Archivio mensile:Maggio 2022

Lo spazio perfetto, di Raffaela Fazio

Dopo il lavoro, il venerdì, Francis non si univa mai ai colleghi. Aveva un’unica voglia: far girare la chiave nella serratura e chiudersi la porta alle spalle.

Anche quella sera. Entrò in casa, si spogliò, portò la posta nello studio. Con le dita tamburellò sulla parete, per sentirne la diversa risonanza. Dietro al muro c’era un’intercapedine che lo faceva suonare a vuoto in alcuni punti. Lui e suo fratello, da piccoli, si inventavano storie sulle anime che sarebbero rimaste prigioniere in quell’interstizio e non sarebbero più uscite. “Promettimi che non mi lascerai mai da solo se un giorno mi dovessi perdere nel vuoto tra i muri!” gli aveva detto ridendo Dorian. Continua a leggere

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Le ciliegie sono di un rosso troppo vivo per questa stanza di farmaci e bombole d’ossigeno, con la voce della sorella americana che conserva quel tono pure se finisce il mondo, e l’altra voce, del fratello che si altera, si confonde con quella dei bambini, del piccolo con la febbre a 38, del mondo malato che cerca di guarire, come ci fossero davvero le medicine per salvarsi, e non urgesse una rinuncia, un non aver più ragione, ripetere che le ciliegie, sì, sono decisamente di un rosso troppo vivo per questa stanza di malati, ma se ti arrendi, ti stacchi, ecco che risenti il coro, hanno cambiato solfeggio, come un corpo che cambia ancora pelle, un cuore che si scopre aperto, che risponde a Gesù con le braccia tese, dalla mensola, non so se ce la fa, è molto anemica, rischia di dover fare trasfusioni, ma al Grassi non ci vuole tornare, è bello quando vieni a visitarmi, vero? lo chiede alla sorella americana, come fai a dirle che domani devi andare da un malato grave e non sai se puoi passare, il dottore non si è fatto pagare, ogni tanto una notizia, hanno fatto tre vescovi nuovi, di un rosso troppo vivo, per una stanza di malati, una Chiesa di ciliegie, ma ecco che arriva il messaggio, puntuale, pensavi di averla fatta franca, e invece no, continua il massacro, prima o poi risponderai, quando il cervello salta non ci sono santi, ma pensano di essere i sani, domani, mamma, ci provo, mi scapicollo un po’, magari ce la faccio, mi faresti una bella sorpresa, però mi raccomando, lascia scivolare i pensieri, tre ciliegie e tre vescovi, altrimenti non dormi, lo sai, non dormi neanche questa notte.

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Dalla cucina si vedono i fiori profumati che non ricordo mai come si chiamano, ma loro lo sanno, e prendono il sole alle diciannove e zero quattro di questa quasi estate, in tempo quasi di guerra, in situazioni di emergenza di una quasi vita. Ma tu non lasciarti scoraggiare, lettore, e neanche tu, lettrice, perché c’è sempre una chance, anche quando tutto sembra chiuso, persino la finestra, ma c’è la zanzariera, e poi le sbarre, il cancello usurato dal tempo, che si ricorda di noi piccoli studenti delle medie. Basta poco perché il sole tramonti e appaiano gli uccelli dai canti più strani, quelli della sera, che non ricordo mai come si chiamano, ma loro lo sanno. Si vedono anche i due pinotti che fanno la guardia alla villetta, e poi, davanti, l’albero potato che non sembra più una quercia, se pure era una quercia o qualcos’altro di cui non ricordo neanche il nome. A volte penso che le piante e i fiori si offendano se non li riconosco, loro che stanno sulla terra da più tempo, e solo dopo sarebbero arrivati i personaggi che sì, questo lo so, chiamiamo uomini. C’è uno strano silenzio, interrotto soltanto dalle mosse felpate da infermiera della sorella americana, armata di una pazienza fuori dal comune, che io non potrei avere. Chissà dove sono tutti quanti, se hanno deciso di sparire in questo tempo anonimo di quasi guerra, di quasi vita, di quasi fine del mondo, in cui Gesù sembra vicino, anche se nessuno lo vede né lo pensa, come sempre. Lui c’era prima di ogni cosa e conosce tutti i nomi, anche quelli dei fiori e degli uccelli dai versi più strani, dell’albero potato che chissà se era una quercia. Ora devo andare, ma mia madre mi dirà: perché? e io risponderò sulle note dell’ultima canzone che le faccio sentire, Meraviglioso di Modugno, che ogni volta si commuove e si ricorda che parla di uno che si voleva suicidare, e invece viene un angelo e lo salva. Ecco, l’uccello canta e non so nemmeno il nome, ma Gesù lo saprà, questo mi basta.

