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Quando tutto era intero: le 100 poesie di Franca Alaimo

[immagine di Clara Beatriz]

a cura di Biagio Accardo

 C’è un tempo nel quale noi e il mondo siamo una sola cosa? C’è uno stadio della vita in cui il disegno dell’Essere e dell’esserci coincidono? Forse sì. La ricerca di questa immagine originaria 
( l’arché dei  presocratici, la meta luminosa e, nello stesso tempo, oscura, cui tendevano i grandi mistici, l’e-stasi di cui ebbe a parlare Plotino), ovvero la ricerca di questo intero, costituisce la materia soggiacente a tutte le 100 poesie di Franca Alaimo, nel libro edito di recente da peQuod, per la Collana Portosepolto. All’altezza ormai del suo vastissimo e profondo magistero poetico, l’autrice indaga l’inafferrabile natura del nostro esserci, quell’ “ininterrotta notizia che dal silenzio si forma”, (1) per dirla con Rilke; quello spirare di un dio di cui non riusciamo mai a figurarci il volto, mossa da un’unica e forse ultima ambizione, quella della totalità. Non è forse questa la vocazione che il grande poeta austriaco, Rilke, vero maestro della nostra autrice, affida al suo Orfeo, quando nel nono sonetto canta? : “ Solo colui che anche tra ombre/levò la lira,/può con cuore presago cantare/ la lode infinita… Solo nel duplice regno/le voci si fanno/ miti ed eterne”.
Poesia dunque come parola della totalità, parola che vuole ricomporre l’originaria ferita dell’ esserci, perché, per il solo fatto d’essere stati vissuti, e di viverli,  “ i dolori sono tali per darci infine più frutto” (2); poesia come  itinerario poetico di ricomposizione, come vedremo dopo, che si snoda attraverso una geografia spirituale nella quale trovano posto creature semplici e umili, colme di una bellezza indicibile; mediante un linguaggio meditativo, quasi sapienziale che, lontano da ogni impellenza del dire, ha acquisito una sua più rarefatta essenzialità che consente a chi legge di entrare subito in sintonia con l’anima della scrittrice. 
Si tratta di un viaggiare, poesia dopo poesia, per territori in cui non servono più indicazioni, si tratta di un andare per terre  che solo i poeti “sciocchi e beati” sanno percorrere. Chiaro è lo scopo: ricongiungersi con “quell’acqua di Sorgente” da cui tutto ha preso inizio.  Continua a leggere

Primitivo Americano, di Mary Oliver

di Mauro Ferrari

Mary Oliver, Primitivo americano, a cura e con traduzione di Paola Loreto, Einaudi 2023

Nella splendida traduzione di Paola Loreto (autrice anche di una interessante nota di apertura) è stata appena pubblicato Primitivo americano, l’ultima raccolta della poetessa americana Mary Oliver (1935-2019). Si tratta di poesia etichettabile, in senso molto limitativo però, come spesso accade anche per le etichette più significative, come “ecopoetry”, quindi inquadrabile in quel vasto movimento culturale che ha radici profonde nella cultura e nella poesia americana (ma non solo). Il manifesto della ecopoetry, anche reperibile in rete, enfatizza il lato ecologista, diciamo pure politico, e mette l’accento sulla salvaguardia del pianeta e un nuovo rapporto con gli altri esseri viventi, sui diritti fondamentali dell’Uomo, la pacifica coabitazione dei popoli e “le nuove e varie introspezioni dell’Io”: punta insomma su aspetti cruciali del pensiero contemporaneo, compreso il distanziamento dalle poetiche paludate e accademiche, “per aprirsi a una comunicazione poetica chiara e semplice, comprensibile per tutte le culture” e quindi anche facilmente traducibile, per diffondersi almeno negli intenti tra un pubblico più ampio.
Legami e apparentamenti poetici sono evidenti con autori come Walt Whitman e la sua poesia intrisa di oralità; l’American Renaissance, anche con i suoi risvolti misticheggianti: R. W. Emerson e H. David Thoreau, Robert Frost e il contemporaneo Gary Snyder. Ma, restando in ambito anglofono, è impossibile non citare Wordsworth e, nella poesia più o meno recente (e per motivi diversissimi) il Ted Hughes di Moortown, River e Wolfwatching Continua a leggere

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Elisabetta Carbone, “La voce e le cicale”. Intervista

Intervista di Marino Magliani

Elisabetta Carbone, La voce e le cicale, Prospero Editore 2024

Per Tamara la musica è il modo di comunicare con il padre Giacomo, mentre la lettura la connette a Debora. Questi personaggi hanno quindi bisogno di un medium altro per comunicare fra loro, per tentare di capirsi a vicenda, o anche di capire loro stessi?

