Raffaela Fazio, A grandezza naturale (2008-2018)


Dalla Prefazione di Daniele Barbieri

La ragione dei sensi

[…] questo universo crepuscolare porta con sé l’essere nella sua massima dimensione, pur coglibile solo per sprazzi, d’improvviso, confusamente, estaticamente. La prima sezione, “Il senso e l’andatura”, è quella dove questa relazione viene posta con forza programmatica: le cose del mondo vi sono concrete, materiali, e lo stesso vale per gli eventi, ma ugualmente rimandano al tempo, alla vita, all’anima, all’essere. E l’essere è insieme esistenziale, sentimentale, ma anche matematico, geometrico.

[…] Nella seconda sezione, “Cento modi per chiamare o nessuno”, la materia è ormai abbondantemente quella del linguaggio, del segno. Ma il mistico non ha davvero lasciato del tutto il posto al teologo: l’unica ragione (che la ragione non conosce) è infatti qui quella del senso, il più potente forse tra i sensi. Tuttavia, se le cose materiali del mondo racchiudono nascoste verità, forse quelle particolari cose che sono le parole possederanno a loro volta le proprie, generate anche a partire dalla loro quotidiana consunzione, dalla loro apparente banalità, dal loro essere memoria.

È così che la terza sezione, “Voci abitate”, mette a contrasto la concretezza degli oggetti con un’altra astrazione, quella della memoria. Eppure, ormai, dalle vette dell’essere in cui ci aggiravamo all’inizio, siamo discesi ad astrazioni meno remote, quasi tangibili. Poiché questa è poesia, cioè qualcosa che si fa con le parole, la concretezza degli oggetti e l’astrazione del ricordo tendono a confondersi qui in quanto entrambe espresse attraverso parole. Dell’ermetismo non rimane che un sospetto, a evocare l’idea che questa concretezza ci rimandi ad altro – ma questo altro non si manifesta più nel discorso in maniera diretta. È solo l’amore per gli ossimori, per i paragoni azzardati e imprevedibili, a costringerci a cercare più lontano la soluzione.


Tanto più questo succede nella quarta sezione, “Prospettiva inversa”, dove ormai il senso è sentimento, e il mondo è il sonno dei bambini, e per questo sembra bastare a sé, Primo Motore di se stesso. […] ora l’intuizione è tutta terrena, tutta tenera e carnale. Arrivati sino in fondo, eccoci pronti quindi per iniziare un viaggio di ritorno.

L’argomento della quinta sezione, “Tra visione e forzatura”, è l’amore, quello che si erge spavaldo o quello che è lenta ispezione di stanze. Comunque esso ci voglia apparire, si tratta di un sentimento concreto e forte, fatto di desiderio e presenza, ma anche definitiva metafora del rapporto tra immanente e trascendente, tra le cose e l’essere. È qui che si rivela nella maniera più chiara una certa vocazione epigrammatica dell’autrice, presente in realtà in tutta l’opera attraverso l’uso della rima di chiusura. Proprio nell’uso della rima, infatti, appare forte in questo libro la passione per il contrasto e gli accostamenti imprevedibili, sorprendenti, quelli che costringono il lettore all’affiancamento anche a distanza, attraverso il richiamo sonoro, tra parole e concetti in sé diversissimi. 
[…] Passiamo dunque dall’amore umano a quello divino nell’ultima sezione, “Altro da Te”. Il percorso si chiude ritornando verso il punto di partenza; ma dialetticamente arricchiti, ora, dal viaggio che ha attraversato il mondo. Adesso all’essere astratto dell’inizio è stato associato un nome, una dimensione, un’identità. Non appare veramente separato dalle cose, e le cose stesse, attraverso la relazione con Lui, anzi con “Te”, iniziano a prendere un senso assai più definito di prima: l’ermetismo sembra ora quasi del tutto svanire in una contemplazione che è forse quasi più una conversazione […] 

***

Mi disse un saggio

Per anni in me ho curato l’aderenza:

paziente somiglianza

al centro equidistante

immoto. Un caso però

la trafittura, la sorpresa.

