Recensione introduttiva di Antonio Fiori
Saverio Bafaro, Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024)
Saverio Bafaro, in questa ‘eroica’ raccolta poetica, si dimostra psicoterapeuta di sé. La parola, all’inizio, fatica a restituire le memorie più lontane, a raccontare l’enigma dell’identità e le lusinghe indecifrabili del mondo. L’archetipo fondamentale è lo Specchio, davanti al quale la nostra identità prende forma per essere ogni volta riscoperta, smentita e ritrovata. Poi, seguendo i tracciati lungo i quali conduce il testo, la parola si fa più consapevole e il discorso più filosofico: «Di questa epoca divisa / tra massa e persona / migrazioni e scomparse / possediamo il disumano / limite dello sguardo / l’impossibilità del volto» (dalla poesia Cuori svuotati, a pagina 42).
La poesia tenta interpretazioni del volto e interpretazioni dei sentimenti, indaga le trasformazioni secondo l’età e secondo il cuore, tenta di esorcizzare lo sguardo auto-seduttivo di Narciso, il peso enorme del Nome proprio, ma alla fine si arrende al mistero, nonostante gli strumenti della mitologia e della psicoanalisi. D’altra parte, anche tre grandi scrittori del Novecento – Fernando Pessoa, Luigi Pirandello e Jorge Luis Borges – hanno affrontato il tema dell’identità, e anche per loro, nonostante i lasciti monumentali, è rimasta indecifrabile.
Antonio Fiori