20 righe (per niente) facili

Leggo l’ultima opera di Vittorino Curci e mi domando se queste sue nuove poesie siano più delle ballate d’aria o delle storie di carta. Se mi fermo al titolo, Cadenze per la fine del tempo (Musicaos Editore, 2023), dovrei propendere per l’opzione musicale. D’altra parte, lo stesso autore richiama, nel titolo di alcuni suoi pezzi, l’antica tradizione giapponese del Kamishibai, lo spettacolo teatrale di carta in cui nei templi buddisti venivano narrate storie illustrate su rotoli chiamati emakimono. Anche in questa raccolta, pur nell’alternarsi delle stanze tematiche, i versi scorrono, senza mai una maiuscola a fare da cesura, sul rotolo poetico che l’autore muove.

Non posso, però, trascurare che Vittorino Curci è un musicista, il quale per giunta suona a fiato. Forte è, a questo punto, la suggestione di ascoltarlo come il luftmensch della tradizione yiddisch, l’uomo che vive nell’aria e dell’aria, continuamente in lotta contro una natura splendida eppure ostile, che talvolta ti costringe a proteggerti dentro un proprio universo unico e individuale.

dov’è questo sole che dovrebbe colmarci di gioia?/ le piogge bagnano il viso dell’uomo in esilio/ che resiste alla fine del tempo.

Ci fa scoprire membri di una civiltà marginale che invece ha sempre mantenuto un legame carsico con altre lontanissime. Conferma la sua vocazione al limite. E’ un autorevole interprete del riconoscimento dell’anima meridiana. E’ un autore di confine, tra diverse forme di espressione artistiche, tra immaginari diversi, tra intimo e storia collettiva. Scrive e ritma le sue parole sulla soglia di un mondo che sta cambiando, dicendoci, amico mio attento, anche il tuo mondo personale non sarà più lo stesso; come pure sull’ultimo istante di un tempo, di cui non riusciamo a cogliere la fine o l’inizio, ci dice, amici andiamo, questo è il nostro tempo, non c’è motivo di esitare.

 

 

 

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