Archivio mensile:Febbraio 2011

30. Veramente

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da qui

Gli sguardi di Viola e Medardo s’incontrano nel viale degli olmi e riflettono il verde e il giallo delle piante, gli sprazzi d’azzurro che si affacciano tra ramo e ramo a rivendicare i diritti del cielo sulla terra, la morale secolare, segno di progresso, ma ora così fragile da ridursi a foglia rinsecchita che precipita al suolo volteggiando, andando a intrecciare un tappeto morbido e umidiccio sul quale i passi producono un rumore imbarazzante. Continua a leggere

Vivalascuola. Digital prof

Il Presidente del Consiglio lascia allibito il mondo della scuola: una delle massime cariche dello Stato all’attacco della scuola dello Stato. Protestano opposizioni e studenti, mentre il ministro Gelmini nega l’accaduto. Indignati insegnanti e sindacati. Il 12 marzo manifestazioni in difesa della scuola pubblica. Per intanto, un appello

La scuola dei tre iati
di Marina Boscaino e Marco Guastavigna

La proposta è quella di aprire un dibattito. E non rispondeteci: “No, il dibattito no”, come Nanni Moretti. Vogliamo tentare, noi donne e uomini di buona volontà, di sfatare l’ipocrisia di chi dipinge un modello professionale da “Digital Prof” e di fatto ci confina – volendoci tali – in un ruolo di perenni amanuensi, possibilmente acritici e acquiescenti?

Lo iato degli iati è tra il teorico identikit professionale del docente (con tanto di dotazione, anch’essa teorica) e la condizione reale che ogni giorno ci troviamo Continua a leggere

L’arte non è democratica. Parola di Flannery O’Connor.


La scrittrice Flannery O’Connor indagò a fondo l’azione della grazia «nel territorio del diavolo». E affrontò una vita assediata dalla malattia con la fede marziale di una Giovanna d’Arco: «Sono sola a presidiare la fortezza…».

di Paolo Pegoraro

Negli Stati Uniti è un’autrice di culto. «La più grande scrittrice di racconti della mia generazione», secondo Kurt Vonnegut, ma l’adorano anche cantanti e registi: Nick Cave e Quentin Tarantino, tanto per fare due nomi. Il critico Harold Bloom l’ha inclusa tra i cento più grandi autori della letteratura mondiale di ogni epoca, dichiarandola sorella di Dante, Cervantes, Shakespeare e Dostoevskij. Perché la lettura di Flannery O’Connor non lascia uguali a prima. Semplicemente non può. Il primo incontro con le sue opere è in genere traumatizzante. La prosa, di una densità intollerabile, tiene incollato il lettore alla pagina costringendolo a vedere ciò che non vorrebbe. Profeti fanatici, bambini impiccati, figure androgine o cupamente scimmiesche, disabili annegati, vecchi rabbiosi, corpi deformi e arti amputati, mostri di rispettabilità e ragazzini molestati, seduttori e ladri e assassini ovunque… un repertorio da far impallidire Bret Easton Ellis. Eppure a offrircelo è una signorina cresciuta nel bel mezzo della Georgia puritana d’inizio Novecento, la quale amava affermare: «Scrivo come scrivo perché sono (non sebbene sia) cattolica». Una signorina che non si compiace mai dell’orrore e tanto meno lo compatisce: lo descrive con l’implacabile comicità della vita, come una storiella che fa ridere chiunque meno il suo permaloso protagonista. Continua a leggere