Tamara, Debora e Giacomo non riescono a capirsi con le parole, hanno bisogno di usare linguaggi diversi per essere in frequenza. La musica è l’unica forma di educazione di Giacomo, che riesce ad essere un esempio per la figlia soltanto nell’arte. Tamara comunica con Debora attraverso la letteratura e i gesti quotidiani. Il loro rapporto, che si costruisce poco alla volta grazie ai libri su cui Debora stessa ha imparato a prendersi cura di sé, è fatto di reciproca fiducia e condivisione. Il legame che Tamara ha con il padre, invece, si basa su una distanza che Giacomo stesso non sa superare, perché vive l’arte come un esercizio solitario, utile a glorificarlo, non come qualcosa da mettere a disposizione. È per questo che Tamara sa far tesoro dell’esperienza del padre nel mondo della musica solo quando non lo condivide più con lui, ma anche in questo senso la distanza rimane. Continua a leggere

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Abilio Estévez, “Testimonianze di un’orgia poetica”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Abilio Estévez, Testimonianze di un’orgia poetica, Arkadia Editore, 2023 (traduzione di Alessandro Gianetti)

Cuba, per me, è un mito un po’ come per Abilio Estévez, autore di questo libro straordinario, Testimonianze di un’orgia poetica. Per lui – già pubblicato in Italia con Tuo è il regno (Adelphi, 1999) e I palazzi lontani (Adelphi, 2006) –, perché, dopo averci vissuto e sofferto a lungo, l’ha lasciata probabilmente per sempre. Per me, perché non ci sono mai stato, pur approfondendone da anni la realtà socio-politica nelle vesti di traduttore di un altro grande – e pur diverso per stile – scrittore cubano, Amir Valle.

In qualche modo, sento vividamente quelle strade, quegli odori e quei colori – e anche i suoni, inclusi quelli che formano le parole pronunciate e quelle scritte. E conosco, o riesco perfettamente a immaginare, sia il tormento di chi non può più rientrarvi per motivi politici, sia quello di chi ci è sempre rimasto, pagando il prezzo di restrizioni, discriminazioni e castighi perché non si allineava al pensiero unico del regime castrista, o magari perché esprimeva, col suo modo di essere ancor prima che con la sua opera, una “scandalosa” visione libera dell’esistenza. Continua a leggere

Recensione de « La strada verso il canto » (RPlibri 2023) di Franca Alaimo

Il titolo “ La strada verso il canto ”  indica chiaramente come la rappresentazione del mondo si configuri per l’autrice Rossana Jemma  quale un cammino verso “quella cosa piumata” che è,  secondo una bellissima metafora della Dickinson, la Speranza che  “canta melodie senza parole/e non smette -mai-“
Il cammino è scandito dalle tre sezioni in cui si divide la silloge, definendo altrettante tappe: ‘Buio e aritmie’,  ‘Fantasmi e presenze’  e  ‘Canto e speranza’. Il filo conduttore della narrazione poetica va identificato in un profondo sentimento doloroso, declinato con tale assillo di immagini, e concrete e astratte, da dare compattezza all’intera trama compositiva. Nella prima sezione è il corpo ad urlare e di fronte all’esperienza di una malattia che ha condotto l’autrice sulla soglia della morte e di fronte all’aggressività subita da un uomo che alla farfalla ‘appena dischiusa / fremente’  ha spappolato le ali. Sarà la memoria a venire in soccorso alla poeta (‘Fantasmi e presenze’), sebbene il tempo non riesca sempre a illimpidire il male subito e gli angeli continuino a restare muti. Ma, se si fanno spazio presenze amate (la madre, un amore mai obliato, un cugino morto giovanissimo che ‘cade piano sul cuore/ si fa neve’, una cara amica), allora una dolce eco di risonanze interiori si diffonde tra i versi e le cadenze ritmiche restituiscono un distacco contemplativo e compassionevole, trasformando le immagini in epifanie.  Continua a leggere