In Lui


Pensiamo di aver bisogno di molto, ma l’essenziale è il cuore, per amare. Con Dio abbiamo tutto: anche se perdessimo qualcosa, ci rifonderebbe di ogni perdita. Se perdessimo noi stessi, ci ritroveremmo in Lui.

Grandi pulizie, di Raffaele Greco


“Grandi pulizie”, di Raffaele Greco, è un libro di ricordi lasciati nel cassetto. Prima o poi è bene riesumarli e vedere che cosa se ne potrebbe fare. Non sono tutti sullo stesso piano: dello stesso spessore, suscettibili della stessa intensità  e grado di elaborazione. A volte sembrano smarrirsi in particolari secondari, quasi superflui, altre toccare vertici di senso, nell’ incandescenza di quei nodi che, miracolosamente, contengono qualche inedita rivelazione. Immagini e pensieri, allora, si incidono nell’anima. La parte che, personalmente, ho più apprezzato, è quella intitolata “Flussi”: una serie di scene rapidissime, collegate a citazioni cinematografiche che ne restituiscono un significato più ampio. La cifra stilistica di Raffaele è questa: partire da un dato spesso microscopico e farlo crescere con pazienza, come gli anelli di un albero. In questa prospettiva, ci si aspetterebbe un affacciarsi su dimensioni ulteriori, magari religiose: ma arrivato sulla soglia, persino raccontando fenomeni “soprannaturali”, l’autore ritorna sui suoi passi. Le “Grandi pulizie” sembrano fare piazza pulita di qualsiasi trascendenza. Ma l’impressione è che una domanda rimanga lì, nascosta e illesa, sotto il tappeto del salotto buono.

Raffaele Greco, Grandi Pulizie, Amazon, 2022.

Strada


Noi siamo niente. Anche se ci gonfiamo e ci diamo delle arie, siamo come la rana della favola. La gloria non è nostra ma, come cantavano gli angeli nella notte della Nascita, di Dio. Sentirsi frustrati per questa verità significa aver fatto poca strada.

Poesia italiana del XXI secolo

Isabella Bignozzi è odontoiatra, autore di articoli medico-scientifici di rilevanza internazionale. Ha pubblicato racconti, prose e contributi critici su varie riviste letterarie. Alcune sue liriche sono apparse su «Inverso – Giornale di poesia», «Poesia del nostro tempo», «Versante ripido», «Atelier poesia», «rivista ClanDestino», «larosainpiu», «La foce e la sorgente», «Formicaleone». La sua prima silloge Le stelle sopra Rabbah, è uscita per Transeuropa nel maggio 2021, con una postfazione di Elio Grasso. Una sua prosa inedita è stata finalista alla 35^ edizione del Premio Lorenzo Montano. Con il romanzo storico a memoriale Il segreto di Ippocrate, edito da La Lepre edizioni, è stata finalista al premio Como 2020. La sua seconda silloge, Memorie fluviali, è nella collana Gli insetti di MC edizioni, curata da Pasquale di Palmo.

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Dicono che i Salmi insegnino a desiderare: quel che è certo è che la vita è niente senza desiderio. È inutile che preghi e celebri, predichi e pratichi se non sei la cerva che anela ai corsi d’acqua, se non lasci che sia Dio a costruire la città, se ignori la gioia di quando i piedi si fermano davanti alle tue porte, Gerusalemme. Ecco il canale che conduce all’altra riva, quella che appare solo se ti lasci accompagnare, quando educhi il tuo cuore a sentire perché per questo è fatto, e ricordi quella sera quando il sole spariva portandosi via l’ultimo sguardo, ma tu avvertivi il ritmo, il flusso, quello che passa anche di là, come ogni volta che bisogna vivere davvero e non solo sopravvivere. Sai che in questo tempo è necessario esserci con tutto te stesso perché la resa dei conti si avvicina, sotto forma di salmo anch’essa: beato l’uomo che non indugia nella via dei peccatori, è come un albero piantato lungo corsi d’acqua, e tu lo sai, non ti aspetti i frutti buoni dall’albero cattivo, eppure speri che la gente capisca, che posando lo sguardo nel punto stabilito incroci gli occhi di Dio. È tutto qui, niente trucchi, anche se il coro, invece di cantare, se la ride per qualcosa e trova il modo di non farti dormire, l’Ardeatina è un rombare di moto esagerate e tua madre, dal letto, ti ha chiesto se vieni anche domani: non puoi ricordarle che hai un impegno, la vedi con quegli occhi supplici e le dici che sì, mamma, vengo anche domani. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, si dividono ancora le mie vesti, mi circondano ancora come cani, come tori di Basan, e le porte sbattono nel corridoio, il prete accende la televisione, gli bussi contro il muro, mentre il mondo forse finirà, ma non prima che abbia letto l’ultimo Salmo, lodate, lodate, tutto finisce in gloria se domani torni da tua madre, se il coro comincia a solfeggiare, e il direttore ha già alzato le braccia, amen, alleluja.