1. Sequente anno Domini fuit hyemps aspera et orribilis…

La cronaca anonima Sequente anno Domini

Si dà qui notizia del ritrovamento di una cronaca redatta verosimilmente attorno alla metà del XIII secolo, conservata, purtroppo non integralmente (mancano i primi fogli con l’incipit e la parte conclusiva), in una trascrizione secentesca, nel fondo cartaceo di un archivio privato, che si intende mantenere di difficile accesso. Le indagini iniziate per attestarne l’autenticità, necessario corredo di ogni ricognizione documentale, sono state interrotte a causa della pesantissima riduzione dei finanziamenti dovuti a ricerca e istruzione. Della cronaca, scritta in cattivo latino notarile e manco a dirlo anonima (a giudicare dal linguaggio, l’autore è probabilmente un chierico poco itinerante, di cultura medio-bassa, che ha visto giorni migliori), ho curato una prima traduzione. Trito stratagemma. Guarda te se uno deve buttar via il suo tempo in questo modo…

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Sequente anno Domini [lacuna] fuit hyemps aspera et orribilis, ita quod nivis et frigoris superfluitate insolita mortue sunt vinee, olive, ficus et alie multe arbores fructifere. Eodem anno, pestis secuta est avium, et precipue pullum, caprarum asinarum equorum et multarum utilium bestiarum…


Nel successivo anno del Signore… ci fu un inverno rigido e terribile. tanto che per gelo e straordinaria abbondanza di neve morirono viti, ulivi, fichi, e si schiantarono molti altri alberi da frutto. Nello stesso anno, scoppiò una pestilenza di uccelli, soprattutto di polli, e di molti altri animali sì necessari all’uomo: pecore, asine, cavalli.

Le acque intorno a Vinegia ghiacciarono, e tutta la laguna fu a tal punto indurita che barche e navigli si incastrarono, e chiunque poteva recarsi dalla terraferma fino in San Marco a piedi, o a cavallo, se era cavallo così veloce da fuggire la peste.
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LA LIBERTA’ FITTIZIA DI UN POPOLO

Perché un popolo superato il livello massimo di sopportazione nei confronti di un governo, ritenuto inefficiente e iniquo, non può rimuoverlo senza subirne la violenza repressiva o le mille diavolerie dilatorie del leader di turno e della sua corte ruffiana, per tenerlo in vita?
Perché la vita e gli interessi di uno o di pochi devono prevalere su quelli di milioni di altri spacciati per il “bene” dello Stato?
Perché le istituzioni devono prevalere su chi le ha istituite senza piegarsi e adattarsi, invece, prontamente, alle istanze profonde di cambiamento dei cittadini?
Domande che ci si pone e ci si continuerà a porre in ogni tempo e in ogni paese, soprattutto in quelli che hanno visto nascere regimi dittatoriali e liberticidi: come in Nord Africa, di recente.
Premesso che una società civile non può realizzare le sue finalità senza istituzioni solide ed efficienti; premesso che la volontà dei cittadini da considerare non può che riferirsi a una larga parte di essi, superiore alla maggioranza della popolazione votante, mi sembra ora più che mai necessario che ogni paese civile codifichi la possibilità di rimuovere in tempi ristretti e per gravi ragioni un governo in carica attraverso un pronunciamento popolare. Continua a leggere

29. Ricadute

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Riaprendo gli occhi, Cloe vede l’edera che termina con una specie di coda di scorpione, sollevata e pronta a colpire col veleno micidiale. Le sembra di sentire la puntura mortale iniettargli il liquido che si diffonde nelle membra, provocandole un dolore insopportabile; ma è solo la brandina in poliestere e alluminio su cui è rimasta sdraiata chissà quanto, dopo essere svenuta. Continua a leggere

Milano non esiste – di Giuseppe Limone.

