Archivio mensile:Febbraio 2007

Il filo spinato dell’attesa (Marina e la poesia)

Ho chiesto a Marina Pizzi di scrivermi qualcosa sulla sua poesia.
La risposta che segue ha lo spessore drammatico e insondabile della testimonianza di una voce tra le più intense della lirica italiana dei nostri giorni.

La sollecitudine del minimo

Pier Paolo Pasolini dichiarò di aver tolta dal proprio lessico la parola speranza: anch’io. Dentro a questa rinuncia di leva, sta la leva del tentativo, ancora, di una scrittura che sia e mantenga lo spiazzamento dell’orma sulla data.

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Sapore di Male – 2

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di Barbara Delfino

Cervaro si tirò su i calzoni e si allacciò la cintura. Marinella, distesa sul letto, fumava e gli guardava la pancia prominente.
“Hai saputo di Tinca, Francè?”
“’O capellone, sì. Amore mio, nun ce pensà. Pensa a Franceschino tuo che ti fa comprare le vestine eleganti” le rispose Cervaro mettendole diecimila lire sul comodino, tra le pagine del messale.
“Francè, secondo te s’è ammazzato davvero o è stato qualcuno? Guarda, per me è stata quella troia tutta sciantosa là”.
“Chi?”
“La Dalia, lì, la fidanzata, Che ci ha poco da fare la spiritosa, tutta elegante, eh, mica si ricorda dei bei tempi, la signora!”
“Che stai dicendo, Marinè. Di chi parli”.
“Oh Francesco, lì, la Dalia, quella tutta sciantosa, la fidanzata di Tinca. Faceva la puttana a Ventimiglia, non lo sapevi?”
“Certo che lo sapevo, ma son solo pettegolezzi, Marì”.
Marinella scoppiò a ridere e il fumo le andò di traverso. Tossendo e con le lacrime agli occhi lasciò cadere la tegola sulla testa calva di Cervaro:
“Franceschino, amore mio, a Ventimiglia la sciantosa divideva l’appartamento con me. Il pomeriggio lei, la sera io. E l’affitto lo pagava l’Umberto, lì. Che quando si son fatti famosi chi se la ricorda più, Marinella, eh?”
Cervaro la guardò, sospirando.
“Franceschino, amore mio. Ho visto delle scarpe fa-vo-lo-se, in piazzetta delle Erbe. Se vuoi la prossima volta metto solo quelle”.
Cervaro tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il portafogli, prese un biglietto da diecimila lire e le infilò assieme alle altre nel messale.

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Una confessione

Sono stato cresciuto da una famiglia comunista e non credente. Non sono mai stato battezzato se non ai valori della solidarietà civile e della laica fratellanza.
Ma anche, in qualche modo, alla gioia dell’amore gratuito, non giustificato. Quel che si dice la parabola del buon samaritano.
Poi per vie traverse educato all’arte, alla lettura, alla scrittura. Continua a leggere

due prose

Gennaio finisce duramente, con du’ fuochi che consumano la pace, TERMINATUR – e si è bene da una parte e da un’altra –, senza ambiguità. E la letteratura sarà esaminata. In un momento dice prendi, in altro togli, vieni, in altro, in altro vieni: non ti voglio, non sei mio. In un momento si risponde: io non sono una bandiera! non il tuo scialle! Gennaio è consumato duramente e in povertà. E’ eliminato un peso che esisteva, oggi no. La mente espone ora una città di mare, con la sua acropoli antica, su. Perché? Appariva al mattino quasi vuota, e piaceva così. In un’altra città marina c’era il sole: per patire, lì patirvi, un altro attacco sensuale. Lì è breve. Non si considera disgrazia, in nessun modo, e i mobili – sedie, tavolo, divano, lume, altoparlanti – devono sembrare la gioia delle mani, la loro estensione, intelligente o meno. Continua a leggere

Sapore di Male – 1

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di Barbara Delfino

“Ü gianchettuuuu de mainèèèè.”
L’ispettore Sciaccaluga chiuse la finestra che si affacciava sul mercato, lasciando fuori dell’ufficio le urla dei pescatori che attiravano le donne ai banchi. Chiuse la finestra sull’odore di pesce e sulla voglia di un’insalata tiepida di bianchetti, spruzzata di limone, prezzemolo e olio di Andora. Ma era ancora presto per pensare alla cena, mancavano molte ore prima di smontare dal turno, arrivare all’appartamento con vista sul Polcevera sporco di scorie dell’Ansaldo, fare una doccia, tirare fuori pentole e piatti e bicchiere e posate e sedersi da solo a tavola come faceva da oltre vent’anni, da quando s’era trasferito da Savona a Genova.

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Work in progress

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Abbiamo aperto una nuova rubrica, Lavori in corso, per favorire gli approfondimenti su temi importanti. Potete trovarci il testo di Claudio Damiani su comunicazione, scrittura e società.

