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Roberto Plevano, Di spada e di croce

di Riccardo Ferrazzi

Avete letto “Marca gioiosa”? Se sì, non mancherete certo l’occasione di gustare questo nuovo capolavoro di Roberto Plevano. Ma se avete mancato l’occasione di leggere uno dei migliori romanzi storici della letteratura italiana, non perdete “Di spada e di croce”.

In realtà, ci sarebbe da domandarsi se sia lecito rinchiudere sbrigativamente questi due grandi affreschi in una definizione di genere (romanzo storico), come se l’autore avesse voluto unicamente rievocare i fasti di una famiglia e del suo maggiore esponente, Ezzelino da Romano, il condottiero che per un breve periodo arrivò a condizionare la politica mondiale ponendosi come indispensabile alleato dell’imperatore Federico II, lo stupor mundi. Controllando la Marca ed espandendosi in Lombardia, Ezzelino forniva a Federico una preziosa cerniera fra gli eserciti imperiali di Germania e d’Italia. Con lui cominciava a prender forma il sogno di una Italia, sempre inserita nell’impero, ma autonoma e influente.  Continua a leggere

Scaletta sì, scaletta no

di Riccardo Ferrazzi

Qualche mese fa, poco dopo l’uscita del romanzo “Modus in rebus”, un lettore mi ha scritto per chiedermi: “Lei quando scrive un romanzo fa prima una scaletta?”. 

Ho risposto: “Generalmente no” e non mi sono addentrato in una spiegazione. In realtà, la scaletta bisognerebbe farla per dare una risposta esaustiva a questa domanda. Ma quel lettore si aspettava probabilmente una risposta ampia e argomentata, e si sarà sentito defraudato. 

Ora: l’ultima cosa che può permettersi uno che scrive e pubblica un romanzo è defraudare i suoi lettori. Sia che non risponda, sia che lo faccia rimasticando qualche chiacchiera da “scuola di scrittura”. Avevo il dovere di spiegare perché “generalmente” non faccio una scaletta, e dovevo farlo senza dare l’idea di disprezzare chi invece la scaletta la fa. Quindi dovevo pensarci su. Continua a leggere

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Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow

di Riccardo Ferrazzi

Trabild, Sussurri da Gotland, di Christian Stannow, traduzione di Giovanni Agnoloni, Ortica Editrice.

Questo libretto, che il nostro Giovanni Agnoloni – esperto di lingue e letterature nordiche – ha tradotto da par suo, mi ha messo in crisi. 

Sospetto che la storia narrata sia la cosa meno importante. Subodoro che l’accavallarsi delle diverse narrazioni sia solo apparentemente dovuto a una (sedicente?) raccolta di storie originarie dell’isola di Gotland. Ricordo – con tenerezza, ma anche con un vago fastidio – quanto mi dicevano i nonni a proposito delle storie contadine, che venivano raccontate nella stalla, quando tutta la famiglia si raccoglieva lì nelle sere d’inverno (perché non c’era legna da bruciare nel camino e nella stalla il fiato delle vacche spandeva un po’ di tepore). Ecco: erano storie abbastanza brevi, un po’ gotiche, a volte – come le fiabe – con qualche intento educativo: storie nate con la tradizione orale che stravolge i fatti da cui ha avuto origine, storie comunque slegate fra di loro. Continua a leggere

Riccardo Ferrazzi. Modus in rebus

di Roberto Plevano

Il nostro amico Fabrizio Centofanti ci ha tenuto a dire che Questo romanzo ha un’anima. Detto da chi di anime se ne intende, il giudizio segnala una qualità ormai rara nel panorama della narrativa italiana: l’autenticità che deriva dal saper mettere giù per iscritto, senza comodi trucchi, un quadro di vita, una forma, un tono – in una parola impegnativa, una voce – della variegata esperienza del mondo, di studio, lavoro, amicizie, del romanziere Ferrazzi, e di lì costruire un romanzo che parla onestamente al lettore, e, come direbbe Tiziano Scarpa, gli dice la verità. Ecco che l’atipico noir di Ferrazzi diventa esercizio di responsabilità intellettuale.

