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Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro

Rimanere e diventare

V domenica di Pasqua

[1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8]

Rimanere è un prendere casa. Si può rimanere in un luogo per piacere o per necessità, ma non si può “rimanere” in una persona. Eppure, forse, anche una persona può essere un “luogo” in cui “rimanere”. Chi è innamorato lo sa. Gli innamorati sanno “rimanere” reciprocamente nella persona amata. Solo gli innamorati sanno farlo. Si può prendere dimora presso la persona amata e c’è un rimanerci anche se fisicamente impediti dal farlo. Chi ama sa di cosa si sta parlando.

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IV dom. Pasqua B

[Gv. 10,11-18]

 

?Troppo spesso, la tradizione cristiana ha dato al “Buon Pastore” un senso pietistico. Quel “buon” è stato inteso come connotazione morale, nel senso di “colui che è buono, che non fa del male”. In realtà, il termine greco è “kalòs”, “bello”, che non indica una caratteristrica estetica ma, piuttosto, una efficienza. Il buon pastore, insomma, è colui che fa bene il suo mestiere di pastore. Continua a leggere

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III domenica di Pasqua anno B
Lc 24, 33-48

Non è sufficiente la gioia per capire.
Sembra esserci una indicazione di percorso, nel Vangelo di oggi.
Dopo l’arrivo dei due che raccontano di aver incontrato Gesù e di non averlo riconosciuto se non nello spezzare il pane, gli apostoli restano impauriti e sbigottiti. Mentre stavano parlando di queste cose, “Gesù in persona” si fa vedere. Lui accade mentre si parla di lui. È il parlare fra loro dei discepoli che crea lo spazio di visibilità per il Risorto. Visibile e sperimentabile all ‘interno della comunità ma non ancora comprensibile. “.. a causa della grande gioia non credevano ancora”.
Non basta la gioia, anche se avvertita e vissuta nel profondo, per credere. Quella sensazione di pace fa da guida per vincere il timore e la confusione, ma non basta per dirsi credenti.La gioia rende possibile l’esperienza. “Toccate e guardate” ma, siccome non bastano ancora il toccare e il toccare e il guardare”, “ portatemi qualcosa da mangiare “. E qui l’esperienza sì ferma. È necessaria una riflessione, non spontanea, ma guidata. E ancora una volta, come già per i discepoli di Emmaus, è Gesù stesso l’ermeneuta che aiuta ad entrare nella realtà che si sta proponendo. E, per farlo ,fa appello alla memoria. Non solo a quella vissuta come amici e discepoli, ma soprattutto a quella comune a tutto l’ Israele.
La realtà della resurrezione non si può comprendere se non all’interno di questo spazio esistenziale creato dalla relazione fra Gesù e i discepoli.
Solo a questo punto è possibile parlare di testimonianza. Non è sufficiente la gioia, non basta l’esperienza; è necessaria la rilettura della propria relazione con il Risorto, è necessario rifletterci su per dirsi testimoni della resurrezione.
Luca sembra voler costruire un percorso di formazione con al centro la memoria. Come più volte detto, la memoria non è il semplice ricordo, che tende alla mistificazione degli eventi, togliendo loro tutta la forza e la provocazione. La memoria è capacità di ascolto del proprio vissuto che apre spazi di accoglienza per un futuro che vitalizza un oggi insterilito nella propria esperienza di morte. “ Sarete testimoni” è il punto di arrivo di questo percorso di formazione e inizio di una vita nuova che non ha più in se stessa il proprio significato. Solo a questo punto, la gioia non è più impedimento al credere, ma diventa condizione esistenziale, situazione permanente. Non impedisce di vedere il male presente, l’ opacità di una storicità non ancora trasparente , ma genera l’ironia necessaria per vivere, nella storia, la assoluta novità della resurrezione.

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II domenica di Pasqua in Albis

«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli  apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della resurrezione di Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.» [At 4,32-35]

La  chiave di volta di questo racconto degli Atti degli Apostoli, mi sembra sia l’affermazione centrale: davano con forza “testimonianza della resurrezione”. Continua a leggere

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Pasqua 2024

«È, e nessuno sa cosa. È qui, è là, è lontano, è vicino, è profondo, è alto! Ma no! Ho mentito: no, non è né questo né quello» diceva un mistico tedesco.

«Voce di silenzio sottile» [1Re 19,12] Quando tutti gli schemi saltano, resta solo una “voce di silenzio sottile”. Dio rivela se stesso senza togliere il velo e lasciando che ancora ognuno tenda l’orecchio per percepire la voce di silenzio sottile. 