Santità


Noi nasciamo per la santità, ma nessuno è obbligato. Il bello di Dio è che lascia liberi, perché sa che non esiste amore senza libertà. Non bisogna mai cedere a ricatti: se qualcuno intende costringere con qualsiasi forma di violenza, anche sottile, è il nemico, non è Dio.

Dell’amore


Nel Credo, incarnazione e passione di Gesù  sono vicine, spalla a spalla. Questo per dire che il Cristo ha sofferto per tutta la Sua vita. La sofferenza che sperimentiamo può essere vissuta in comunione con quell’offerta radicale. Dell’amore non si butta niente, soprattutto quello che rima con dolore.

Tuamore, di Crocifisso Dentello, recensione di Franz Krauspenhaar

 

Volevo fare un’intervista a Crocifisso, a proposito di questo suo terzo libro, Tuamore, edito da La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, suo editore fin dall’esordio. Glielo dissi anche, ma poi pensai: che senso ha un’intervista? Cosa domando? Gli telefono? Ci vediamo in un bar all’aperto liberi dalle maledette mascherine? Gli mando qualche domanda via mail? Ma no!  E comunque, cosa gli chiedo? Come ha organizzato la scrittura? Quante versioni ne ha fatto prima di quella definitiva? Cosa ha provato, cosa faceva d’altro nel periodo della stesura? Continua a leggere

Chandra Candiani, Abitare la meraviglia

Abitare la meraviglia
di Chandra Candiani

Quand’ero piccola, abitavo in una casa con un grande giardino che mi ha salvato. Non solo la pelle-la vita, ma anche l’anima, la meraviglia, il senso magico di esistere.

Dio abitava in tutti gli alberi e nei sassi della ghiaia, uno per uno, in mezzo alle ortensie, sia nei fiori che nelle foglie e nei rami e anche nelle nuvole. Un Dio quieto e silenzioso, un legame che non stringeva e non strattonava, un essere lì, silenziosamente. Era anche una gioia fisica. Come una brezza, un soffio. Come il respiro. E ubriacava ma con grazia. Continua a leggere

Enrico Macioci, “Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Enrico Macioci, Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, TerraRossa Edizioni, 2022

Quella di Alfredo Rampi, il bambino precipitato nel pozzo di Vermicino nel giugno del 1981 e lì morto dopo lunghi e drammatici tentativi di salvarlo, seguiti dalla TV nazionale e, suo tramite, da quasi tutti gli italiani, è una vicenda che ci ha segnati profondamente. Anzi, a ben vedere, è una delle prime di cui io ricordi degli scampoli di immagini televisive, insieme a certi flash di attentati terroristici, così frequenti in quella stagione storica.

Il punto centrale di Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, il nuovo romanzo di Enrico Macioci, uscito da poco per TerraRossa, è proprio questo, come l’autore spiega molto bene nel capitolo di apertura. Quella tragica storia – preceduta, a livello d’impatto, forse solo dalle stragi degli anni ’70 e dal rapimento di Aldo Moro, ma in quei casi non in diretta, e inoltre, giusto un mese prima, dall’attentato alla vita di papa Giovanni Paolo II – ha determinato l’ingresso impietoso e devastante dell’occhio dei media nella vita collettiva. Uno sguardo, il loro, che ha finito per diventare il nostro con una corrispondenza pressoché perfetta, spingendoci senza riserve né pudori nei territori dell’angoscia più radicale (anche se non necessariamente nella direzione giusta, quella della coscienza di sé e della crescita personale).

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