Inizia come un noir, Modus in rebus di Riccardo Ferrazzi (Morellini Editore, 2023), con la secchezza e la perentorietà delle tinte della meseta castigliana arroventata sotto un sole che cala giù come un maglio, inaridisce l’erba prima che cresca, una luce a cui è impossibile sottrarsi, e che, si scoprirà, è il contrappunto a una trama di oscuri misteri. In questo panorama viaggia, pensa, parla il protagonista, Vittorio Fabbri, un giovane professionista milanese che per lavoro da Madrid raggiunge Salamanca, città di antiche pietre e più antichi studi.
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Il santuario delle ombre, di Amir Valle

di Riccardo Ferrazzi

Il santuario delle ombre,  di Amir Valle. Traduzione di Giovanni Agnoloni

Realismo sucio (letteralmente: realismo sporco) è la tendenza dominante fra gli autori della diaspora cubana, della quale Amir Valle è forse l’esponente di maggior spicco.

In questo Santuario delle ombre, Valle denuncia le efferatezze a cui giungono i trafficanti di esseri umani che si offrono di trasportare dall’Avana a Miami clandestinamente (e a caro prezzo) i cubani che preferiscono l’inferno capitalista della Florida al paradiso castrista. Ma non solo: dipinge anche la realtà, spesso retriva e conservatrice, di un regime ormai privo del suo caudillo (che lo reggeva a base di propaganda e repressione) e non sa fare altro che proseguire su questa strada anche in mancanza di un capo carismatico. Continua a leggere

Modus in rebus, di Riccardo Ferrazzi

di Fabrizio Centofanti

Riccardo Ferrazzi ha scritto il quarto romanzo. La notizia mi turba: so che dovrò recensirlo, anche se lui non me lo chiede, perché conosce la mia vita. Mia madre sta male, sono un prete badante, dove trovo il tempo per leggerlo sul serio? Comincio tra mille fastidi, mille impegni. Comincio. Il romanzo di Riccardo ha una particolarità: se lo cominci, sei costretto a finirlo. Obietterete: questo vale per tutti i romanzi degni di rispetto. Vero, ma qui la faccenda è diversa: non è il finale che mi intriga, è – come spiegarlo? – l’anima. Questo romanzo ha un’anima. Forse per questo Riccardo ha voluto che lo leggessi a tutti i costi: per svelarmi qualcosa di se stesso. Insinuerete: il solito romanzo autobiografico! Nemmeno per idea: l’autobiografia tende a slabbrarsi per un difetto di distanza, ma qui è diverso: il tono è perfetto, come scrissi in occasione della traduzione ferrazziana di Lorca. Forse comincio a capire perché questo romanzo mi costringe a rincorrere la fine. C’è una poesia del poeta andaluso in cui una cicala canta e muore. Questo romanzo è il canto di una morte. Ma – curiosamente – è pieno di vita, come se solo al cospetto della morte si potesse amare l’esistenza. Questo romanzo è un giallo: ti tiene col fiato sospeso fino all’ultima riga. Ma non arrivi lì per scoprire come va a finire, ma perché, come la cicala, intuisci che in quella morte c’è un cuore tutto azzurro, che canta con la vita che finisce, che esorcizza la fine con il canto. Forse ho capito. Posso fare anche questa recensione se sono certo di non fingere, se con la madre malata, l’ennesimo povero che irrompe nel confessionale per strapparmi un euro, la corsa nel traffico impazzito, ho capito qualcosa di più, di questa vita, grazie al mio amico. Stasera gli scriverò, glielo dirò: mi hai fregato un’altra volta.

Riccardo Ferrazzi, Modus in rebus, Milano, Morellini Editore, 2023.

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Tre libri di, su e per la traduzione di Marino Magliani 

Articolo di Giovanni Agnoloni

Tre libri di, su e per la traduzione di Marino Magliani 

Una riflessione generale sull’opera di autore e traduttore di Marino Magliani è cosa pressoché impossibile da fare in poche righe, tanto è vasta e articolata. Per di più, per me s’intreccia con il fatto di essere suo amico da molto tempo. Anzi, scrivo su questo blog perché quindici anni fa (abbondanti) mi ci introdusse proprio lui. E insieme abbiamo fatto e continuiamo a fare tante cose, in ambito letterario e linguistico.

