

Chi prega col rosario ha la possibilità di far scendere nell’anima la grazia del mistero. Il Vangelo diventa carne e sangue, modificando la vita. Altrimenti la preghiera è una nuvola sterile, che passa così come è venuta.

11
1

Il lastrico di Wojtyla, Simone di Cirene e i suoi profili.

di Gian Piero Stefanoni

“se lo sguardo è un quieto abisso/recato sulla palma aperta”

“Piegarsi e poi lentamente salire/senza sentire in quel riflusso i gradini/sui quali è disceso tremando-/solo l’anima, l’anima dell’uomo immersa in una minuscola goccia,/l’anima rapita dalla corrente”. Così nel 1946 il giovane ma non più giovanissimo Karol Wojtyla a pochi mesi dall’ordinazione sacerdotale invocava in quel Canto del Dio nascosto che già nel titolo racchiudeva in sé nella sua ricerca il processo di uno sguardo appassionatamente rivolto a un divino attivamente presente nel quotidiano operare dell’uomo. Un Dio condividente e condiviso (finanche in poesia) tra gli operai delle cave di pietra di Zakrzowek e nella fabbrica di Solway ma anche un Dio come sappiamo in quegli anni restituito al silenzio nel contraccambio di un ascolto che non ha, non può più domande. Di quali gradini allora, di quale corrente e verso quale atrio (mai più nel giardino?) ci parlano questi versi? Forse dell’uomo (mai più nel giardino) la tentazione dei primi giorni nell’eterna primigenia solitudine, il pensarsi ancora soli, per sempre soli, nel flusso di un buio appunto dove luce non buca e vita non appare. Oppure, per quanto dato, sordi a questo, memori di un accordo che non è possibile sciogliere (“perch’io non vada errando in qua e in là/dietro a dei greggi che non sono tuoi” per dirla col “Cantico dei Cantici”), pur sfigurati o perché sfigurati, consapevoli- e vivi- nella libertà del vortice fino all’apparire, al pronunciare partecipato del nome. Quel nome nel cui Corpo si ha di nuovo corpo nella grata pienezza degli amati. Continua a leggere

12

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro


Domenica delle Palme

Lo Spreco

Entriamo nel mistero. E, alle soglie del mistero, l’uomo ammutolisce. Solo il silenzio è appropriato. Un silenzio abitato dall’unica parola che ha diritto di cittadinanza. La Parola che crea e fonda, stabilisce e provoca.
Il capitolo 14 di Marco, il capitolo della Passione, si apre con una storia di profumo. Si racconta di una donna che versa del profumo prezioso sulla testa di Gesù. Continua a leggere

10

La parola ai poeti. Riccardo Benzina

[…] perché infine ciò che la frase scrive è la propria lontananza dall’origine […]

Aldo Giorgio Gargani

Per sovvertire un pensiero bisogna sovvertire il linguaggio che lo ha generato. E la poesia mi sembra il mezzo più adatto a cogliere questa possibilità, cioè quella di portare avanti un lavoro sulla coscienza, in definitiva: che ha per ultimo oggetto la coscienza. E la parola è un dono di linguaggio e il linguaggio non è immateriale (Lacan), dunque il confronto con la parola non si risolve una lotta corpo a senza corpo, bensì in qualcosa di molto più cruento e brutale e feroce, che io conosco. Le parole altro non sono che una forma antichissima di tecnologia, che è tecnologia vivente e abita uno stato di mutevolezza proprio ineludibile, quel metamorfico esserci delle parole, continuamente morenti e nascenti, risuscitanti. Recalcitranti. Quasi incredibile che riescano a contenere un così vasto arsenale di possibilità così diverse l’una dall’altra, e che queste possibilità si facciano reali o rimangano quiescenti o si esauriscano – e tutto questo brilla e vibra così sensibilmente dentro le parole, attraverso le parole. Ora, è importantissimo conoscere una tecnologia perché funzioni, ma in questo caso ci vuole anche qualcosa di più: bisogna fare in modo che funzioni ancora. Non soltanto conoscere ma anche saper distruggere la parola, perché funzioni, ricomporla perché funzioni, e soprattutto immaginarla altra perché funzioni (perché funzioni ancora). Così l’intelligenza del poeta si adopera nella riproduzione di un attrito fra le parole, con la speranza di accendere una scintilla. Continua non soltanto a sfregare le sue pietre focaie, ma prova ad escogitare maniere nuove di accendere il fuoco. Questi meccanismi, a dire il vero, mi risultano alquanto misteriosi. È la parola stessa, a monte, a risultare misteriosa. Il suo gioco di scomporre il mondo in parti, di approssimarlo infinitamente. Il suo qui-pro-quo che si eleva a potenza, che assurge a sistema. La parola è un gioco di vertigine; la vertigine che danno le parole è qualcosa a cui forse ci siamo abituati. La loro valanga ci travolge da secoli, e quasi non ce ne accorgiamo più. Le parole, onnipresenti sin da prima della nascita, e noi esposti senza tregua a questo mondo altro, delle parole, a questo strano organismo che sopravvive e ci sopravvive e ci ferisce e ci illude e ci condanna e ci (tras)forma… non riesco a dire molto altro, se non che il loro fondamento irradia una luce, ma non si riesce bene a vederne la fonte – e ci si può provare certo – oppure l’origine si può perdere, può essere persa, anche. Continua a leggere