Che sappiamo noi oggi della morte nostra, privata, poeta? Poeta è una parola che non uso di solito, ma occorre questa volta perché respinti tutti i tipi di preti a consolarci non è ai poeti che tocca dichiararsi sulla nostra morte, ora, della morte illuminarci? (da E. Pagliarani "Oggetti e argomenti per una disperazione",1961)
Care lettrici e cari lettori del blog “La Poesia e lo Spirito”.
Mi chiamo Marco Plebani e ho pubblicato una silloge intitolata “DECIMO DAN” (Ed. La Gru) (2022).
Ho scelto questo incipit di Elio Pagliarani, ben noto ai contemporaneisti, ma per me, fino a poco fa, completamente sconosciuto e l’ho fatto per cercare di motivare ciò che penso accomuni diacronicamente le poesie, sia quelle antiche che quelle contemporanee.
Le poesia, secondo me, può essere figlia dei cataclismi storici e sociali, può includere la morte e può persino cantare le spesa del supermercato, essa annuncia il baratro del suicidio, dà corpo alle alienazioni, al vuoto che si ripete fantasmatico, ma rappresenta, più spesso, lo spero, una scaturigine di “luce orfica”. Un’opalescenza di rispecchiamento.
La poesia brilla, soprattutto quando le grandi narrazioni delle ideologie e della fede vacillano.
Che la poesia diventi quel viatico laico di comunanza perché i versi ci fanno percepire come assolutamente fratelli in ogni angolo del mondo.
Con un rinnovato saluto chiudo questa parentesi.
Ringrazio Fabrizio Centofanti per avermi concesso questo spazio di “riflessione”, è proprio il caso di dire…
Pagliarani con la ragazza Carla ha offerto una soggezione un’ umiltà estetica sicuramente nn compatibile con la tua che la protesti in quanto tale la riassumi in una sorta di vademecum post-ale. Mai capirò perché a queste auto prefazioni non aggiungete i versi vostri… Come potrei il quando nn posso?