Qui, però, vorrei concentrarmi su tre momenti recenti del lavoro di Marino, ovvero il romanzo Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino) (ed. 66th&2nd), l’opera critica Calvino, Biamonti, Magliani. Il racconto del paesaggio, lo sguardo, la luce (di Luigi Marfè, Claudio Panella, Luigi Preziosi e Fabrizio Scrivano) (ed. Exòrma) e il volume Islario fantastico argentino (di Salvador Gargiulo, Alejandro Winograd, Gonzalo Monterroso e Alberto Muñoz) (ed. Tarka), su numerose isole(tte) del territorio argentino, trattate con spirito tra il geografico e il fantasioso, che Magliani ha tradotto con una competenza che non nasce solo dalla conoscenza della lingua, ma da quella dell’Argentina, dove ha trascorso un periodo della sua vita.

C’è un elemento comune che attraversa tutte e tre queste opere; e si tratta di qualcosa che, nel mio lavoro di saggista e di narratore, ho sempre avuto a cuore, ovvero la dimensione sottile interna al reale. Questa non è indice di “fuga dal mondo” (Tolkien avrebbe detto di “escapismo”), ma al contrario della volontà di cogliere le dinamiche più intime e apparentemente inafferrabili del mondo e della vita. È, come ho già avuto modo di scrivere altrove, la “Terra di Mezzo della realtà”, strettamente connessa con i misteri dello spazio e del tempo.

Non a caso, Il bambino e le isole ha come sottotitolo Un sogno di Calvino. Il tema è quello che il grande autore avrebbe voluto sviluppare in un suo racconto, che però non scrisse mai, e che Magliani ha “recuperato” e sviluppato con la sua voce genuina, intrecciandolo con scene e momenti attinti dalla vita stessa di Calvino, anche legati al suo supposto incontro, da ragazzo, con il filosofo Walter Benjamin durante un suo soggiorno in Liguria. Continua a leggere

Paolo Codazzi, Lo Specchio Armeno

di Riccardo Ferrazzi

Un romanzo che andrebbe prescritto a tutte le “scuole di scrittura” perché, diciamo la verità: non se ne può più della mania per la “paratassi”. Dopo aver sterminato gli avverbi, decimato gli aggettivi e abolito gli incisi, i romanzi sono composti ormai soltanto da frasi scheletriche, con soggetto, verbo e rarissimi complementi, dopodiché ci affretta a fare punto. Possibilmente a capo. Come nel gioco del calcio, dove gli allenatori hanno proibito il dribbling e guai a chi si permette di “andare all’uno contro uno”! 

Nel suo Specchio armeno Codazzi ci restituisce il piacere della retorica “asiana”, dei periodi simmetricamente costruiti, dove, intorno alla frase che dà il senso del discorso, si aggiungono le informazioni corollarie che i narratori “paratattici” (e gli sforbicianti editor) taglierebbero per principio. Eppure, quelle informazioni sono tutt’altro che inutili, anzi: inquadrano in modo coerente e articolato il mondo in cui si svolge la vicenda, allestiscono una Wunderkammer nella quale il lettore viene trasportato per vivere insieme ai personaggi. Non è proprio questo ciò che chiede il lettore? Ma, si obbietta, non siamo più abituati a questi periodi lunghi una pagina, dove si rischia di perdere il filo, di non capire più chi parla e a cosa si riferisce! Continua a leggere

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Meditazioni catalane su tempi e modi del divenire

di Riccardo Ferrazzi

Chissà perché non mancano mai i politicanti interessati a fomentare discordie in nome delle “piccole patrie”, anche se poi, quando conquistano un po’ di potere, tutti i cambiamenti si riducono a faccende puramente nominali, come i cartelli stradali nella lingua del posto.  

Tanto tempo fa, tornando in Spagna dopo una lunga assenza, rimasi disorientato dai nuovi cartelli indicatori. In autostrada ogni tanto vedevo apparire un cartello che indicava la distanza da una sconosciuta Lleyda. Che fosse il nome catalano di Lerida? Saperlo sarebbe stato utile. Per quel che ricordavo, Lerida doveva essere più o meno da quelle parti, ma non ce n’era traccia: Lleyda rimase Lleyda anche quando passai davanti allo svincolo di uscita. Avevo forse imboccato un’autostrada nuova, che andava in tutt’altra direzione? Solo quando cominciarono ad apparire i cartelli che indicavano la distanza da Saragozza (che, non essendo catalana, continuava a chiamarsi Zaragoza) mi tranquillizzai: ero sulla strada giusta.  Continua a leggere