a cura di Salvatore d’Angelo
Posto qui questo bel canto civile di Giuseppe Limone, filosofo e poeta. Il 2011 è l’anno del 150° anniversario dell’Unità di questo nostro scassatissimo ( e vitale) Paese. A proposito di festività celebrativa del 17 Marzo e  del pessimo esempio che sulla questione stanno dando i politici di palazzo, se auguri sono a farsi, per quel che mi riguarda credo  vadano fatti  a tutto il Paese, che fatica e essere Nazione. Un augurio che non faccia risuonare ancora il grido dantesco “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello” (Purgatorio, Canto VI vv.76-78), che invece possa servire ad avviare un  dibattito, civile e in profondità, su di noi in quanto Italiani, su di noi in quanto aggregato di territori, di culture  e di accenti dialettali – la nostra grande ricchezza – come ebbero la lungimiranza di capire i padri costituenti nel 1946-48. Un dibattito sui ritardi nell’attuazione di alcuni dettami costituzionali ( le Regioni, previste nella Costituzione, furono avviate solo 25 anni dopo) e  sull’ inattuazione di altre e fondamentali parti. Con l’augurio che vada in profondità sugli aspetti peggiori del nostro carattere e che si possa  addivenire a  proposte  condivise, per  un nuovo assetto costituzionale, politico, amministrativo, frutto del concorso di idee di tutti i territori, alla pari, senza furberie albertosordiste. Auguri di cuore a noi tutti e al nostro Paese. (Salvatore D’Angelo)
MILANO NON ESISTE

di Giuseppe Limone

a  Dante Maffia

Salirono, Dante, dal Sud,
a metà del secolo breve, uomini scuri.
Portavano sudori e ricordi
come carte vetrate sul cuore.
Salirono come tizzoni
su andirivieni di treni
per dar pane alla speranza
e radi varchi di luce alle dita
che coprivano il volto per la fame.
Salivano
come bestiame in cerca di pascoli
che lasciano mari caldi e cieli feriti.
Ruzzolarono da sud a nord
nudi uomini in fila,
italiani emigrati in Italia,
lungo uno stivale troppo lungo che pur era comune. Continua a leggere

28. Dimenticare

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Da quando Alberto ha cominciato a scrivere, si presenta un problema insormontabile: produce racconti su racconti senza riuscire più a distinguere tra realtà e finzione. Rileggendoli, si chiede se abbia vissuto in prima persona quelle scene, se, per esempio, la ragazza dai capelli rossi abbia suonato veramente alla sua porta, a mezzanotte, sfidando il sonno e la buona educazione, o sia un parto malriuscito della sua fantasia di professore, assediato da studentesse in estasi e fidanzati innervositi dal suo successo sorprendente. Continua a leggere

Il male? È un nano miope, codardo e narcisista

Letti&Riletti

A cura di Paolo Pegoraro

 


Pär Lagerkvist è un nome ingiustamente trascurato. Poeta, drammaturgo e romanziere, Premio Nobel del 1951, dalla sua opera più nota – Barabba – fu tratto un kolossal con Anthony Quinn, Vittorio Gassman e Silvana Mangano. Ma il trionfalismo hollywoodiano è quanto di più distante si possa immaginare dalla stringata scrittura di Lagerkvist; e si racconta che alla prima proiezione lo scrittore si mise a ridere, mentre la moglie si addormentò.

Pur dichiarandosi non credente, tutta la sua opera è permeata da una spasmodica tensione verso quell’infinito che altrettanto fermamente nega. Avverso a ogni scetticismo di comodo, Lagerkvist si lasciò interrogare intimamente dall’enigma di un male che cova anche all’interno delle civiltà più sviluppate. Di ritorno da un viaggio alle sorgenti della civiltà europea – la Palestina e la Grecia – lo scrittore svedese rimase esterrefatto nell’attraversare un’Europa dominata dagli slogan nazionalistici. Fu il seme dal quale concepì – nel 1944 – il suo capolavoro: Il nano (Iperborea, pp. 208, € 11,50). Il romanzo racconta la vita di una corte rinascimentale immaginaria vista attraverso gli occhi del nano di corte, anonimo e fedelissimo servitore del principe Leone. Conosceremo ogni personaggio e ogni vicenda attraverso il suo sguardo incredibilmente acuto, capace di svelare ogni malefatta e di portare alla luce ogni fantasia malevola, eppure totalmente incapace di riconoscere il bene. Il nano può vedere distintamente perfino di notte, contare anche i singoli fili d’erba, eppure non riesce a scorgere le stelle. È sì un genio, ma un genio del disprezzo e dell’odio. Continua a leggere

Irene Sánchez Carrón (Spagna, 1967)

 

Mensaje de Robinson a todos los náufragos

No hay certezas detrás de tanta espera.

