Poesia italiana del XXI secolo

Mara Venuto è nata a Taranto nel 1978, vive a Ostuni. Tra le sue pubblicazioni: i monologhi teatrali Leggimi nei pensieri (2008), The Monster (2015, testo finalista al Mario Fratti Award 2014 di New York per la drammaturgia italiana); le raccolte poetiche Gli impermeabili (2016), Questa polvere la sparge il vento (2019), La lingua della città (2021). Ha curato e pubblicato numerose antologie, tra cui un ciclo di volumi al femminile; è presente in molte opere collettive di poesia, prosa e teatro. È inclusa in una trilogia di monografie dedicate alla poesia italiana femminile contemporanea, a cura di Bonifacio Vincenzi (Macabor Editore, 2017); in un volume critico sulla poesia delle donne in Puglia, a cura di Daniele Giancane (Tabula Fati, 2022); in una ricognizione critica della poesia a Taranto dai primi del Novecento ad oggi, a cura di Silvano Trevisani (Macabor Editore, 2022); in un’antologia sulla nuova poesia pugliese, a cura di Antonio Bux (Marco Saya Editore, 2022). È stata ospite di Festival internazionali di Poesia, tra cui il IX Festival di Poesia Slava a Varsavia nel 2016 e il XV Festival Trirema e poezisë Joniane a Saranda (Albania) nel 2021. Suoi testi originali e corti teatrali sono stati rappresentati con buon riscontro di pubblico e critica. Sue poesie sono state tradotte e pubblicate in sette lingue.

Alla terra perpendicolare la caduta,

la vergogna dei cani deposti a marcire.

Vagare innocenti a due a due,

sui talloni il peso del domani e il suo travaglio,

la lucida sapienza delle viole.

In eredità lasciarsi calici dove nessuno beve

e restano come un danno nelle mani.

 

*

 

Nascere vecchia senza saperlo

lasciare i ricordi in utero,

restare informe creatura

sazia, arresa.

 

Nella notte adulta ascoltare l’acqua,

i passi che scalciano senza peso

la resistenza ai moti

un corpo in cerca del suo spazio

dove non c’è carico.

 

 

*

 

La fatica di vedere l’animale vivo nella carcassa,

staccarsi dalla forma,

le mie cellule e i significati dispersi nel quadro.

Uno accanto all’altro sui cavi telefonici

i rondoni nel panorama

chissà come scelgono il posto,

l’ordine dei richiami,

austeri come morti in equilibrio sul filo

tra il vuoto e il vuoto.

 

Ci hanno promesso che osare

non può costare tutto,

l’urgenza e la dissoluzione

non possono ucciderci.

La sua raccolta inedita di poesie Vora, di cui si presentano dei testi, è menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2021; finalista al Premio di Letteratura Contemporanea Bologna in Lettere 2022; seconda classificata al III Premio Letterario nazionale Gianmario Lucini 2022.

Mara Venuto è in possesso di un ricco strumentario poetico, fatto di fertilità immaginifica e sapienza figurale, col quale dà colore alle proprie visioni e inquietudini. Le raccolte Questa polvere la sparge il vento (Edit@, 2019) e La lingua della città (Delta 3, 2021) mi sembravano preannunciare una composizione tra rabbia (si pensi a tutti i significati che l’elemento polvere può avere per Taranto e la sua gente) e stanca incomunicabilità (dove lingua è sia linguaggio di mancato incontro che spazio fisico urbano) per la città che si ama e da cui la vita ci fa prendere distanza. La nuova prova, di cui si anticipa qui una decina di liriche, prende il nome di Vora, termine pugliese per “voragine, inghiottitoio”: sprofondamento spontaneo, per erosione calcarea o crollo. Verrebbe in mente, leggendo, una intuizione del miglior Sereni: «Si fanno versi per scrollare un peso / e passare al seguente»; solo che qui il peso in caduta trascina volutamente con sé anche l’io poetante. Può accompagnarci il mito di Anfiarao, uno dei sette contro Tebe, irriso da Dante nella quarta bolgia per le sue virtù profetiche (e la miglior poesia è spesso profezia); in realtà non ucciso, anzi salvato da Zeus quando, proprio tramite una vora aperta dal fulmine, lo fa precipitare dal teatro di guerra direttamente in Ade. In queste poesie la caduta nella voragine è una amara, severa introspezione che non fa prigionieri e fonde incipit e finale, giovinezza e maturità. Con Eliot, passato presente e futuro si contengono vicendevolmente. Se la caduta sia condanna o salvezza lo dirà la pienezza della raccolta; apprezzandone questo assaggio, possiamo ipotizzare che l’Ade di Mara Venuto, quella “composizione”; da cui siamo partiti, sia quel senso di vicinanza-eppure-esilio dalla città natale, essa stessa in un limbo di attesa; un senso vissuto in equilibrio tra «acido / nella sacca gastrica» e malinconica contemplazione di un giardino che non può essere mare.

(Roberto R. Corsi)

 

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