Clinicamente vivo     

di Riccardo Ferrazzi

Pomiciarono anche alla stazione, incapaci di staccarsi uno dall’altra. Sul treno mostrarono i documenti ai doganieri continuando a guardarsi in viso, come se si scoprissero in ogni momento per la prima volta. Erano universitari che rientravano da una vacanza clandestina.
“Confessa: non ti sei mai divertito tanto.”
Baci, mani sotto le felpe, brevi pause per calmare i bollori. Tra Arnhem e Francoforte lei gli chiese sottovoce:
“Piaciuta l’erba? Valeva la spesa, no?”
Lui scosse la testa. Lei gli mostrò la lingua.
“Va’ là che tra dieci anni sarai uno stimato professionista.”
Lo pizzicò sulle maniglie dell’amore.
“E sarai ancora più grasso.”
A Basilea lui voleva comprare un hot dog. Scoprì di non avere neanche un quattrino. Era convinto di averne ancora, ma il portafogli era vuoto. Tornarono nello scompartimento e non si baciarono più. Continua a leggere

“Gli altri”, di Ignacio Carral

Recensione di Giovanni Agnoloni

Ignacio Carral, Los otros, ed. I Libri di Mompracem, 2023

Frutto di un’inchiesta giornalistica condotta dall’autore in prima persona all’inizio degli anni ’30 e uscita a puntate sulla rivista “Estampa”, Gli altri (Los otros) di Ignacio Carral, qui tradotto da Riccardo Ferrazzi, è un esempio di narrativa di grande vividezza e carica realistica, perché nasce dall’impasto stesso della vita più dura, quella degli ultimi – l’altro lato della Madrid benestante di quel periodo, immediatamente precedente il precipitare degli eventi che nella seconda metà di quel decennio avrebbe condotto alla guerra civile.

L’autore – morto di arresto cardiaco nel 1935, a soli trentotto anni – entra in quel mondo di miseria senza filtri o scappatoie. Patisce le stesse condizioni impietose dei senzatetto della capitale iberica, conoscendo il freddo, la mortificazione e la perenne stanchezza, oltre naturalmente all’onnipresente fame, sia pur temperata, a tratti, da pasti rimediati qua e là. E tutto questo lo restituisce con incandescente immediatezza e – combinazione quanto mai rara – con uno stile asciuttissimo, privo di ornamenti di sorta. Un perfetto esempio di giornalismo che si fa letteratura, in controtendenza rispetto a tanta tradizione ampollosa del tempo, com’è stato messo in luce in occasione della presentazione fiorentina del volume, cui sono stato lieto di assistere. Continua a leggere

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Il mio amico Huck Finn, di Riccardo Ferrazzi

Per tradurre The adventures of Huckleberry Finn non si può prescindere da ciò che al testo è stato premesso dall’autore. Lo riporto integralmente perché anche il burlesco “Avviso” iniziale è indispensabile per chiarire quale deve essere il tono della narrazione.   

 

                                                    Avviso

 

Chiunque cerchi di trovare uno scopo in questo romanzo sarà incriminato; chiunque pretenda di trovarci una morale sarà proscritto; 

chiunque si azzardi a trovarci un senso sarà fucilato.

 

                                                                    Per ordine dell’autore

 

                                                                    Firmato              G.G.

                                                                               Comandante in capo dell’Artiglieria (*)

 

(*) N.d. T.  Si suppone che questo G.G. fosse un tale George Griffin, negro nato schiavo e reso libero dalla Proclamazione di Emancipazione dopo essere stato attendente del generale Devens durante la Guerra di Secessione. A partire dal 1874 fu per diciassette anni maggiordomo in casa di Samuel Clemens (vero nome di Mark Twain). Si dice che abbia ispirato il personaggio del negro Jim. Continua a leggere

Un tentativo di tradurre Garcia Lorca, di Riccardo Ferrazzi

Tradurre la poesia, si sa, è praticamente impossibile. Ogni singola parola di ciascuna lingua ha un suono particolare, e il poeta se ne serve per evocare significati molteplici o per conferire musicalità al verso. Anche i poeti contemporanei, che volutamente rifuggono da rime e metri, vanno alla ricerca di una loro musicalità.