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Roberto ADDEO, Fuori è un bel giorno di sole. Nota di Antonio Fiori

Roberto Addeo

Fuori è un bel giorno di sole

La Valle del Tempo, Napoli, 2023

Prefazione di Antonio Spagnuolo

Postfazione di Maurizio Vitiello

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Dopo Bile (Transeuropa, 2020), poema versicolare che indagava gli organi del corpo e contorceva verbi e pensiero, Roberto Addeo distende ora il suo verso, esce dal corpo, e ci dice che Fuori è un bel giorno di sole. Il titolo del suo lavoro ha certo una componente ironica, ma dimostra anche, come nota Maurizio Vitiello, la resilienza del poeta e la sorpresa delle gioie che a volte la vita ci concede. La raccolta è ancora in forma poematica e si nutre di un lessico eterogeneo, sorprendente, con esiti spesso grotteschi (come – quando si sente amato da una persona/ vorrebbe ucciderla; oppure – liberò un padrone dal suo schiavo; o ancora – mi invitò a cena per mangiarmi). Roberto Addeo resta dunque fedele alla poesia sperimentale ma altrettanta fedeltà dimostra verso il mondo reale, raccontando dolore psichico e impegno sociale, speranze e sentimenti: porterò in pugno una fiaccola e un piede di porco/ una causa comune/ e sottobraccio, la mia coda di lacrime. Continua a leggere

Saverio Bafaro, “Osicran o dell’Antinarciso”

Recensione introduttiva di Antonio Fiori

Saverio Bafaro, Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024)

Saverio Bafaro, in questa ‘eroica’ raccolta poetica, si dimostra psicoterapeuta di sé. La parola, all’inizio, fatica a restituire le memorie più lontane, a raccontare l’enigma dell’identità e le lusinghe indecifrabili del mondo. L’archetipo fondamentale è lo Specchio, davanti al quale la nostra identità prende forma per essere ogni volta riscoperta, smentita e ritrovata. Poi, seguendo i tracciati lungo i quali conduce il testo, la parola si fa più consapevole e il discorso più filosofico: «Di questa epoca divisa / tra massa e persona / migrazioni e scomparse / possediamo il disumano / limite dello sguardo / l’impossibilità del volto» (dalla poesia Cuori svuotati, a pagina 42).

La poesia tenta interpretazioni del volto e interpretazioni dei sentimenti, indaga le trasformazioni secondo l’età e secondo il cuore, tenta di esorcizzare lo sguardo auto-seduttivo di Narciso, il peso enorme del Nome proprio, ma alla fine si arrende al mistero, nonostante gli strumenti della mitologia e della psicoanalisi.  D’altra parte, anche tre grandi scrittori del Novecento – Fernando Pessoa, Luigi Pirandello e Jorge Luis Borges – hanno affrontato il tema dell’identità, e anche per loro, nonostante i lasciti monumentali, è rimasta indecifrabile.

Antonio Fiori

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La divina umanità di Gesù risorto

di Alida Airaghi

Le Messie di Jean Grosjean uscì in Francia nel 1974: oggi lo ripropone la casa editrice Qiqajon di Bose nella limpida traduzione di Emanuele Borsotti, con prefazione del Cardinale José Tolentino Mendonça e un’appendice composta da sette “spigolature” di Christian Bobin.
Poeta, scrittore, teologo e traduttore (Parigi 1912 – Versailles 2006), Jean Grosjean fu ordinato prete nel 1939, tornando allo stato laicale dieci anni dopo. Pubblicò numerose raccolte di versi, principalmente di ispirazione religiosa, e innovative rielaborazioni di episodi biblici. Si cimentò in traduzioni impegnative, dai tragici greci a Shakespeare, dal Nuovo Testamento al Corano, ma il suo nome viene ricordato soprattutto per le originali interpretazioni dei testi sacri, tendenti ad approfondire ed espandere il loro significato letterale, esaltandone allo stesso tempo il valore letterario e l’atmosfera poetica. Continua a leggere

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Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow

di Riccardo Ferrazzi

Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow, traduzione di Giovanni Agnoloni, Ortica Editrice.

Questo libretto, che il nostro Giovanni Agnoloni – esperto di lingue e letterature nordiche – ha tradotto da par suo, mi ha messo in crisi. 