Evento notturno, la Resurrezione. Senza testimoni oculari. Nel nascondimento della non-luce.

L’inutilità di una tomba vuota, l’assenza di un corpo noto e amato da coccolare un’ultima volta con profumi e unguenti. E adesso? Che sarà di noi? Che sarà della nostra memoria, così cara?

In greco, “memoria” e “tomba” hanno la stessa radice. Sarà la nostra memoria svuotata come la tomba vuota?

Che cosa conserveremo? Come ricorderemo? Dov’è, adesso, colui che era noto, il cui volto credevamo di conoscere?

« Non è qui».

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Giovedì Santo 2024

Facile abbandonarsi alla nostalgia, al dolore di un ritorno impossibile, verso patrie esistenti solo nel ricordo mistificatore. Troppo facile. E altrettanto inutile e alienante.
Altra cosa è la memoria.
Non rinnega il passato, la memoria, ma lo interroga e lo abita rendendolo abitabile anche da un presente che pretende il protagonismo, ma che si sa inabile, da solo, a dire parole che siano significative.
Stasera è il tempo della memoria.
« Questo giorno sarà per voi un memoriale» [Es. 12,14] « Come ho fatto io, fate anche voi» [Gv 13,1-15] e « Fate questo in memoria di me»[1Cor. 11, 23-26]
Memoria è ri-presentazione del fatto originante. È un rendere presente e vivo ciò che il passato ha inghiottito, ma che non riesce a trattenere per sé. Così, questa riabitazione del passato ci abita e si fa e ci fa in un presente, il nostro, oggi e qui, che spalanca orizzonti di senso. Continua a leggere

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Domenica delle Palme

Lo Spreco

Entriamo nel mistero. E, alle soglie del mistero, l’uomo ammutolisce. Solo il silenzio è appropriato. Un silenzio abitato dall’unica parola che ha diritto di cittadinanza. La Parola che crea e fonda, stabilisce e provoca.
Il capitolo 14 di Marco, il capitolo della Passione, si apre con una storia di profumo. Si racconta di una donna che versa del profumo prezioso sulla testa di Gesù. Continua a leggere

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Perdere e trovare

[Gv. 12, 20-33]

  «…se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita per sempre

Che cos’è “perdere”? Che cos’è “trovare”? Che cos’è “perder-si”? Che cos’è “trovar-si”?

Posso perdere solo ciò che possedevo. Posso trovare solo ciò che non avevo o che avevo perso.

Come possono coincidere il perdere e il trovare?

Si deve operare un cambio di registro fra il perdere e il trovare, per comprendere la coincidenza dei due termini riguardo alla vita. Continua a leggere

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Laetare (State contenti)

[2Cr. 36,14-16.19-23; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21 (vedi Gv 3,1-21)]

Questo giudizio non è per la condanna, ma “perché il mondo si salvi” . Il verbo greco usato per “giudicare” è krino, da cui krisis.
Il giudizio provoca la crisi, anzi, è esso stesso crisi. Tutta la relazione dell’uomo con Dio è crisi,
perché qui è il giudizio: “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo”. L’amore è crisi. Continua a leggere

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Scandalo e Follia

[1Cor 1,22-25; Gv 2, 13-25]

“Noi testimoniamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i Greci”.

Lo “skandalon” era propriamente la pietra d’inciampo, l’ostacolo che interrompeva la linearità del cammino e che obbligava a regolare il passo per non cadere.  Resta, comunque, l’idea di ostacolo, di impedimento. Cristo crocifisso è impedimento per i Giudei. Impedimento che rende difficile vedere nella croce la manifestazione di IHWH. Dov’è la “Gloria”? Dov’è la “Potenza”? Dov’è l’”Immortalità” che si richiede ad un dio? Continua a leggere

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La Visione e l’Ascolto

[Gn 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Mc 9,2-10]

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
All’uomo che ha operato la conversione, che ha riorientato il suo cammino, che si sente parte di una alleanza, viene chiesto di più.
Non basta aver compiuto una scelta, accettato un patto. Ora viene chiesto di esserne all’altezza.
La Legatura di Isacco, come la chiama la tradizione ebraica, o il Sacrificio, come la chiama quella cristiana è l’oltre verso cui siamo chiamati. Continua a leggere

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Fluidità e Concretezza

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» [Mc 1.12-15]

La Quaresima comincia nel deserto.
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Come se

[1Cor. 7,29-31]