Il traduttore deve essere ben consapevole dei suoi limiti: passare da una lingua all’altra mantenendo il senso, le allusioni e la musicalità dell’originale è quasi sempre una sfida persa in partenza. Quando poi si tratta di affrontare Garcia Lorca, la sfida diventa estrema. Le metafore lorchiane sono spesso criptiche, stralunate, o anche studiatamente ingenue, ma la versione non è una esegesi e non può destrutturare le metafore: mettere in chiaro il significato occulto di una metafora sarebbe uno snaturare la poesia. Continua a leggere

Lorca, “Romancero Gitano”, traduzione di Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi


Introduzione di Fabrizio Centofanti 

Il pomeriggio che Riccardo Ferrazzi mi ha proposto di introdurre la sua perfetta traduzione del Romancero gitano ho pensato immediatamente di declinare l’invito. Di Lorca, per me, non si può scrivere, solo leggere o ascoltare. È una lingua di altri mondi, una musica librata al di sopra delle teste, qualcosa che si prova a inseguire, ma non si riesce ad afferrare: come i gitani, perseguitati e disprezzati per l’assenza di stabilità e di patria, pericolosi come profeti e poeti, come Lorca, non a caso fucilato a Viznar, nell’amata Andalusia, vicino a un ulivo, insieme a due toreri e un insegnante. Continua a leggere

Peninsulario, di Marino Magliani, recensione di Riccardo Ferrazzi

 

 La poetica di Marino

 

È uscito, per i curatissimi tipi di Italo Svevo, prelibata casa editrice triestina, un libro di racconti (o forse sarebbe più corretto dire: novelle) di Marino Magliani. La dotta prefazione di Filippo Tuena mette in luce i punti di contatto della poetica di Magliani con la lezione di Calvino, scava nella psicologia del ritorno al luogo natale (il nostos) e nella punta di amaro che ci sgomenta ogni volta che torniamo alle nostre Itache. Continua a leggere

Da luoghi lontani, recensione di Riccardo Ferrazzi


Sempre più meritoria nel suo impegno, la collana “Senza Rotta” dell’editrice Arkadia offre spazio e opportunità ai racconti, genere letterario ingiustamente trascurato dall’editoria italiana. Dopo “Lo storiografo dei disguidi” di Paolo Codazzi, è la volta di una sillogedi tre autori: il “nostro” Giovanni Agnoloni, del quale, oltre ai recenti
Viale dei silenzi e Berretti Erasmus, non si può fare a meno di ricordare Internet: Cronache della fine; e inoltre Carlo Cuppini e Sandra Salvato, tutti e due poeti, l’uno con esperienze di teatro e letteratura fantastica, l’altra giornalista ed esperta di comunicazione.

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Riccardo Ferrazzi, Il Caravaggio scomparso,

Riccardo Ferrazzi, Il Caravaggio scomparso, Golem edizioni, pagg.173, euro 13,90

 

Recensione di Franz Krauspenhaar 

 