Uso di malestro

di Marina Pizzi

Il computer non perdona, in genere come tutte le macchine dell’umanità. E’ davvero un immenso peccato che sia così: il fulmine dell’incendio-il fulmine dell’inedia. Sarebbe e sarebbe stato la meraviglia dell’invenzione il perdono, il brevetto del dono, di far dono anche dall’errore e, finanche, dalla malafede o, solo, dalla grazia-disgrazia dell’ignoranza.

Giosuè Carducci

carducci

A proposito di ricordi. Ci sono versi che hanno turbato la mia infanzia, due problemi angoscianti che solo da adulta sono riuscita a risolvere. Ambedue riguardano le poesie di Giosuè Carducci. La prima è San Martino (che non è stata scritta da Fiorello!) qui riporto i premi versi:

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

Mi chiedevo come mai la nebbia facesse piovere sopra gli irti colle il sale e a che scopo.

La seconda è Pianto antico:

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra

Perché sei li metteva nella terra fredda e sei nella terra negra? E cos’erano? Erano dodici fiori, erano dodici cadaveri? E perché?

Terra chiama Marte… Marte chiama Terra

“La faccia su Marte” foto scattata per la prima volta dalla sonda Viking 1 il 25 luglio 1976 (anno terrestre)

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In copertina della Bianca Einaudi, sotto il bel titolo “Il cielo di Marte”, appare questo stralcio di poesia messo in prima, redazionalmente (cioè come scelta di collana, da oltre 30anni), quale introduzione-cardine (che si reputa significativa-portante) al/il libro del poeta che si è dato alle stampe (mantengo gli a capo tipografici di copertina, non quelli che figurano nel componimento all’interno della raccolta da cui è tratto):” Ecco, quello che pensi sia dio e in / fondo / non è che una radura / che ti comprende, come / su Marte una pianura / avrà la mia prima impronta, esattamente / si manifesta , tanto che non c’è / nulla da dire, niente / da domandarsi più, / nessun luogo in cui andare o far / ritorno. / Talvolta questo accade, certo, e tu / non ne hai né colpa né / merito. Accade questo, ogni giorno.”

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Luca Salvatore

E fu su questi fondi che noi sognammo la Nòtte,
a sud di nessun nord, in copia calche di convèrsi,
turiboli smessi per mucchi d’ossa spolpate e rotte,
miasmi in decotti di canapa, burro e noci, aspèrsi!

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Tutte le suore guidano macchine bianche

di Emanuele Kraushaar

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Era un novembre freddo da staccare le mani. Suor Maddalena aveva chiuso la porta della mensa, era uscita fuori, aveva visto il cielo pieno di nuvole ed era salita sulla sua macchina bianca. Poi per la pioggia e per una distrazione è andata fuori strada e per poco non ci ha lasciato la pelle.
E’ stato proprio quel giorno che un giovane e sconosciuto scrittore ha appuntato su un foglio la frase tutte le suore guidano macchine bianche.
Era pur sempre un giorno dopo l’undicisettembre e ogni cosa, ogni piccola e anche fragile certezza, doveva in qualche modo essere segnata, pensava il giovane e sconosciuto scrittore.

(Emanuele Kraushaar, Tic, Atì Editore, Milano 2005)

Dall’agenda 2006 (V)

La confusione tra libidine e passione, che è molto presente in gran parte della cultura contemporanea, ovvero la mancata distinzione tra qualcosa che è anche degli animali e quello che è proprio dell’uomo soltanto, mi sembra una cifra di quest’epoca nemica del pensiero.

Nei campi di patate intorno a Roncegno, durante le vacanze del 1958, vidi tantissime dorifore. Mi piacevano molto quei piccoli coleotteri striati. E non capivo l’odio che i contadini nutrivano per loro. Mi spiegarono che esistevano guerre tra animali e uomini, e che le dorifore distruggendo le piante di patate avevano un tempo affamato l’Irlanda.

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Attilio Zanichelli (1931-1994)

Posto le poesie di Attilio Zanichelli, poeta parmigiano dimenticato. Fu amico di Franco Fortini al quale si deve la pubblicazione presso Einaudi della sua seconda raccolta. Le sue opere sono ormai introvabili e fuori catalogo così come si auspica la pubblicazione di sue poesie ancora inedite.