Sospetto che la storia narrata sia la cosa meno importante. Subodoro che l’accavallarsi delle diverse narrazioni sia solo apparentemente dovuto a una (sedicente?) raccolta di storie originarie dell’isola di Gotland. Ricordo – con tenerezza, ma anche con un vago fastidio – quanto mi dicevano i nonni a proposito delle storie contadine, che venivano raccontate nella stalla, quando tutta la famiglia si raccoglieva lì nelle sere d’inverno (perché non c’era legna da bruciare nel camino e nella stalla il fiato delle vacche spandeva un po’ di tepore). Ecco: erano storie abbastanza brevi, un po’ gotiche, a volte – come le fiabe – con qualche intento educativo: storie nate con la tradizione orale che stravolge i fatti da cui ha avuto origine, storie comunque slegate fra di loro. Continua a leggere

Cristiano Dorigo, “Acque alte”

Da Acque alte, di Cristiano Dorig(Meligrana Editore)

Il 21 marzo esce, per Meligrana EditoreAcque alte di Cristiano Dorigo. È un piccolo libro importante: Dorigo, per trent’anni, come educatore, ha lavorato con ragazze che hanno subito traumi indicibili in famiglia. Ci presenta alcune di queste giovani donne, ma, come scrive il Professor Emanuele Pettener della Florida Atlantic University nella postfazione che qui presentiamo, lo fa con pudore, delicatezza, e uno stile originale, “un gesto ribelle nei confronti di quella che Calvino chiamava la peste del linguaggio”.

Prefazione di Emanuele Pettener

“Una fiamma viva”

Spesso temi importanti — quali l’abuso fisico o psicologico ai danni delle donne — diventano un pretesto, da parte di chi ne parla e ne scrive, per gonfiare l’ego, solleticare la vanità,  farsi belli.

Sui giornali, in televisione, sui palcoscenici “social” ci si lancia in vibranti e sdegnate tirate, grondanti un tale pathos che l’autore inevitabilmente finisce per inebriarsi alla bellezza lirica della propria voce e il cui scopo (talora senza che nemmeno l’autore, colto dalle vertigini della propria altezza morale, se ne renda conto) è un tornaconto di visibilità.

Conclusa l’invettiva, commosso e appagato, l’oratore-giornalista-opinionista su Facebook va a farsi un panino al salame. Continua a leggere

“La casa delle orfane bianche” di Fiammetta Palpati

Ho letto e recensisco con molto piacere il romanzo di Fiammetta Palpati, “La casa delle orfane bianche”.

Tre amiche decidono di mettere sotto lo stesso tetto le loro tre madri anziane e malandate per occuparsi di loro coralmente, e ne nasce un racconto geniale, estenuante e a tratti esilarante, claustrofobico e pieno di odori, puzze, horror casalingo; il tutto narrato da un’elegante voce-personaggio animata da una vena tragicomica. Un romanzo di figlie badanti e madri badate i cui ruoli spesso si mischiano, in cui ognuna è saggia o stolta a turno. Il Tempo è sempre lo stesso, come fosse un unico giorno: un tempo che resta all’interno di una pièce teatrale le cui attrici non recitano affatto ma portano semmai i loro crucci, dolori, preoccupazioni e fastidi sulla scena. Li espongono per rimescolarli in quelli delle altre, ne fanno un impasto che ogni giorno va spianato per poter essere di nuovo contaminato da un nuovo fermento. Il più grande tra questi, l’arrivo di una forsesuora barbona, che scombina ancora di più le carte. Continua a leggere

20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Anno Domini 1981: muore Montale, nascono i Metallica. Questo è il tempo culturale che scandisce Donato Di Poce nel suo nuovo, spiazzante ma seducente lavoro. Ed è un tempo fuori dal coro, controcorrente, dissonante ma non disarmonico. E’ un tempo poetico. Poesia/Eresia (la sovversione non sospetta dei poeti eretici, outsider e underground), Eretica, 2023. Per Di Poce, dunque, la poesia è una forma di eresia. Per corollario ogni espressione che metta in discussione il comune senso dell’arte è per se stessa poetica. Cos’è questo nuovo libro del poliedrico Di Poce? Già rispondere a questa domanda significa porsi fuori da un canone. Saggio, antologia, innesto o ibridazione? Anche nella sua veste editoriale il testo è disarticolato, ma sempre coerente, al punto da farmi venire in mente una fanzine. Poi, non ultimo, c’è il contenuto.

