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La parola ai poeti. Evaristo Seghetta Andreoli

La poesia, questa sensazione strana che si veste di parole, me la porto dietro come una malattia, o forse è per me la cura stessa per vivere. Mi risuonano sempre in mente molti dei versi imparati a memoria da bambino, scandivano i miei giorni e le mie stagioni, mi facevano compagnia soprattutto di notte, prima di dormire, dopo le preghiere, quando quel risuonare delle rime mi apriva spazi di musicalità e di fantasia. Già la musica, le litanie, i canti gregoriani, i salmi non potevano che incidere sulla corteccia della sensibilità. Mi piaceva la poesia che mi veniva felicemente imposta a scuola. Continua a leggere

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SUL TAMBURO n.76: Evaristo Seghetta Andreoli, “Il paradigma di esse”

Evaristo Seghetta Andreoli, Il paradigma di esse, prefazione di Carlo Fini e con una nota critica di Franco Manescalchi, Firenze, Passigli, 2017

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di Giuseppe Panella*

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Il destino poetico di Evaristo Seghetta Andreoli è tutto racchiuso in quell’esse, in quell’essere che non vuol decidersi a confondersi con l’avere o scivolare nell’esserci: un verbo che si fa sostantivo e si appoggia alla vita per continuare il suo percorso esistenziale.

Scrive Carlo Fini nella sua densa e intuitiva prefazione:

«In queste nuove liriche, tuttavia, l’autore approfondisce la sua consolidata vena poetica: il linguaggio, di affascinante creatività, si prosciuga, come attestano l’apparente naturalezza e la scorrevolezza. In questa rinnovata essenzialità lo stile si esalta nelle immagini, nelle riflessioni su se stesso e l’altro. Il ritmo dei versi acquista sicurezza e musicalità. Appare importante aggiungere a queste prime annotazioni un particolare innovativo: l’autore spazia ancora di più (e con maggiore aderenza) sulla vita reale, sulle incerte sue sorti e in quelle del mondo. Ecco, allora, nella parte finale della silloge, comparire – come antiche divinità ostili – Il Tempo, lo Spazio e il Caos» (p. 5).

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SUL TAMBURO n.12: Evaristo Seghetta Andreoli, “Morfologia del dolore”

Evaristo Seghetta Andreoli, Morfologia del doloreEvaristo Seghetta Andreoli, Morfologia del dolore, con una nota di Carlo Fini, Novara, Interlinea, 2015

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di Giuseppe Panella

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Scrive Carlo Fini nella sua bella nota critica che introduce al volume di Evaristo Seghetta Andreoli che la natura poetica della scrittura di questa nuova silloge del poeta aretino è autenticamente articolata su un’esigenza di semplicità, di canto modulato senza artifici retorici ma riconnessi e ricondotti ad unità a partire da un momento di espansività sentimentale che si traduce in parola e poi in verso:

«Appare opportuno mettere in evidenza che l’autore si propone immediatamente come poeta di natura, anche se nella filigrana dei suoi versi è agevole rintracciare una cultura vasta e intrinsecamente fondata sui classici latini e greci, pur confrontandosi con la poesia contemporanea italiana e contemporanea. Siamo di fronte a una intonazione melodica che assai poco risente del linguaggio lirico corrente. I versi sono, di norma, brevi, sillabati, densi di espressività. Quella che è stata definita la “semplicità” di Evaristo è un modo autentico, quindi originale, di canto. Nella raccolta si avverte un continuo elevarsi del tono e dell’impronta: all’approfondimento interiore fa riscontro un linguaggio asciutto e chiaro, quasi che il poeta abbia trovato una via maestra per toccare il mondo, i sentimenti e le cose con originale e inconsueta misura»1.

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I LIBRI DEGLI ALTRI n.57: Il Classico ritrovato. Evaristo Seghetta Andreoli, “I semi del poeta”

Evaristo Seghetta Andreoli, I semi del poetaIl Classico ritrovato. Evaristo Seghetta Andreoli, I semi del poeta, con una prefazione di Patrizia Fazzi (“Un’anima etrusca”) e una nota di Carlo Fini, Firenze, Polistampa, 2013

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di Giuseppe Panella

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Evaristo Seghetta Andreoli è funzionario in un importante istituto di credito di Arezzo per mestiere, ma è un poeta per sincera dedizione. Lo si deduce dalla passione con cui si è gettato nella stesura dei versi di questo suo primo libro. Come ha scritto Patrizia Fazzi nella sua intensa Prefazione al volume, il poeta si era realizzato finora solo nella profondità della sua applicazione continuata alla pratica continua del verso:

«Evaristo Andreoli, quasi novello Italo Svevo, pur se calato, come l’autore triestino, nelle stanze dei conti e dei rapporti commerciali, ha mantenuto il “vizio” segreto di scrivere, di annotare e trasformare in poesie l’esercizio altrettanto quotidiano di ascoltare se stesso e di “osservare” la realtà esterna e i fenomeni naturali nella loro mutevole misteriosa epifania» (p. 5).

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