Riccardo Ferrazzi è un autore atipico, versatile e capace quindi di non farsi riconoscere, come certi impiegati della scrittura, frase per frase,  libro per libro. Non è classificabile, sa passare da ambientazioni spagnole (la Spagna è il suo paese d’elezione, si potrebbe dire la sua seconda patria, se non fosse, per avventura o disgrazia, italiano e per soprammercato lombardo). Spesso a Milano, citta’ satellite di se stessa, ormai votata, disamina e corpo, alla moda e alle mode più inutili e dannose, con un centro città’ sempre meno milanese e, perlomeno fino a poco tempo fa, sempre più russo, sezione oligarchi spendaccioni, il Ferrazzi ha compiuto un viaggio esistenziale non facile e comunque interessante, essendo stato per anni un dirigente petrolifero di alto livello. Il nostro non è soltanto “semplice”narratore, perché nei suoi libri c’è sempre il calibro, non necessariamente di un’arma, di una propensione alla variazione sul tema, che però non ammara mai nella prolissità e nella noia. Leggere i libri di Ferrazzi (ambientati nella suggestiva e letteraria Saragozza, o sulle barche, e le sue collaborazioni con l’ottimo scrittore ligure e cittadino del mondo Marino Magliani, o la splendida biografia romanzata dei primi anni di Napoleone Bonaparte, per citarne alcuni) significa espandersi e a volte perdersi perché, come detto, egli da un libro vuole solo poche ma importanti cose: che sia avvincente, che sia diverso dal precedente; dunque mettendosi ogni volta alla prova, che sia scritto in una prosa approdata felicemente alla sintesi ma allo stesso tempo, e in questo breve romanzo, o racconto lungo, ne troviamo l’ennesima prova, piena di misture linguistiche, di paradossi, di raffinatezze degne di un Gadda e di un Manganelli, perlomeno in certe falde della sua raffinata scrittura. Ferrazzi, ipotizziamo, è snob senza saperlo appieno, per cui alla fine il suo snobismo naturale piace, diventa addirittura funzionale alle capre e ai cavoli del tutto. Questo suo ultimo libro, un giallo ambientato nella sua Heimat bustocca, narra di un industriale scomparso, un siciliano perfettamente trapiantato nel nord avido e arrivista; e di suo figlio che, in pieno allarme, incarica il Piero Colombo, investigatore a culo pezzato e suo ex compagno di scuola, di trovare il padre. Sennonché anche il figlio sparisce, accompagnato nella sparizione da una Madonna del Caravaggio, che suggerisce il titolo al romanzo. Una bella trama, un giallo italiano di frontiera (c’è anche Lugano, di mezzo) di cui non diciamo di più perché l’autore si è preso, nella trama, i ferri del mestiere del giallo classico. E dunque diamo l’avvertimento anche a noi stessi di non rivelare nulla, per non togliere al lettore il sempre più raro piacere della sorpresa. Ma il lettore avvertito può godersi questo bel libro su due livelli: la trama, la narrazione impeccabile, i dialoghi altrettanto riusciti, e questa piattaforma strettamente letteraria di uno scrittore che non può, e non deve, dimenticare la sua cultura e il suo estro. Raccomandiamo pertanto la lettura di questo ottimo giallo per definizione ma in verità anche, o soprattutto, di bella prova di autentica  letteratura.

Lo storiografo dei disguidi, recensione di Riccardo Ferrazzi

Finalmente un libro di racconti!

L’editore Arkadia, nella collana Senza Rotta, sfata un tabù che da troppo tempo grava sull’editoria italiana (“i racconti non vendono!”) e dà spazio a una raccolta di racconti. Lodevole iniziativa che merita di essere seguita anche da altri editori. In effetti non si capisce perché i lettori italiani debbano leggere soltanto racconti di autori stranieri (peraltro bellissimi, come quelli di Alice Munro, Jorge Luis Borges e altri) mentre gli autori italiani scrivono racconti solo per concorsi, blog e riviste. Continua a leggere

Un gelido inverno in Viale Bligny, recensione di Riccardo Ferrazzi

Un gelido inverno in Viale Bligny, di Arianna Destito Maffeo, Morellini Editore.

Un giallo al femminile. Un giallo milanese. Un giallo in bilico fra tradizione e rivoluzione dei costumi.

In materia non mancano certo i precedenti di autrici donne, da Agatha Christie a Camilla Läckberg; come pure i precedenti di ambientazioni milanesi, da Scerbanenco all’ultimo Krauspenhaar; e, quanto a rivoluzione dei costumi, il genere giallo è quanto di più eversivo si possa immaginare: ogni storia comincia inevitabilmente da un omicidio, la massima trasgressione concepibile in una società civile.  Continua a leggere

Riccardo Ferrazzi, “Il Caravaggio scomparso”

Recensione di Giovanni Agnoloni

Riccardo Ferrazzi, Il Caravaggio scomparso, Golem Edizioni, 2021

Il Nord industriale e (quando lo è) nebbioso non sembrerebbe suggerire trame gialle, o forse sì. Dipende. L’importante è trovare la chiave giusta. E Riccardo Ferrazzi, scrittore colto, ironico ed esperto – di letteratura, storia, arte e cose della vita –, ne Il Caravaggio scomparso l’ha trovata. La scomparsa di un imprenditore e l’incarico di cercarlo affidato (dal di lui figlio) a un giornalista tra il demotivato e il disincantato diventano lo spunto per un percorso narrativo sinuoso e pieno di colpi di scena, ma sempre venato da un filo conduttore di garbata ironia, capace di accendere il grigiore bustocco (aggettivo che ho scoperto leggendo il libro, ambientato infatti a Busto Arsizio) di imprevedibilità e sorprese avvincenti. Continua a leggere