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Il sentiero dei papaveri, il nuovo romanzo di Remo Bassini

di Guido Michelone

Benché condito anche di elementi di contemporaneità, che saranno poi determinanti nel crescendo di un finale sempre più burrascoso, il nuovo romanzo di Remo Bassini appare quasi ‘senza tempo’ o al di fuori di esso, ricordando – sopratutto nelle povere location o nelle tristi vicende – il primo Novecento o il secondo dopoguerra di certa narrativa toscana a cui l’autore potrebbe essere legato a doppio filo. A tale proposito si potrebbe tirare fuori l’aggettivo ‘metafisico’ per indicare forme e contenuti di questo bel libro, richiamando proprio il senso di ‘arte metafisica’, avvolta via via dal fiabesco e dal simbolico, pur con i piedi saldi in una cultura per così dire neorealista. Si tratta per Bassini di una posizione morale, che è, a sua volta, da sempre il tratto di distintivo di una prosa rinvigorita da ulteriori ingredienti della letteratura e del giornalismo, da cui l’autore proviene. Infatti il protagonista del libro – pur essendo, per età anagrafica, molto più giovane dello stesso Bassini – possiede forse qualcosa di autobiografico soprattutto nell’imperativo etico: difatti il personaggio riprende a fare lo scrittore, muovendosi però tra le pagine del romanzo come un giornalista, nel senso del reporter che investiga, ricerca, analizza e talvolta scopre. Certo, lo scrittore del Sentiero dei papaveri si muove, come detto all’inizio, in una sorta di labirinto metafisico, dove il paesaggio e l’ambiente, la natura e la città, i personaggi e i comprimari, i bar e le case, agiscono a livello di sollecitazioni rituali, oscure, persino magiche, secondo meccanismi ben collaudati dall’epica letteraria. Il protagonista da un lato risulta il classico eroe ‘solo contro tutti’ perché anche per le figure a lui più vicine c’è primo o poi il momento dello stacco traumatico o dell’abbandono definitivo, ma il personaggio dello scrittore è qui anche l’archetipo moderno dell’artista maledetto, talvolta un po’ decadente nell’inazione a reagire, sebbene consapevolissimo del valore terapeutico della scrittura medesima. Come nel teatro classico, il libro contempla anche il ruolo del deuteragonista nella figura del cosiddetto ‘capitano’, il quale può anche assumere la massima importanza quale deus ex machina che riattiva il motore dell’ispirazione letteraria nell’uomo in crisi, svelandogli poco a poco le ‘storie dietro le storie’. E lo fa in un romanzo che diventa anche corale e parlato a più voci e che, a riassumerlo per filo e per segno, si farebbe un torto al lettore privandolo del gusto della scoperta in un libro sincero di avventure della mente e dei sentimenti, in quella che un grande scrittore, 200 anni fa Honoré de Balzac, definisce l’umana commedia.

Filippo D’Eliso, “Lì un tempo fioriva il mio cuore”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Filippo D’Eliso, Lì un tempo fioriva il mio cuore (RP Libri, 2020)

Conosco Filippo D’Eliso come musicista, poeta e uomo di cultura, e posso dire che raramente ho trovato un autore che sapesse esprimere con altrettanta intensità e direi quasi compresenza molteplici sfaccettature di una stessa sostanza artistica. I versi raccolti nella silloge Lì un tempo fioriva il mio cuore lo dimostrano. Qui il vissuto dell’autore si riversa mediato dal filtro della sua vocazione umanistica e della sua competenza di compositore, accompagnandosi a risonanze cosmiche che echeggiano la sua passione per la fisica.

Leggiamo ad esempio i primi versi di Miserabili pellegrini:

Miserabili pellegrini
di un universo ignoto
vaganti nel buio
della notte amica
in cerca di verità
nel cosmo dissanguato
dalla cieca cupidigia
di mani insensibili
ai dolori
delle umane genti
occhi selvaggi
bagnano
l’asfalto grigio
strade vuote.

