Riccardo Ferrazzi, Il Caravaggio scomparso, Golem edizioni, pagg.173, euro 13,90
Recensione di Franz Krauspenhaar
Riccardo Ferrazzi è un autore atipico, versatile e capace quindi di non farsi riconoscere, come certi impiegati della scrittura, frase per frase, libro per libro. Non è classificabile, sa passare da ambientazioni spagnole (la Spagna è il suo paese d’elezione, si potrebbe dire la sua seconda patria, se non fosse, per avventura o disgrazia, italiano e per soprammercato lombardo). Spesso a Milano, citta’ satellite di se stessa, ormai votata, disamina e corpo, alla moda e alle mode più inutili e dannose, con un centro città’ sempre meno milanese e, perlomeno fino a poco tempo fa, sempre più russo, sezione oligarchi spendaccioni, il Ferrazzi ha compiuto un viaggio esistenziale non facile e comunque interessante, essendo stato per anni un dirigente petrolifero di alto livello. Il nostro non è soltanto “semplice”narratore, perché nei suoi libri c’è sempre il calibro, non necessariamente di un’arma, di una propensione alla variazione sul tema, che però non ammara mai nella prolissità e nella noia. Leggere i libri di Ferrazzi (ambientati nella suggestiva e letteraria Saragozza, o sulle barche, e le sue collaborazioni con l’ottimo scrittore ligure e cittadino del mondo Marino Magliani, o la splendida biografia romanzata dei primi anni di Napoleone Bonaparte, per citarne alcuni) significa espandersi e a volte perdersi perché, come detto, egli da un libro vuole solo poche ma importanti cose: che sia avvincente, che sia diverso dal precedente; dunque mettendosi ogni volta alla prova, che sia scritto in una prosa approdata felicemente alla sintesi ma allo stesso tempo, e in questo breve romanzo, o racconto lungo, ne troviamo l’ennesima prova, piena di misture linguistiche, di paradossi, di raffinatezze degne di un Gadda e di un Manganelli, perlomeno in certe falde della sua raffinata scrittura. Ferrazzi, ipotizziamo, è snob senza saperlo appieno, per cui alla fine il suo snobismo naturale piace, diventa addirittura funzionale alle capre e ai cavoli del tutto. Questo suo ultimo libro, un giallo ambientato nella sua Heimat bustocca, narra di un industriale scomparso, un siciliano perfettamente trapiantato nel nord avido e arrivista; e di suo figlio che, in pieno allarme, incarica il Piero Colombo, investigatore a culo pezzato e suo ex compagno di scuola, di trovare il padre. Sennonché anche il figlio sparisce, accompagnato nella sparizione da una Madonna del Caravaggio, che suggerisce il titolo al romanzo. Una bella trama, un giallo italiano di frontiera (c’è anche Lugano, di mezzo) di cui non diciamo di più perché l’autore si è preso, nella trama, i ferri del mestiere del giallo classico. E dunque diamo l’avvertimento anche a noi stessi di non rivelare nulla, per non togliere al lettore il sempre più raro piacere della sorpresa. Ma il lettore avvertito può godersi questo bel libro su due livelli: la trama, la narrazione impeccabile, i dialoghi altrettanto riusciti, e questa piattaforma strettamente letteraria di uno scrittore che non può, e non deve, dimenticare la sua cultura e il suo estro. Raccomandiamo pertanto la lettura di questo ottimo giallo per definizione ma in verità anche, o soprattutto, di bella prova di autentica letteratura.