“Onore ai vivi”, Giovanni Peli

recensione a cura di Antonio Fiori

Già l’esergo convince: “Una realtà immaginata non è una bugia” (N.H.Harari); questa poesia chiede credito e dà credito prima di farsi conoscere, ci avverte, promette qualcosa anche nel titolo. C’è poi la premura di un’introduzione, ch’è in prosa poetica: ci dice che il canto ha inizio dal battito, dal suo ritmo, con la speranza di riconoscersi alla fine (insieme al lettore forse) nella beatitudine dei ribelli, che finalmente trovano il “tempo metronomico adeguato”, la loro “malattia di sani”.

Ed ecco le poesie, sgranate sotto l’egida della numerazione, l’assenza di punteggiatura e la costanza della minuscola, intervallate quattro volte dalla prosa (con una quinta che chiude la raccolta). I testi si appellano alla necessità di ritrovare e cantare “…il desiderio/ pericoloso” e“la speranza che vibra”. L’accusa è che “abbiamo dimenticato tutto” mentre “l’ultimo scoglio è reprimere l’odio”. La poesia incede prosastica e quasi subito colpisce un verso lapidario: “le parole non appartengono alla poesia”, ma è un verso che vuole depistarci; in realtà la poesia resta senza parole davanti alle “cacofonie” e agli “oltraggi”, ai “vinti e i senza nome”, per i quali prima d’ogni canto c’è da sporcarsi le mani, essere per gli altri prima che per l’arte. Un testo emblematico, autodenuncia di una vita trascinata tra socialità forzata e solitudine, è il n. 8 (“vogliamo sapere tutto degli altri” e finiamo invece “a parlare parlare/ di noi agli altri”), che fa da antifona al nono successivo, dove l’esortazione ad onorare i vivi – “onoriamo insieme i vivi/ gli amici che ci parlano di cose inesistenti/ onoriamo anche gli amici spariti lontano” – è venata di tristezza, dovendo accontentarci di cullare “ogni frutto caduto” e renderci conto, alla fine, che “la vita non dà niente in cambio”.

L’intera raccolta è attraversata dalla ripresa continua dei fili di estremi discorsi, di dialoghi frammentati: sulla bellezza (che oggi “vive da sola/dove non si sa”) e la libertà (“saprai liberarti da ogni padre, mio piccolo Altro”); la critica e la letteratura (“lo scrittore scrive un altro libro”); la salvezza possibile (“eppure il mondo si salverà prima o poi”) e l’assuefazione imperdonabile (a sentire “una bomba scoppiata”); la contrapposizione tra generazioni di scialacquatori e nuove generazioni (“ripongo la speranza in chi nasce ora”). Ed è attraversata anche da 16 millimetri pressanti, che sembrano in un primo momento quelli del metronomo, ma che poi alludono, spiazzandoci, alla lunghezza del feto, o alla larghezza della pellicola, o al calibro di un’arma che ruota, che ci interroga. Il canto pian piano diventa denuncia, il poeta filosofo, la parola tellurica. A un certo punto scopriremo che “la poesia è vita e non letteratura/ l’attesa e non la speranza” (poesia n. 40), che “il deserto è fiorito”, che “la vita arriva/ tutto il resto mente” (poesia n. 41), che “forse l’atto rivoluzionario è non partecipare, non volere, non fare, non sperare”, quasi un capovolgimento rispetto a quell’iniziale “speranza che vibra”…ma prima, nel pieno dell’opera, il poeta si era scoperto, svelando una sua spirituale e precisa collocazione: “nemmeno la bellezza proteggo/ proteggo l’innocenza/ specialmente se stupida/ proteggo il sonno di poche persone/ le pagine amate/ che una ragazza le porti con sé mentre aspetta qualcuno” (poesia n. 22). Ecco, mi pare sia qui il centro ideale di questo lavoro – l’ombelico e l’occhiello: questa assertività sicura, chiara e intensa, che riesce a lampeggiare come lirica nel pieno dell’invettiva.

(Antonio Fiori)

TESTI

2
.

batte il tempo
è gesto d’ape
ticchettio tra le ortiche
un niente come il vento
un respiro nell’ecografia
sedici millimetri
foto in bianco e nero
la speranza che vibra
prima di diventare noia

.

47
.
Il senso è un segno mai visto
inciso nel nulla
l’unico atto umano
il bianco che si fa nero
l’acqua modificarsi
cosa c’è dentro la pietra
le metamorfosi degli insetti
tutte le ragioni delle larve
cosa va fatto
e non pensato
con la matita bucare il foglio

.

Giovanni Peli (Brescia, 1978) è musicista, scrittore, bibliotecario per la Cooperativa Zeroventi, editore per Lamantica. Tra le molte opere pubblicate ricordiamo i testi poetici La vita immaginata (2020), Onore ai vivi (autoprodotto, a cura di Lamantica, 2018), Babilonia non dà frutti (Eretica, 2017), Albicocca e altre poesie (Sigismundus, 2016); il romanzo Il candore (Oèdipus, 2016); i dischi cantautorali Sette giorni (autoprodotto, 2019) e Gli altri mai (Ritmo&Blu, 2016). Ha scritto anche testi per bambini e libretti d’opera.

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