di Loris Pattuelli
Una cosa bianca che assomiglia al blues, ecco quello che ha fatto J.J. Cale.
Quattro erano i grandi vecchi della scena rock: Bob Dylan, Leonard Cohen, Neil Young e J.J. Cale. Adesso sono rimasti in tre. Se ne è andato il più discreto, il più riservato, il più provinciale.
Un giorno, spero non troppo tardi, scopriremo quanto grande sia stato questo suonatore.
To Tulsa and back, così si intitola un suo disco di qualche anno fa. J.J. Cale era di Tulsa, la seconda maggiore città dello stato dell’Oklahoma. E a Tulsa arrivava Eric Clapton per imparare After midnight e Cocaine, e poi anche Mark Knopfler per copiare tutto e diventare anche più bravo di lui.
J.J.Cale era un autore di culto, non certo una rock’n’roll star. Bob Dylan ci ha messo sei lustri per tornare ad essere libero come lui.
Tulsa sound, così i critici chiamavano la sua musica. E hai voglia a dire gli ingredienti: rock, blues, soul, jazz, country. J.J. Cale ha creato una cosa bianca che assomiglia al blues. E questo, se non è tutto, poco ci manca.
Quattordici sono i dischi da lui incisi. Ne elenco tre (i miei preferiti): Naturally del 1972, Grasshopper del 1982 e To Tulsa and back del 2004. Di lui Neil Young aveva detto: “Il migliore chitarrista elettrico vivente dopo la scomparsa di Jimi Hendrix”.
http://www.youtube.com/watch?v=j0WUfUUQT28
http://www.youtube.com/watch?v=bL3g2JxfJt8
http://www.youtube.com/watch?v=6mqEvcEl4u4