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Paolo Buchignani, “La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato”

Paolo Buchignani, La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato, Arcadia Edizioni, Roma, 2024, euro 18


di Fabiano D’Arrigo

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Dopo “L’orma dei passi perduti” (ed. Tralerighe libri, 2021), Paolo Buchignani continua a scrivere opere narrative e dona al pubblico dei lettori un portentoso romanzo storico: “La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato” (ed. Arcadia, 2024).

A differenza dei grandi romanzi storici ottocenteschi, il cui narratore esterno ed onnisciente ricostruiva accuratamente un ambiente con gli usi, i costumi e la mentalità, Buchignani si affida ad un narratore che è pure il protagonista della vicenda narrata e ricostruisce una storia, quella del Novecento che parte dal 1911 e sfora fino al 2022, mescolando ed intrecciando memorie, vicende personali reali e verosimili, eventi veramente accaduti e documentati.

La ricostruzione storica dell’ambiente, in particolare di quello lucchese: della città di Lucca e delle campagne dell’Oltreserchio dove si trova Santa Maria dei Colli, non impedisce alla narrazione, come è giusto che sia, il dipanarsi di fatti fantastico-verosimili, né talvolta il trasformarsi in un lirismo narrativo che ricorda la pregevole scrittura tobiniana.

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Massimo Morasso, Frammenti di nobili cose

di Francesco Macciò

Massimo Morasso, Frammenti di nobili cose, Passigli, Firenze 2023, pp. 120, 14,50 euro. 

L’opera poetica di Morasso si configura in un corpus ampio e complesso, articolato  sostanzialmente in due cicli, due facce che si rispecchiano l’una nell’altra, dove la voce dell’autore si  sfrangia in altre voci di cui essa si fa mediatrice, come indica il titolo Il Portavoce assegnato  complessivamente a questo primo ciclo (1995-2006), per ricomporsi in unità, dopo il necessario  attraversamento nell’altro che è al contempo percorso di ricerca, dilatazione degli spazi poematici e  affinamento dei mezzi espressivi, con la messinscena del proprio io, della propria voce. 

È quanto possiamo cogliere, a conclusione di questo lungo processo di rispecchiamento e a  certificazione di una irrinunciabile caccia spirituale, nel libro L’opera in rosso (Passigli 2016), che introduce l’io – lirico ed empirico – ridestandolo e ridefinendolo fin dall’incipit nella sua centralità (dopo la cesura del quinario e in punta all’endecasillabo allineati come membri di un verso composto):  “Davanti al Mac, io sono un amanuense medievale”. Qui, già marcatamente in questo verso proemiale  e più diffusamente nella raccolta che precede e in qualche modo prepara la stesura di Frammenti di  nobili cose, si annunciano, investiti di responsabilità, alcuni decisivi aspetti della poetica attuale di  Morasso. Anzitutto, il consegnarsi alla scrittura: l’efficace cortocircuito che antifrasticamente mescola la sofisticata tecnologia del computer – anche come indicazione di una presenza hic et nunc del poeta alla realtà odierna – a una cura artigianale della parola; e poi, significativamente, l’anelito  a un’oltranza nell’effetto alone che l’estensione semantica del termine “amanuense” reca con sé.  Continua a leggere

20 righe (per niente) facili

di Pasquale Vitagliano

Inizio a leggere La comunità dei viventi (Editrice Clinamen, 2023) di Idolo Hoxhvogli e mi trovo di fronte ad un mistero? Cosa sto leggendo? Non è una raccolta di poesia, per la precisione, di poesia in prosa; non è una raccolta di aforismi; non è un saggio filosofico, anche se si avvicina alla struttura pascaliana dei Pensieri. Cos’è allora? Il potere per conquistare l’uomo legge di fronte a lui un testo. Il punto decisivo del testo è la nascita del potere, scrive Idolo al numero 14. Ecco, una possibile rotta. Questo libro è un protocollo di esercizi contro il potere. E’ un dispositivo che persegue il disegno di proporre a noi viventi “un compito infinito chiamato libertà”. Per costruire questa comunità bisogna destrutturare i segni e compiere atti di forza. La libertà combatte contro l’organizzazione linguistica del sacro, quale paradigma del dominio. La salvezza è in esilio dal nome. La libertà non è mai un diritto acquisito ma un atto di forza contro la formattazione securitaria.