Náufragos que pobláis cualquiera de las islas
de este mar de silencio, transcurridos los años,
admitid de una vez que habéis sido olvidados.

Quizá pasaron barcos o pudieron ser sueños.
Escuchasteis canciones hechas de blanca espuma
que venían de lejos a embriagar los sentidos.

No miréis más el agua. El mar no es salvación,
sino vuestra locura. Las olas nada ofrecen.
Perdida ya la fe, no miréis más al mar. Continua a leggere

Kafka Hotel

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Non c’era posto per loro nell’albergo: meglio così? A volte è difficile capire dove sia meglio vivere, o meglio morire.

Benvenuti all’hotel Occidente

Proprio all’angolo di strada Kafka oggi ha visto un manifesto
Sopra c’era scritto andate e fate presto
All’ippodromo di Clayton oggi viene assunto personale
e la paga è buona e non si mangia male Continua a leggere

Pro/vocazioni. Dieci domande a scrittori e poeti italiani. 17# CRISTINA ANNINO

A cura di Franz Krauspenhaar

Dieci domande secche (o delle 100 pistole) a scrittori e poeti italiani. Sempre le stesse domande per tutti, non si scappa. Scrittori e poeti giovani e meno giovani, famosi e poco conosciuti. Domande provocatorie (forse) sulla vocazione letteraria. Uno spaccato, un ritratto, un modo di vederci più chiaro, uno spunto per approfondire una conoscenza. Uomini e donne che fanno della loro vita un romanzo non solo da continuare a vivere ma anche da continuare a scrivere. O sotto altre forme della scrittura, come la poesia. Un modo per essere al mondo ed esprimere non solo se stessi ma proprio questo mondo che noi siamo e allo stesso tempo ci contiene.

Sei uno scrittore. Chi te lo fa fare?

Dal mio punto di vista di poeta, io penso che la scrittura  non si fa, ma si è, e per questo  si continui a scrivere. Così come ritengo che non ci sia differenza se non formale,  tra poeti che producono libri e poeti che, per ipotesi o a un certo punto della loro vita, si trovino a svolgere una professione lontana da quella letteraria. Ugualmente poeti rimangono. Perché il punto d’origine di entrambi è l’essere in un certo modo e non in un altro. Personalmente ho provato ambedue le situazioni; sono cioè ritornata alla scrittura dopo alcune interruzioni volontarie. Ma posso dire che ho vissuto quei mutamenti biografici  con identica idea di me e del mondo,  con quella forma di pensiero cioè che sta al cervello come una ruota sta alle altre, nel mandare avanti un veicolo. E’ impensabile che le ruote abbiano velocità diverse, qualunque strada si percorra. Mi sento anche di aggiungere che, a un cero grado di forza di tale coscienza, scrivere o meno diventa paradossalmente secondario: la vocazione (perché di questo si tratta) divora ogni stato esistenziale, ha un alto valore mimetico e non è assolutamente bigotta. Nel senso che sopravvive ad ogni condizione apparente. Continua a leggere

27. Una pietra sopra

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da qui

Cesare sta studiando i documenti rintracciati nella posta elettronica di Teodora e Cavedagna. Difficile resistere alla tentazione di metterci le mani, orientando il racconto nella direzione più plausibile, avvincente, originale. E’ un fanatico dello scenario: il cinquanta per cento di una storia, pensa, è determinato dal fondale; lo spazio della rappresentazione, con la serie di dettagli che contiene, è un generatore formidabile di eventi, di svolte, di sorprese. Continua a leggere

La sorprendente soluzione di un mistero millenario: Chi ha ucciso realmente i Proci?