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Marino Magliani – Quattro giorni per non morire

magliani libro

Siete poeti? Gente che ama il lampo nella notte e il cerchio nell’acqua, adepti di una metafisica volatile e sprezzatori di lenta tessitura narrativa, troppo vicina – dite voi – alla prosa del quotidiano? O raffinati cultori d’aforismi e scritture liminali, dove l’ordine del discorso è sfidato a duello da ingegni inquieti e renitenti alla leva del potere (ma quanta boria, a volte, e giacobinismo d’accatto, negli epigoni di Montaigne)?
Nei vostri archivi fiction e letteratura stanno ben distanti (almeno tre scaffali più in là) e il romanzo è il parente povero della calligrafica profezia che vi sta a cuore?
Vi do occasione di emendarvi, segnalandovi un libro piccolo e prezioso, che vi riconcilierà con la blasfema compiutezza del romanzo senza tradire la liturgia del Verbo.
E’ di Marino Magliani, un ligure dal passo di montagna, lento e mai faticoso.
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Roberto Morpurgo, Pregiudizi della libertà Libro di sarcasmi e di malinconiche superstizioni

di Emanuele Spano

Roberto Morpurgo, Pregiudizi della libertà Libro di sarcasmi e di malinconiche superstizioni, Athanor, Ed. Joker, Novi Ligure 2006, pp. 128,€ 13,00

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L’ultimo libro di Roberto Morpurgo, Pregiudizi della libertà, ci presenta uno sterminato, quanto complesso e variegato, catalogo di temi e momenti, svolti con arguzia e sarcasmo attraverso la forma dell’aforisma, l’unica, forse, capace di cristallizare l’attimo e di restituirci senza retorica la riflessione che ne consegue. Ma è lo stesso autore a tentare di dare uno spiegazione al proprio strumento, chiarendocene il ruolo ed il campo, per esempio quando ci dice che: «L’adempimento dell’aforisma consiste nel fatto che non potendo dire tutto in una volta, dice però quel che accade a causa di quella impossibilità», ed è proprio la riflessione sul linguaggio e sul potere della parola a rappresentare il primo motivo di fascino di questo libro, in cui è proprio il dire oggetto della riflessione, ancor prima di ciò che si dice o si vuole dire. Continua a leggere

da “Pecca di espianto”, 2007-

di Marina Pizzi

[secondo espianto]

  • *
  • caro in un eremo la modalità
  • del remo, il moto in lite di starsene
  • zitto; fartene resine i passi
  • senza placente né curve di cenere.
  • salvo, poi, dalla porticina alla scalea
  • legare al laccio l’improvvisata
  • del ruzzolone dell’ora di chiusura.
  • *
  • Alcune parole non significano
  • sostegno o perdita
  • addendi o sottraendi
  • discoli o condotte dotte.
  • Solo la fune cessa lo scempio
  • del pio con il tetto del tempio
  • dell’io in fase amorosa o farsa
  • o similoro una banca da svaligiare.
  • Solo la cresta del gallo consacra
  • la fase ennesima del marciapiede
  • il ciak del film che non gira più.
  • La dedica del no che dentro m’inciampa
  • paganesimo sismico di falena
  • la luce al sì: brutalità e pozzo
  • il pulpito della nuvola svogliata
  • a te quella con le persiane agiate
  • simbolo e nascita di una rotta
  • di gruzzolo di pane appena sfornato.
  • *
  • a tratti un giretto intorno al giardinetto
  • e la giornata è tratta:
  • dimentichi che la taglia è senza indice.
  • *
  • l’orologio senza lancette dà l’ora esatta
  • sa dare la fonia del fianco al fango
  • la gondola per amanti senza cuore.
  • *
  • festa molesta questa scaturigine
  • casa circondariale
  • sorso di voce
  • tornante dispiacere.
  • *
  • Dilemmi alle mani
  • miniature del nulla
  • quasi la soglia qua
  • bolgia già la cenere.
  • *

INIZIO DELL’EDUCAZIONE

di Claudio Damiani

C’è un problema. Se l’attuale dittatura economico-mediatica o dittatura della pubblicità, può, nei confronti di chi ha qualche attrezzatura culturale, essere tutto sommato limitatamente dannosa, dobbiamo riconoscere che nei confronti degli individui più fragili dal punto di vista culturale, che sono la grande maggioranza, essa ha degli effetti devastanti. Questa è la vera catastrofe, l’emergenza ecologica prima del nostro mondo. Che poi, la limitatezza del danno recato a quei pochi che possono spegnere la televisione, è in effetti molto relativa: perchè, se anche questi sono danneggiati solo nel fatto che sono emarginati, e non perseguitati, o sterminati, tuttavia la loro esclusione ha un ritorno devastante sulla società, che diventa come un corpo senza cervello. Se studiassimo la nostra società, vedremmo che il tratto comune a ogni sua singola parte, l’essenza della sua struttura, è la negazione dell’educazione.
L’educazione è mostrare un’opera (di pensiero, di arte, di sentimento ecc), qualcosa che esiste, permettere a un educando di entrare in uno spazio di rigore, di arte, di realtà, di verità, permettergli di godere di quello spazio. Continua a leggere