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!
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Festa della S. Famiglia
[Lc 2,22-40]

Famiglia è porto di partenze.
Maria e Giuseppe vanno al Tempio per offrire il figlio. Non è solo un’offerta formale. Le prescrizioni sono chiare: il primogenito ( in cui riposa la discendenza, quindi il futuro della famiglia) appartiene al Signore.
I figli non ci appartengono. E ogni volta che usiamo il pronome possessivo in riferimento ai figli commettiamo una appropriazione indebita.
La famiglia non si pone così come ambito esclusivo ed escludente ma come spazio in cui ogni membro è soggetto di costruzione e crescita
La relazione intrafamiliare cessa di essere semplicemente un argine contro le cattiverie di tutto ciò che è fuori e diventa realtà inclusiva fatta da soggetti che, ognuno con il suo compito, godono e si rivestono di responsabilità.
In questo scambio amoroso è tutta la consistenza della famiglia. Essere responsabili è sentirsi interpellati da un chi che chiama e, in questa interpellanza, scoprirsi capaci di risposta. Non sempre questa è adeguata. A volte è improntata alla fuga per tirarsi fuori da impegnativi coinvolgimenti, altre volte è mera manifestazione di potere che può diventare violenza. Può essere necessario conservare i turbamenti del cuore nel segreto, come fa Maria e saperli ascoltare e saper lasciarsi interrogare dalle provocazioni che la relazione mette in campo.
Famiglia non è semplice generazione biologica. Famiglia è coeducarsi lasciando che ognuno sia soggetto della crescita altrui. Il prendersi cura e il prevenire i bisogni dell’altro sono i capisaldi di ogni convivenza umana. Così, nel tempo, si arriva a darsi del tu, in modo pieno coinvolgente, oltre i ruoli e le definizioni senza mai perdere di vista che tutti i termini usati per definire i rapporti familiari sono termini relazionali. Padre, figlio, madre, sorella, fratello implicano un tu, nel nome del quale e a partire da cui ci si definisce.
È in questa relazionalità che si gioca la appartenenza non proprietaria di ognuno. È in questa continua donazione di sè che si stabilisce la bellezza della non appartenenza.

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Natale 2023

Il linguaggio di Dio, spesso, è linguaggio di sottrazione. La gloria è svuotamento. Il potere è servizio. La presenza è mistero.

Così, Natale è celebrazione del mistero che si rivela, ma si rivela come mistero.

Il fatto del Natale non impone la sua evidenza, quasi fosse inoppugnabile che un Dio si facesse uomo. Piuttosto, resta nel nascondimento di un sorriso, quello di un bambino alla sua mamma, come di nuova promessa. E come il sorriso non è una risata fragorosa, così il Bambino di Betlemme non è la gloria di un Dio che sbaraglia. Quella che è gloria nei cieli è pace in terra. Quello che è visione nella realtà di Dio è nascondimento nella realtà umana.

Quello che per noi è concretezza carnale è svuotamento, in Dio.

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Non spegnete lo Spirito

[1Ts 5, 16-24]

C’è chi vede i deserti fiorire. C’è chi vede le lance diventare falci e le bombe diventare aratri che fendono la terra per fecondarla e non per uccidere.

C’è chi sa fasciare le piaghe dei cuori spezzati. C’è chi porta una buona notizia ai poveri. C’è chi libera gli schiavi salvandoli dal mare, e chi annuncia la fine pena ai carcerati.

?Non spegnete lo Spirito. Continua a leggere

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II Avvento Anno B

(Is. 40,1-5.9-11; 2Pt 3,8-14; Mc.1, 1-8)

  “Nuovi cieli  e terra nuova”. Ogni inizio si comprende dalla fine. L’accorata invocazione di Isaia, “se squarciassi i cieli”, della prima domenica di Avvento, trova una prima risposta: “inizio della buona notizia”. Quando i cieli si squarciano ed è rivelato il vero volto di ciò che era nascosto, appare l’insufficienza di ciò a cui siamo aggrappati. Da qui il “Vegliate” della scorsa domenica. Quando si comincia a prendere consapevolezza della insufficienza e della inadeguatezza della nostra risposta, allora è il tempo dell’inizio. E questo inizio non può che essere novità assoluta. Non sarebbe inizio se fosse semplicemente una ripetizione o la realizzazione di un progetto. Inizio segna una cesura, un ricominciare totalmente nuovo. Quando meno lo si aspetta, in un’ora che non sappiamo, giunge un Inizio ed è una buona notizia. Novità che riguarda cielo e terra. “Nuovi cieli”  segna un modo nuovo di considerare il rapporto con Dio. “Terra nuova” è il nuovo modo di guardare dentro l’orizzonte della storia. Entrambi hanno al centro l’uomo. Non è per nostra iniziativa che si realizzano “cieli nuovi”, ma è per noi, anzi, con noi, che questo accade. La novità assoluta di Dio, nella sua totale indisponibilità,  costruisce la mia nuova umanità. Continua a leggere