Nell’acqua limacciosa

non fu il loto bianco, ma la serpe

che risvegliò guizzando

il senso 

l’andatura.

*

Dopo millenni 

ancora sabbia, ancora vetro:

cerchiamo il metro, la giusta misura

come se al centro 

non fosse il desiderio 

la strozzatura

che inverte il tempo 

e irrisolto lo rinnova.

*

Ogni cosa ha il suo sogno

e il suo modo di offrirsi.

Quando è verde

dà profumo la legna.

Quando è secca si spacca.

Poi arde.

*

Sono piccole le parole

di difficile incastro.

Intente a farsi perdonare

il loro altrove

e di aver finto (senza pudore)

di essere le nostre.

*

Ars scribendi

A volte è allo scoperto, di rimbalzo.

A volte, nel fodero più ruvido

nell’urto di due tempi o due misure.

Ma è questo, sempre: un furto.

E il suo bottino 

sopra un panchetto zoppo

alla mercé del nulla

è prova che lo scippo

è solo per amore.

*

(a mia mamma) 

Antico pudore del dire.

Ma so che sarai 

il mio ultimo pensiero

senza fiato, senza peso

in cima alla salita.

Il filo di luce

sotto la porta chiusa.

*

Appendere un ritratto

accanto a un abat-jour

per ispessire il giorno di profilo.

E poi accostare il mondo

a quella voce, come lasciando

che il mare da lontano

venga, ritorni alle narici.

*

(per Juliette, 2008)

Che strana forza il sonno

che ti rapisce al mondo.

Che strana forza il pianto 

che ti rapisce al sonno.

Che strana forza la forza

che mi concedi

quando né al mondo né al sonno

cedi

ma sul mio petto.

D’un tratto mi riconosci 

e di me ti avvolgi.

Mentre ti cullo cresci

oltre i recinti e le siepi bugiarde.

In spazi di istinti

dove non ho ricordi.

*

(per David, 2010)

Con te cala tra i due mondi 

il pontelevatoio.

Passerella 

verso il silenzio più torrito.

Un soffio ti separa

dall’altro lato che già sporge

come il moto di ali 

di cui il sonno si riveste

quando mai chiude

le tue palpebre del tutto.

E tale è forse la feritoia

che per noi la vita lascia aperta

oltre il garbato assedio 

della morte.

*

La vita non si vede a occhio nudo.

Perché si mostri chiede

che il fascio dei desideri passi

da una sottile lente, placenta

del dolore.

*

Le ore della distanza

Docile alla memoria, legata

al suo albero maestro

mi preparo al beccheggio

amorevole dei rostri.

Ma tu torna e sciogli

il nodo, fai che ceda

prima dell’approdo

alla sirena 

che conosce la spinta da sotto

la carena.

*

Sei per metà 

il mio passaggio obbligato

dalle cime agli epicentri del respiro

dove più vera 

la vita cresce dentro al rischio.

E per metà 

sei fuori da ogni rotta

un valico sconnesso, inespugnato:

nella totale assenza delle prove

sei il mio dolce reato 

mai commesso.

*

Penso a quando c’eri

come si guarda e si riguarda un quadro.

Cerco il dettaglio traditore

nel cartiglio e nel guizzo

della salamandra

lo zampino del pittore

con la firma

tra il pizzo di fiandra.

Ma neanche l’invecchiare mi rivela 

in che punto la bellezza 

è fuoriuscita dalla tela 

e se per caso 

o per volere 

eravamo

l’esempio migliore 

di un falso d’autore.

*

Qadosh

Ecco chi sei: 

l’Altro da Te.

Ti ritrai

ti sottrai al desiderio 

e lo distogli in basso 

capovolto

rivolto 

d’uomo in uomo

tra nodo e nodo 

della fraterna corteccia

se ogni volto apre

sul tuo Volto 

una breccia.

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