Intervista a Anna Maria Farabbi

 

 

Intervista ad Anna Maria Farabbi

 

Anna Maria, hai iniziato a scrivere poesie da adolescente. Cosa è stata la poesia per te, in quel tuo primo “affaccio”, e cosa è la poesia adesso, a distanza di anni?

 

Non è stato un affaccio, uno sporgermi. E’ stato un vento che mi è venuto addosso. Ancora oggi è così. Con potenza scardinante o fondativa, con permanenza erosiva e al tempo stesso impollinante.

 

Rigore e passione. Come si arriva a un giusto equilibrio tra i due, a tuo parere?

 

Non si arriva. Si lavora in un’officina interiore per rigenerare continuamente il proprio asse. Il passo funambolico sul filo sopra l’abisso.

 

In uno dei nostri primi scambi, mi citasti un verso di Aldo Capitini: “La mia nascita è quando dico un tu”. Mi piacerebbe che tu ti soffermassi su questo “tu” e sulla sua imprescindibilità nella crescita/autoconoscenza dell’“io”.

 

Mi fa piacere che attraversiamo questo maestro, anche se in pochi passi. Potremmo sostare molto tempo sulla seconda persona singolare: tu. Dobbiamo. L’incontro con il tu è vitale. Ma la radice dell’incontro sta nella nostra disposizione interiore, mite, autorevole verso l’aperto creaturale, non confondendosi, non annullandosi. L’umiltà della nostra postura in ascolto diventa fertilità in atto, ricezione seminale, crescita, ponte al dialogo. Il tu dei cosiddetti ultimi  fa lezione alla nostra abituata andatura, scrosta il nostro agio nutrito di inculturazioni, sedimentato da una formazione consumistica e autoreferenziale, egoica che ci rende grassi e separati l’uno all’altro. Nonmenzogna, nonviolenza, disubbidienza motivata antigoniana, tenacia da innamorata, in una vocazione all’amore concreto, politico, sociale in compresenza e complementarità. Io tu noi è il grande ventaglio della coniugazione dentro cui imparare il plurale.

 

Nel nostro rapporto con il mondo e con gli altri, che importanza ha il linguaggio non verbale, sia a livello estetico che conoscitivo?

 

Il linguaggio non verbale è la nostra via mater primordiale. È la preistoria dentro cui il nostro corpo e l’infinito delle lingue è sorto.  Ho molto studiato questa dimensione da un punto di vista antropologico, musicale, e la vorrei cantare in un’opera prossima. Attraversare l’oralità della poesia è, per me, incontrare quel profondo, non a un livello estetico, ma per memoria biologica.

 

Che rapporto hai con la tua terra? Qual è la tua idea di “radici” e di “matrice”?

 

Ho riconosciuto una terra, il suo volto affine al mio, nel paesaggio di Montelovesco. L’ho sentita, meditata, ruminata. L’ho cantata. L’ho approfondita anche nella mia ultima opera, Il canto dell’altalena, come campo base per un viaggio nel lontano. Sono una poeta radicale nel senso che le radici le porto in corpo, come i nomadi. Le radici sono il profondo da cui siamo sorti, una memoria biologica ma anche una scelta culturale di maestri e maestre che ci piantiamo nell’ombelico, per nutrirci e orientarci. Non mi piace molto la parola matrice. Mi rimanda più che a un punto di origine, a una sistema tabellare di elementi.  Ho un’attenzione importante alla Grande Madre, perché è lì quel non verbale da cui si origina una via altra. Ben altra da una cultura androcentrica, logocentrica, che viviamo.

 

Cosa sarebbe bene recuperare (o reinventare) nel nostro vivere quotidiano? E cosa sarebbe utile smantellare?

 

Recuperare l’arte del recuperare, contro ogni frenetica febbre consumistica, anche da un punto di vista relazionale. Il recupero del prezioso e del riciclabile. Entrare nell’ascolto dell’io del tu del noi. E nella filatura umile e colta dell’incontro. Vorrei piantare la cultura dentro cui mettere in discussione il consumismo, la tensione del possesso, dell’autoreferenzialità, delle dicotomie occidentali che semplificano e categorizzano escludendo, non includendo. 

 

A quale dei tuoi progetti sei stata (o sei) più attaccata? Ne hai di nuovi per il futuro?

 

Non sono attaccata a nessun progetto. Tutto viene incontro con identica importanza, si affida a noi, per un nostro lavoro incessante senza tregua, permanente. Sto finendo un’opera corale da me curata, dedicata ai disturbi alimentari: L’arte: tra bocca e cibo, Al3vie; sto compiendo la traduzione di In the Beginning There was Darkness di John M. Hull, uscirà il prossimo anno sempre per Al3vie (opera che rovescia completamente la nostra cultura di bene e male, mettendo in discussione teologicamente la luce come esclusiva rappresentazione di bene; uscirà La via del poco in coedizione per Al3vie e Piedimosca. Anche una mia cura per un’opera corale su Claudia Ruggeri, per Terra d’Ulivi. 

