Dalla Prefazione di Daniele Barbieri
La ragione dei sensi
[…] questo universo crepuscolare porta con sé l’essere nella sua massima dimensione, pur coglibile solo per sprazzi, d’improvviso, confusamente, estaticamente. La prima sezione, “Il senso e l’andatura”, è quella dove questa relazione viene posta con forza programmatica: le cose del mondo vi sono concrete, materiali, e lo stesso vale per gli eventi, ma ugualmente rimandano al tempo, alla vita, all’anima, all’essere. E l’essere è insieme esistenziale, sentimentale, ma anche matematico, geometrico.
[…] Nella seconda sezione, “Cento modi per chiamare o nessuno”, la materia è ormai abbondantemente quella del linguaggio, del segno. Ma il mistico non ha davvero lasciato del tutto il posto al teologo: l’unica ragione (che la ragione non conosce) è infatti qui quella del senso, il più potente forse tra i sensi. Tuttavia, se le cose materiali del mondo racchiudono nascoste verità, forse quelle particolari cose che sono le parole possederanno a loro volta le proprie, generate anche a partire dalla loro quotidiana consunzione, dalla loro apparente banalità, dal loro essere memoria.
È così che la terza sezione, “Voci abitate”, mette a contrasto la concretezza degli oggetti con un’altra astrazione, quella della memoria. Eppure, ormai, dalle vette dell’essere in cui ci aggiravamo all’inizio, siamo discesi ad astrazioni meno remote, quasi tangibili. Poiché questa è poesia, cioè qualcosa che si fa con le parole, la concretezza degli oggetti e l’astrazione del ricordo tendono a confondersi qui in quanto entrambe espresse attraverso parole. Dell’ermetismo non rimane che un sospetto, a evocare l’idea che questa concretezza ci rimandi ad altro – ma questo altro non si manifesta più nel discorso in maniera diretta. È solo l’amore per gli ossimori, per i paragoni azzardati e imprevedibili, a costringerci a cercare più lontano la soluzione.
Tanto più questo succede nella quarta sezione, “Prospettiva inversa”, dove ormai il senso è sentimento, e il mondo è il sonno dei bambini, e per questo sembra bastare a sé, Primo Motore di se stesso. […] ora l’intuizione è tutta terrena, tutta tenera e carnale. Arrivati sino in fondo, eccoci pronti quindi per iniziare un viaggio di ritorno.
L’argomento della quinta sezione, “Tra visione e forzatura”, è l’amore, quello che si erge spavaldo o quello che è lenta ispezione di stanze. Comunque esso ci voglia apparire, si tratta di un sentimento concreto e forte, fatto di desiderio e presenza, ma anche definitiva metafora del rapporto tra immanente e trascendente, tra le cose e l’essere. È qui che si rivela nella maniera più chiara una certa vocazione epigrammatica dell’autrice, presente in realtà in tutta l’opera attraverso l’uso della rima di chiusura. Proprio nell’uso della rima, infatti, appare forte in questo libro la passione per il contrasto e gli accostamenti imprevedibili, sorprendenti, quelli che costringono il lettore all’affiancamento anche a distanza, attraverso il richiamo sonoro, tra parole e concetti in sé diversissimi.
[…] Passiamo dunque dall’amore umano a quello divino nell’ultima sezione, “Altro da Te”. Il percorso si chiude ritornando verso il punto di partenza; ma dialetticamente arricchiti, ora, dal viaggio che ha attraversato il mondo. Adesso all’essere astratto dell’inizio è stato associato un nome, una dimensione, un’identità. Non appare veramente separato dalle cose, e le cose stesse, attraverso la relazione con Lui, anzi con “Te”, iniziano a prendere un senso assai più definito di prima: l’ermetismo sembra ora quasi del tutto svanire in una contemplazione che è forse quasi più una conversazione […]
***
Mi disse un saggio
Per anni in me ho curato l’aderenza:
paziente somiglianza
al centro equidistante
immoto. Un caso però
la trafittura, la sorpresa.
