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La parola ai poeti. Riccardo Benzina

[…] perché infine ciò che la frase scrive è la propria lontananza dall’origine […]

Aldo Giorgio Gargani

Per sovvertire un pensiero bisogna sovvertire il linguaggio che lo ha generato. E la poesia mi sembra il mezzo più adatto a cogliere questa possibilità, cioè quella di portare avanti un lavoro sulla coscienza, in definitiva: che ha per ultimo oggetto la coscienza. E la parola è un dono di linguaggio e il linguaggio non è immateriale (Lacan), dunque il confronto con la parola non si risolve una lotta corpo a senza corpo, bensì in qualcosa di molto più cruento e brutale e feroce, che io conosco. Le parole altro non sono che una forma antichissima di tecnologia, che è tecnologia vivente e abita uno stato di mutevolezza proprio ineludibile, quel metamorfico esserci delle parole, continuamente morenti e nascenti, risuscitanti. Recalcitranti. Quasi incredibile che riescano a contenere un così vasto arsenale di possibilità così diverse l’una dall’altra, e che queste possibilità si facciano reali o rimangano quiescenti o si esauriscano – e tutto questo brilla e vibra così sensibilmente dentro le parole, attraverso le parole. Ora, è importantissimo conoscere una tecnologia perché funzioni, ma in questo caso ci vuole anche qualcosa di più: bisogna fare in modo che funzioni ancora. Non soltanto conoscere ma anche saper distruggere la parola, perché funzioni, ricomporla perché funzioni, e soprattutto immaginarla altra perché funzioni (perché funzioni ancora). Così l’intelligenza del poeta si adopera nella riproduzione di un attrito fra le parole, con la speranza di accendere una scintilla. Continua non soltanto a sfregare le sue pietre focaie, ma prova ad escogitare maniere nuove di accendere il fuoco. Questi meccanismi, a dire il vero, mi risultano alquanto misteriosi. È la parola stessa, a monte, a risultare misteriosa. Il suo gioco di scomporre il mondo in parti, di approssimarlo infinitamente. Il suo qui-pro-quo che si eleva a potenza, che assurge a sistema. La parola è un gioco di vertigine; la vertigine che danno le parole è qualcosa a cui forse ci siamo abituati. La loro valanga ci travolge da secoli, e quasi non ce ne accorgiamo più. Le parole, onnipresenti sin da prima della nascita, e noi esposti senza tregua a questo mondo altro, delle parole, a questo strano organismo che sopravvive e ci sopravvive e ci ferisce e ci illude e ci condanna e ci (tras)forma… non riesco a dire molto altro, se non che il loro fondamento irradia una luce, ma non si riesce bene a vederne la fonte – e ci si può provare certo – oppure l’origine si può perdere, può essere persa, anche. Continua a leggere