di Barbara Delfino
Cervaro si tirò su i calzoni e si allacciò la cintura. Marinella, distesa sul letto, fumava e gli guardava la pancia prominente.
“Hai saputo di Tinca, Francè?”
“’O capellone, sì. Amore mio, nun ce pensà. Pensa a Franceschino tuo che ti fa comprare le vestine eleganti” le rispose Cervaro mettendole diecimila lire sul comodino, tra le pagine del messale.
“Francè, secondo te s’è ammazzato davvero o è stato qualcuno? Guarda, per me è stata quella troia tutta sciantosa là”.
“Chi?”
“La Dalia, lì, la fidanzata, Che ci ha poco da fare la spiritosa, tutta elegante, eh, mica si ricorda dei bei tempi, la signora!”
“Che stai dicendo, Marinè. Di chi parli”.
“Oh Francesco, lì, la Dalia, quella tutta sciantosa, la fidanzata di Tinca. Faceva la puttana a Ventimiglia, non lo sapevi?”
“Certo che lo sapevo, ma son solo pettegolezzi, Marì”.
Marinella scoppiò a ridere e il fumo le andò di traverso. Tossendo e con le lacrime agli occhi lasciò cadere la tegola sulla testa calva di Cervaro:
“Franceschino, amore mio, a Ventimiglia la sciantosa divideva l’appartamento con me. Il pomeriggio lei, la sera io. E l’affitto lo pagava l’Umberto, lì. Che quando si son fatti famosi chi se la ricorda più, Marinella, eh?”
Cervaro la guardò, sospirando.
“Franceschino, amore mio. Ho visto delle scarpe fa-vo-lo-se, in piazzetta delle Erbe. Se vuoi la prossima volta metto solo quelle”.
Cervaro tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il portafogli, prese un biglietto da diecimila lire e le infilò assieme alle altre nel messale.
Continua a leggere→