Nell’acqua limacciosa
non fu il loto bianco, ma la serpe
che risvegliò guizzando
il senso
l’andatura.
*
Dopo millenni
ancora sabbia, ancora vetro:
cerchiamo il metro, la giusta misura
come se al centro
non fosse il desiderio
la strozzatura
che inverte il tempo
e irrisolto lo rinnova.
*
Ogni cosa ha il suo sogno
e il suo modo di offrirsi.
Quando è verde
dà profumo la legna.
Quando è secca si spacca.
Poi arde.
*
Sono piccole le parole
di difficile incastro.
Intente a farsi perdonare
il loro altrove
e di aver finto (senza pudore)
di essere le nostre.
*
Ars scribendi
A volte è allo scoperto, di rimbalzo.
A volte, nel fodero più ruvido
nell’urto di due tempi o due misure.
Ma è questo, sempre: un furto.
E il suo bottino
sopra un panchetto zoppo
alla mercé del nulla
è prova che lo scippo
è solo per amore.
*
(a mia mamma)
Antico pudore del dire.
Ma so che sarai
il mio ultimo pensiero
senza fiato, senza peso
in cima alla salita.
Il filo di luce
sotto la porta chiusa.
*
Appendere un ritratto
accanto a un abat-jour
per ispessire il giorno di profilo.
E poi accostare il mondo
a quella voce, come lasciando
che il mare da lontano
venga, ritorni alle narici.
*
(per Juliette, 2008)
Che strana forza il sonno
che ti rapisce al mondo.
Che strana forza il pianto
che ti rapisce al sonno.
Che strana forza la forza
che mi concedi
quando né al mondo né al sonno
cedi
ma sul mio petto.
D’un tratto mi riconosci
e di me ti avvolgi.
Mentre ti cullo cresci
oltre i recinti e le siepi bugiarde.
In spazi di istinti
dove non ho ricordi.
*
(per David, 2010)
Con te cala tra i due mondi
il pontelevatoio.
Passerella
verso il silenzio più torrito.
Un soffio ti separa
dall’altro lato che già sporge
come il moto di ali
di cui il sonno si riveste
quando mai chiude
le tue palpebre del tutto.
E tale è forse la feritoia
che per noi la vita lascia aperta
oltre il garbato assedio
della morte.
*
La vita non si vede a occhio nudo.
Perché si mostri chiede
che il fascio dei desideri passi
da una sottile lente, placenta
del dolore.
*
Le ore della distanza
Docile alla memoria, legata
al suo albero maestro
mi preparo al beccheggio
amorevole dei rostri.
Ma tu torna e sciogli
il nodo, fai che ceda
prima dell’approdo
alla sirena
che conosce la spinta da sotto
la carena.
*
Sei per metà
il mio passaggio obbligato
dalle cime agli epicentri del respiro
dove più vera
la vita cresce dentro al rischio.
E per metà
sei fuori da ogni rotta
un valico sconnesso, inespugnato:
nella totale assenza delle prove
sei il mio dolce reato
mai commesso.
*
Penso a quando c’eri
come si guarda e si riguarda un quadro.
Cerco il dettaglio traditore
nel cartiglio e nel guizzo
della salamandra
lo zampino del pittore
con la firma
tra il pizzo di fiandra.
Ma neanche l’invecchiare mi rivela
in che punto la bellezza
è fuoriuscita dalla tela
e se per caso
o per volere
eravamo
l’esempio migliore
di un falso d’autore.
*
Qadosh
Ecco chi sei:
l’Altro da Te.
Ti ritrai
ti sottrai al desiderio
e lo distogli in basso
capovolto
rivolto
d’uomo in uomo
tra nodo e nodo
della fraterna corteccia
se ogni volto apre
sul tuo Volto
una breccia.
Mi piace.