 

***

 

Cinque poesie:

 

(da Il canto dell’altalena, in coedizione Al3vie e Piedimosca, 2021)

 

con circe

 

qui nella notte a ea

le costellazioni sono braci per terra

sparse tra i minerali   la vegetazione dell’isola profuma

i nostri piedi scalzi

 

i pesci hanno il silenzio nel ventre illuminato

nuotano aprendo il buio liquido

portandoci la visibilità del profondo

 

due femmine vecchissime diventate leggere si consegnano

il meglio della loro bellezza

lontane dagli umani e dagli dei

dal grugnito di ulisse e dei porci

 

*

 

(da Fioritura notturna del tuorlo, Tracce, 1996)

 

Ciò che è il monte dentro chi lo vive

                                                            dedicata agli editori regnanti, 

                                                           e ai critici-uccelli di corte, 

                                                           ai frequentatori di bave e salotti letterari 

                                                      

 

Se i miei versi nascessero al rovescio

come una languida vegetazione che addormenta gli uccelli

mentre vi nidificano,

quegli uccelli morbidi

che non distinguono i limoni

dalla luna

e che al canto del gallo

tremano.

 

Se nel mio poema ci fosse acqua

per abbeverare i bambini

e i cortigiani del re,

sarei chiamata dal re 

e da tutti i suoi uccelli

e finalmente pubblicata su un trono

visibile.

 

Chi sei, mi si chiede,

se non ti si vede non ci sei.

io sono, rispondo. io sono

una poeta piccolissima quasi lontana quasi felice,

una bestia di montagna sola come il monte,

una bestia che impara

le lingue selvatiche del vento e degli alberi dritti,  le lingue

del mondo.

io sono i neri della lupa e i rossi

del gallo

e la tenerezza dei verdi fioriti.

io sono i gialli seminati, mietuti a mano,

fasciati ed esposti, immagazzinati,

fatti nutrimento

contro l’inverno.

Sono quella che da dentro la stalla

vede le stelle di dio

e se le sente in gola brillare.

 

Il mio quaderno inedito sta dentro la stalla,

fatto di terra sedimentata

irrigata d’inchiostro: canta.

Selvatico e dritto

quasi lontano quasi felice

più grande del re.

 

*

 

(da La magnifica bestia, Travenbooks/Alphabeta Verlag, 2007)

 

Con un bacio, amore, hai sdraiato i fianchi

della montagna.

Gli orti strettissimi a terrazza innaffiati dentro la guerra

caricando la schiena piagata dei muli

di borraccette bucate acque rubate

ora sono fanghiglia sul tuo palmo

aperto. Odori.

 

Hai baciato la mia lingua

e io in lei sono morta

ondulata

nel tuo silenzio primitivo.

Bagnata analfabeta liquor

oralità venuta

nella tua bocca.

 

Con il tremore interiore delle nascite.

Commossa

offrendo la mia soletudine regale

 

*

 

(da Il filo della carovana di sale e i miei dieci nodi, in Albino Moro da più vicino, a cura di Marina Giordani, Studio Calcografico, 2018)

 

  1. il ritmo nella pazienza  fino all’oasi

 

una linea ideale attraversa il centro 

delle quattro stelle di Tafala

 

l’oro delle Pleiadi e gli argenti in fiamme di Orione

ci portano disidratati al villaggio di fango e di sterco

 

beviamo al pozzo salvati 

con la bocca invasa dalla trasparenza quieta 

della luce liquida

 

III. il suono unico dell’andatura

 

rumino condividendo con la mia cammella

la via e il silenzio

 

coincidiamo 

 

mentre le due ombre oscillano allungandosi 

come da un’unica bestia

 

*

 

Eccetto la prima poesia, le altre saranno riedite ne La via del poco, in coedizione Al3vie e Piedimosca, Marzo 2022

 

***

 

Anna Maria Farabbi è poeta, narratrice, saggista, traduttrice. In poesia, l’ultima sua opera è La casa degli scemi, Lietocolle 2017. Per la narrativa, ha pubblicato Leièmaria, Lietocolle, 2013; per la narrativa ragazzi, Caro diario azzurro, 2013, e La notte fosforescente, entrambe per Kaba edizioni, 2013 e 2021. Per il teatro, La morte dice in dialetto da Rossopietra, 2013. Per la saggistica e la traduzione, nel 2017 ha curato e tradotto Louise Michel, Se questo è il potere, io sono anarchica, per la casa editrice Il Ponte, riedito da Al3vie; e il saggio Il Canto dell’altalena, in coedizione per Al3vie e Piedimosca nel 2021.

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