 

Alberto Majrani, Ulisse, Nessuno, Filottete, Logisma Editore www.logisma.it , euro 12

“Quandoque  bonus dormitat Homerus”, ogni tanto dorme  anche il buon Omero, proclamava Orazio… ma è proprio così, oppure  Omero era molto più sveglio di quanto abbiamo sempre creduto?

“L’Odissea di Omero è forse il libro più conosciuto sulla faccia della terra. Chi non ha mai sentito parlare di Ulisse (o Odisseo che dir si voglia) e delle sue peregrinazioni per tornare all’amata isola d’Itaca, dalla fedele moglie Penelope e dal figlio Telemaco? Eppure, finora mai nessuno è stato così folle da pensare che il vero protagonista dell’Odissea non sia… Odisseo, ma un personaggio molto più oscuro, quasi sconosciuto, di cui anche nel testo si parla pochissimo: Filottète. Ma se vorrete seguirmi nell’analisi del capolavoro omerico con questa insolita chiave, vi accorgerete che con essa si aprono quasi tutte le porte.” Così comincia l’autore.,  e Giulio Giorello avverte nella prefazione: “La questione omerica è diventata un labirinto, non meno complesso di quello che si immagina architettato da Dedalo, e in un momento di lucida sincerità Alberto Majrani confessa: “Ma se io fossi così pazzo da scrivere un libro su quest’idea, Lei sarebbe così pazzo da farmene la prefazione?” Il Lei sono io. La mia non mi sembra troppo grande; quanto alla follia dell’Autore, diremo con Manzoni che giudichi chi sa – e con Shakespeare che comunque in tale follia c’è del metodo.” Continua a leggere

Ti sia lieve la terra, Luigi

il sottoscritto è fortunato
il passaggio tra la coscienza e il niente sarà brevissimo
non è destinata a noi una lunga e spettacolare agonia
non sarà per noi l’insulto di essere a lungo vivi senza coscienza
i clinici più rinomati non appresteranno a noi lunghe strazianti agonie
la nostra miseria ci salva
dall’insulto di essere vivi senza più lo spirito nostro
ritorneremo tranquillamente nel niente da dove siamo venuti
è già tanto che il miracolo della mia esistenza ci sia stato
riuscendo perfino a testimoniarvi tutti

(Luigi Di Ruscio 1930 – 2011)

STORIA CONTEMPORANEA n.68: “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa…”– come nasce un assassino. Alessandro Berselli, “Non fare la cosa giusta”

“Ingannevole è il cuore più di ogni cosa…”– come nasce un assassino. Alessandro Berselli, Non fare la cosa giusta, Bologna, PerdisaPop, 2010

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di Giuseppe Panella*

Nel 1989, Spike Lee, regista afro-americano non ancora del tutto affermato, gira Fa’ la cosa giusta,

un affresco delle comunità etniche in conflitto permanente tra di loro nella New York del melting pot – probabilmente uno dei suoi film migliori. Per Alessandro Berselli, invece, quel che conta è l’esatto contrario: non fare la cosa giusta. E’ quello che accade al protagonista del suo romanzo noir. Già intimamente attraversato da una vena abbastanza esplicita di razzismo e di volontà di protagonismo, Claudio Roveri, di mestiere informatore farmaceutico, sposato con Fabiana, un avvocato di successo e padre di Erica, una ragazza che compie diciassette anni nel corso del romanzo, si trova a dover affrontare una serie di scelte che gli impongono di prendere decisioni pressoché definitive, radicali, indiscutibili: tradire la moglie con la dottoressa Ricci che sembra ben più che disponibile ad amplessi furtivi nel suo studio medico, accettare le teorie dello psichiatra Luca Maranesi che lo spinge a dispiegare con forza e determinazione la propria volontà di potenza, agire in maniera forte e con la violenza contro quel magma multietnico e indistinto di barboni, zingari, albanesi che sembra pressarlo e circondarlo per risucchiarlo al suo interno.

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