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Vladimir Di Prima, “Il buio delle tre”

Recensione di Marco Candida

Vladimir Di Prima, Il buio delle tre (Arkadia Editore, 2023)

Credo qualsiasi appassionato lettore si formi nella mente prima o poi una sua antologia personale contenente pagine di alta scuola di romanzi italiani. Di sicuro, nella mia vi appare Un anno di corsa di Giovanni Accardo, in particolare l’episodio, interno al romanzo, della zuppiera. Vi appare senz’altro l’episodio della voliera contenuto in Seta di Alessandro Baricco. E adesso è da inserirsi l’episodio dell’eruzione vulcanica narrata nel romanzo Il buio delle tre di Vladimir Di Prima. Pinuccio Badalà, protagonista del romanzo, incontra per caso a un raduno Lucio Dalla, e questi amichevole gli richiede in lettura il suo romanzo eternamente in cerca di editore; così Badalà scappa a casa e stampa il libro, e corre alla sontuosa villa dove alloggia l’interprete di Attenti al lupo per consegnargli il manoscritto, ma mentre la stampante lavora all’Etna vien voglia di farsi sentire, e così Badalà deve affrontare una tempesta di cenere mentre a bordo della sua macchina porta il manoscritto al grande e generoso cantante. Bisogna leggerlo. Un capitolo che ti riconcilia con la voglia di letteratura, di grande letteratura. Ma data una simile premessa, si capisce che Il buio delle tre è in realtà un ben più esteso florilegio di episodi da antologia. Pinuccio Badalà anche col suo nome, e le sue tragicomiche peripezie per affermarsi come scrittore (cosa che detta così a schiaffo farebbe tremare il lato conformista del più libero dei bohemien), ti rimane nella testa simile a personaggi quali Vitangelo Moscarda o Mariano Grifeo Cardona di Canicarao o Giovanni Percolla. E il bello è pure che nelle prime pagine il romanzo fa pensare più a gag alla Ficarra e Picone che alla Muscarà e Scannapieco. Ti dà il tempo di farti acclimatare in una morbida atmosfera di puro divertimento; ma poi, dall’episodio della morte del padre sindacalista in seguito a un capriccio del destino, il livello narrativo vertiginosamente si alza, e comincia a risuonare, nella prosa brillante, affabulatoria, grande pregio. Continua a leggere

Davvero una Matematica per tutti

di Fabrizio Centofanti

Leggo Matematica per tutti perché è l’occasione della vita per entrare in territori che ho considerato estranei al mio desiderio genuino, tranne l’ultimo anno del Liceo classico “Anco Marzio”, a Ostia Lido, quando un professore un po’ fuori di testa riuscì a farmi innamorare di una partner impossibile, che abbracciai per un momento e portai con me all’esame di maturità, restandone bruciato, perché i miracoli li fa solo Cristo.

La particolarità del libro sta nel fatto che non toglie il difficile, ma ti ci fa arrivare come attraverso un percorso di montagna, facendoti sentire in compagnia, e soprattutto sulle orme di una guida che per me era, ad esempio, padre Fois, il gesuita sardo che con lo zaino e i pantaloni alla zuava ci scortava sulle ferrate delle Dolomiti, trovando sempre un rifugio dove fermarsi per una cioccolata calda, o una grappa per quelli più cresciuti. Sparzani è un padre Fois degli integrali e degli insiemi, ti scarrozza allegramente tra numeri reali, complessi, naturali, per cui se sei convinto di esserti perduto, sei subito raggiunto dalla voce che rassicura il gruppo: ecco, siamo arrivati. Non so se Antonello sia contento di essere paragonato a un gesuita: il fatto è che ci sono eccezioni anche fra i preti, non solo fra gli insegnanti di matematica al liceo. Se il professor Bini non mi avesse portato sull’orlo dell’abisso, non mi avesse fatto perdere tanto allegramente dieci punti nel giudizio finale, io non avrei tra le mani la Matematica per tutti, l’ultima fatica di un padre Fois delle strutture e dei piani cartesiani, per cui non puoi più esimerti dal trovare un angolo di spazio/tempo in cui riprendere il volume e cominciare a salire un’altra volta verso il Sassopiatto, le tre Torri del Vajolet, e persino – dico persino –  il Bus del Diaol non ti fa più paura.

Antonio Sparzani, Matematica per tutti, Milano, Mimesis Edizioni, 2023.

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