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Festa dell’Immacolata

[Gen. 3, 9-15.20; Lc 1,26-38]
La domanda rivolta ad Adamo (Dove sei?) è al contempo situante e spiazzante.
Non ci aveva mai pensato Adamo a porsi questa domanda.
Dove vuoi che sia? Dove sono sempre stato
È solo a partire da una domanda rivoltaci che proviamo a situarci.
Solo da un altrove viene a noi la domanda che ci situa.
Non sarà possibile avere di noi un’ idea di dove siamo se non siamo sollecitati dall’ apparire dell’ alterità.
Quando l’altro pone la domanda siamo obbligati alla risposta.
È importante questa dimensione della consapevolezza. Sembra che non si giunga alla consapevolezza di sè se non a partire da una domanda rivolta da una altro che non siamo noi. La realtà su noi stessi ci appare solo a partire dalla interpellanza dell’ altro.
È l’altro il principio di realtà.
In altre parole, la possibilità che ognuno ha di pensare se stesso è solo a partire da una relazione. È qui, nello spazio creato dall’ apparire dell’altro e dalla sua interpellanza, nello spazio della relazione, che si aprono gli occhi su noi stessi. E ci scopriamo nudi. E abbiamo paura.
Qui nasce il pudore. Non è vergogna, quella di Adamo. È pudore. Non origina da una mancanza o da una azione compiuta che si vorrebbe non aver commesso. Origina da un senso di insufficienza. È dallo scoprirsi nudo che origina il pudore di Adamo. Nasce, il pudore, dalla percezione che l’altro possa cogliere di me ciò che non sono io, possa cogliere una parzialità di ciò che sono e non percepire la totalità. Il pudore nasce dalla consapevolezza di essere più di quanto si mostri, più di quanto si appaia.
La nudità si rivela un equivoco. Sembra dire tutto di noi, privati di orpelli e di accessori, e invece nasconde la verità su ciò che siamo, dirottando l’ attenzione di chi ci guarda su altro che non
siamo noi. È fuorviante la nudità, per questo fa paura ad Adamo. Anche stavolta non si tratta di i rimorso morale. La paura è paura di rompere una relazione perché l’altro non ci capisce fino in fondo, perché coglie solo parzialmente ciò che siamo.
Non ha paura chi si affida. L’ atteggiamento di Maria, di fronte all’angelo, non è dí paura ma di timore, che è ben altra cosa. Il “timore del Signore” nasce dall’affidarsi, dalla fiducia. Non c’è paura perché chi ci interpella conosce di noi la nostra totalità . Si dona tutto e tutto chiede. In questa relazione di affidamento reciproco, tutta la bellezza di una umanità pura che si gioca la sua libertà nella fedeltà al progetto originario

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I di Avvento

Tempo di Avvento. Tempo di attesa. Tempo di desiderio.

Di fronte a qualcosa che accade, non si resta ad occhi chiusi, pacificamente dormienti. Chi attende non dorme, ma scruta.

La realtà va scrutata, perché ci si accorga che qualcosa sta accadendo. Non è una evidenza che si impone, di fronte alla quale non è possibile non vedere. Ciò che sta accadendo necessita di occhi capaci di scrutare, di mente allenata ad intuire, di cuore capace di contenere.

Di fronte all’accadimento che attendiamo  siamo chiamati ad operare un discernimento, che aprirà o chiuderà vie percorribili. Continua a leggere

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Il dono del desiderio

[Mt 25,14-30].

?E’ l’assenza che accresce il desiderio.

Così, un uomo, partendo per un viaggio, lascia, in  dono, del denaro.

In ebraico biblico, denaro e desiderio hanno la stessa radice (k-s-f). kasaf (desiderio) e kesaf (denaro). (da Simone Venturini)

Come dire: l’assenza viene riempita dal desiderio. Chi parte lascia, in dono, il desiderio di sé.

È solo una suggestione, ma può offrirci una interessante chiave di lettura del passo di Matteo. Continua a leggere